“Tutti coloro che hanno raggiunto l’eccellenza nella filosofia, inclusi Socrate e Platone, avevano un habitus malinconico. Di fatto, alcuni soffrivano anche di malattia malinconica“. Queste parole, espresse da Aristotele, racchiudono un significato tanto profondo da riecheggiare nei secoli. Il rapporto tra quella che egli definiva malattia malinconica – nientemeno che la depressione clinica odierna – e l’intelligenza è argomento ancor oggi assai dibattuto. Noti personaggi del mondo dello spettacolo, a guisa di Hugh Laurie e Johnny Depp, del mondo dell’arte, come Michelangelo Buonarroti e John Lennon, e persino del mondo sportivo – si veda James Hunt – sono stati forgiati nell’intelligenza creativa e nella malinconia. La lista potrebbe proseguire, inserendo altresì personaggi fittizi del mondo Hollywoodiano come Jackson Maine, protagonista di A Star is Born. Tuttavia, qual è la correlazione tra la depressione e la genialità di simili individui? L’una potrebbe sussistere senza l’altra?
Sentire la vita e i suoi mutamenti
È possibile studiare la storia del mondo artistico e letterario a prescindere dalla malattia mentale? Aristotele s’era già accorto d’un profondo legame tra la malinconia e la vena artistica, ricercando una sorta di carattere universale che potesse spiegarlo al meglio. La psichiatra Kay Redfield Jamison, professoressa alla Johns Hopkins University, ha pubblicato un libro sull’argomento nel 1993, intitolato Touched with fire. Manic-depressive illness and the Artistic Temperament. In esso, la docente esposto un collegamento con dovizia di particolari tra la malattia maniaco-depressiva e l’intelligenza creativa. (Per approfondire, clicca qui)

Questo perché la depressione, nei pazienti ciclotimici, pare presentarsi in alternanza a stati maniacali, i quali coincidono con i personali vertici di creatività. Non è una novità, infatti, che l’arte si origini dal dolore, come ben spiegato dalla collega Sabrina Ciamarra. “Nei pazienti affetti da sindrome maniaco-depressiva – ha dichiarato la dottoressa a Bernardino Campello, giornalista de la Repubblica – vi è una velocità di pensiero decisamente superiore. […] Essi ricercano le soluzioni, sono ossessionati dalla voglia di trovare queste soluzioni, e questo si trasforma spesso nel prodotto artistico. La ciclicità di queste malattie fa sì che il malato senta la vita e i suoi mutamenti molto più che chiunque altro”.
Un’essenza… di iperreattività
Uno studio approfondito, pubblicato sulla rivista Intelligence, ha evidenziato un elevato rischio di sviluppo di patologie psichiatriche da parte delle persone con quoziente intellettivo superiore alla media. I ricercatori dell’Università di Pitzer hanno analizzato l’incidenza di malattie maniaco-depressive mediante una sperimentazione sui soggetti MENSA. Questi, infatti, appartengono al 2% della popolazione americana dotata d’un QI maggiore di 130.
I risultati di tale esame hanno evidenziato un raddoppiamento del tasso di prevalenza per ansia, depressione e disturbo da Deficit dell’Attenzione rispetto alle persone comuni. Inoltre, gli psicologi hanno ipotizzato altresì la presenza d’una patogenesi neuro-infiammatoria, analizzando di conseguenza lo stato immunologico dei soggetti. Negli individui con alto QI è stata identificata una forma definita pro-infiammatoria, da cui deriva l’ipotesi secondo cui una maggiore intelligenza sia associata ad un’elevata iperreattività ambo emotiva e fisica. In breve, lo stress derivato risulta in grado di provocare ed indurre un’attivazione del sistema immunologico tramite l’asse ipotalamo-ipofisario, predisponendo i soggetti all’incidenza di patologie mentali e fisiche.
Jackson Maine: A Star is Born
Come non considerare il personaggio di A Star is Born, Jackson Maine? Interpretato da Bradley Cooper, al suo debutto come regista, Jack rappresenta una star della musica rock, che si esibisce al cospetto di platee urlanti. Il suo passato risulta piuttosto turbolento: il padre lo ha avuto all’età di 63 anni, mentre la madre, appena 18enne, è morta dandolo alla luce. Come compreso durante lo sviluppo della trama, Jackson soffre di acufene, un disturbo uditivo costituito da rumori che l’orecchio percepisce come fastidiosi o, in casi estremi, insopportabili. L’incontro fortuito con la talentuosa Ally, interpretata da Lady Gaga, tanto gli cambia la vita quanto lascia inalterato il suo modo di viverla. Maine è infatti un alcolista – sulla linea d’onda del padre -, problema che affronta unicamente sul finire della pellicola.
È proprio qui che sta la chiave di volta. L’essenza dell’artista, come spesso ripetuto, si fonda sul modo di esprimere ciò che ha da dire, al punto tale da far sì che ogni accezione costituisca un pezzo di quel puzzle che è la sua mente. Se una sola tessera manca, il quadro non può dirsi completo né può donare il fascino che sprigiona nella propria interezza. Maine smette di bere, si regola, tenta di smontare il puzzle, ma la sua natura finisce per prendere ugualmente il sopravvento. Il suicidio per impiccagione, già tentato in giovane età, esemplifica un ritorno al sé di cui si era privato. Il suo talento non può prescindere da ogni altra caratteristica, compresi l’alcolismo, la depressione e la stessa Ally, per amore della quale egli decide di dissolversi e sparire.
“La musica nasce dal modo in cui un artista interpreta 12 note” ripete Jackson al fratello. Da ciò viene spontaneo ritenere che l’essenza di un artista influisca su tale interpretazione. Come detto, una sola tessera mancante lo renderebbe un puzzle incompleto, non caparbio nella trasmissione del messaggio. Non resta altro che domandarsi, dunque, se un artista curato, privato dei propri “difetti”, possa vivere quelle 12 note allo stesso modo.
– Simone Massenz