La Storia corre, a passo svelto, verso la propria conclusione. Non si cura di quanti, durante questo cammino, vengano scaraventati via dal suo dorso. Clio, la musa della Storia, corre incurante di noi uomini, che aggrappati alla sua veste tentiamo di dirigerne la corsa. Lei corre e per quanto grave sarà il suo passo sul terreno, non si arresterà. Urlarle quanto disumano sia quello che talvolta accade per opera sua, non è sufficiente. Nulla è sufficiente. Un fenomeno storico non si arresta, né con la guerra né con le litanie.
The Man in the High Castle e l’utopia nazista
Ispirato al romanzo La svastica sul Sole,di Philip K. Dick, The man in the high castle racconta un mondo dominato dalle forze dell’Asse. Il secondo conflitto mondiale è stato vinto, in questo universo alternativo, dal Fuhrer e dai suoi alleati, che ora si spartiscono buona parte del mondo. Il capolavoro della Amazon Studios ha soddisfatto tanto la critica quanto il pubblico. Il mondo distopico di The man in the high castle ha lasciato incollati allo schermo migliaia di spettatori, affascinati dalle sottili fila Storiche e romanzesche che attraversano la serie.

Il mondo raccontato nella serie è una distopia per noi, figli della vittoria alleata, ma è a tutti gli effetti un’utopia. Un mondo che si avvia verso l’unificazione totale, dominato da un’umanità forte e sana, dove il bene dello Stato è anteposto al bene del singolo. John Smith, il principale antagonista della serie, sostiene, in merito alle tensioni tra il Reich e l’Impero Giapponese, che “Sarà l’ultima guerra, forse la più atroce, dopodiché verrà la pace e l’umanità sarà finalmente unita“. Questa era l’utopia nazista: un mondo dominato dalla razza superiore e finalmente ridotto alla pace. Per un nazista degli anni ’20, il mondo contemporaneo è invece a tutti gli effetti una distopia. Un mondo frammentato ed unito solamente nella globalizzazione, multirazziale e sostenuto da delle democrazie degenerate. Forse viviamo davvero in una distopia e forse è per questo che il neonazismo -e affiliati- sta risalendo pericolosamente alla ribalta.
Il nazifascismo come momento storico
Durante la sua inarrestabile corsa, Clio si imbatté in una palude. Fiondatasi dentro per attraversarla, noi umani ci adoperammo con tutte le nostre forze per estrarla dalla melma e ricondurla a riva. Esiste però una strada alternativa? E se quella palude fosse l’unica strada percorribile?

In The man in the high castle esistono una serie di filmati, chiamati La cavalletta non si alzerà più, che mostrano ai personaggi della serie tv quale sarebbe stata l’alternativa alla loro realtà. Rappresentano il mondo in cui viviamo, quello vinto dalla forze alleate, dove il comunismo e le democrazie liberali hanno sconfitto i nazifascismi. La realtà contemporanea pare però dare torto agli amabili antifascisti di The man in the high castle. Nazismo e fascismo sono richiesti a gran voce in più parti d’Europa, a discapito di quanto ci ha insegnato la Storia. Non dobbiamo però parlare di ciclicità storica, quanto di necessità storica. Il nazifascismo è infatti un’ideologia tutta novecentesca, senza precedenti storici. Se l’autoritarismo è sempre stato la prima conseguenza ad una grave crisi del potere, il nazifascismo si inserisce in questo contesto. Il nazifascismo è la diretta conseguenza della crisi dello Stato democratico-liberale. Senza un’adeguata risposta popolare alle crisi economiche e sociali che attraversano periodicamente le democrazie occidentali, il nazifascismo riesce facilmente a fare breccia nell’infelice massa proletaria. Questa non è speculazione o allarmismo, ma una preoccupante realtà.
L’Ucraina e la Polonia presentano gruppi neonazisti armati e pericolosi, che sfilano nelle piazze, aggrediscono i dissidenti e siedono in parlamento. Ben lungi dall’estrema destra nostrana o francese, queste realtà sono molto più spaventose del populismo che spopola nell’Europa Occidentale. Sono ad esso vicine, ma ne rappresentano l’allarmante conclusione, l’alternativa politica da temere e sulla quale riflettere, prima di abbandonarsi a slogan sempre più sfacciatamente xenofobi.

Il nazismo non ha vinto, ma neppure ha perso
The man in the high castle non è certo profetico, perché un mondo come quello descritto è ormai ucronico, ma può essere un monito. Un monito non tanto a non abbracciare determinate ideologie, quanto a chiedersi come evitare che esse nascano. Il famoso paradosso della tolleranza di Popper ci ha già messo in guardia verso i fenomeni che stiamo vivendo. Se esistessero però delle forze politiche popolari in grado di catalizzare il voto della classe media, l’allarme nazifascismo non esisterebbe neppure. La verità potrebbe essere però ancora più tragica delle speculazioni. L’uomo non è forse ancora pronto alla democrazia, le masse popolari non sono ancora abbastanza istruite né dotate di quel senso civico necessario ad uno Stato per reggersi sano. Forse, in assenza di un’alternativa valida alle democrazie liberali, il nazifascismo si sviluppa, fisiologico, quando esse entrano in crisi. Il neonazismo è la malattia del sistema capitalistico, contro la quale non esiste ancora un vaccino.
Insomma, il Fuhrer non è riuscito a spartirsi il globo con il Giappone come in The man in the high castle, ma è ancora vivo. Come uno spettro annidato negli intestini delle masse, il nazifascismo sopravvive e quando l’organismo, lo Stato, è debole, esso prende piede. Lo vediamo e sentiamo in ogni atto violento, verbale o fisico, contro qualche minoranza. Lo sentiamo quando un politico si appella ai propri elettori per sorpassare la magistratura. Lo sentiamo ogni volta che si distingue tra umani di serie A e umani di serie B. Il nazifascismo non ha certo vinto, ma non possiamo nemmeno dire che abbia definitivamente perso.
Alessandro Porto