Nell’epoca degli Hater, la dialettica può ancora farci crescere come esseri umani

Litigo dunque sono. Esisto nello spazio della discussione, dell’alterco e del confronto. Litigare appare sempre di più la dimensione quotidiana dell’uomo, l’unico modo per affrontare e comprendere le questioni più importanti. L’alterco infiamma però sfinisce: alla fine ci troviamo stanchi, insoddisfatti, meno fiduciosi. Incattiviti. Non abbiamo più il lusso di sceglierci gli interlocutori, dobbiamo imparare a disputare con tutti anche i peggiori individui dotati di connessione Internet. E’ il solo modo di crescere come persone.

La parola infatti è un gran signore

Perché discutiamo? Da cosa nascono la dialettica, il confronto, la disputa? Da una parte, rimane la nostra natura di bipedi razionali dotati di facoltà di giudizio, per Socrate occorre l’altro affinché la nostra anima si specchi in un altra entità affine e ne cresca dallo scambio.

Socrate, maestro dialettico, nel quadro di Raffaello

Dall’altra, una società esposta e iperconnessa come la nostra facilita lo scambio e il confronto quotidiano con persone molto diverse e molto lontane. È evidente come ci caliamo in acquari di confronto –spesso– senza adeguata preparazione e robusta informazione. Facciamo chiarezza: il problema del sovraccarico di informazioni c’è da sempre. Non è la sorpresa di quest’epoca, oggi è solo più evidente il problema. Ogni ambito del sapere umano è da sempre troppo vasto perché qualche singolo lo possa padroneggiare. L’uomo inesperto di un campo ha sempre fatto riferimento all’esperto in grado di filtrare e sintetizzare, nella giungla di nozioni, quelle che potessero risolvere il problema contingente. La caratura dell’esperto, anzi, si tara proprio in questo ecosistema: definiamo professionista chi ha speso più tempo (studi, esperimenti, valutazioni) in un determinato ambito e, per questo, riesce ad avere una migliore visione sinottica sull’orizzonte. Il loro impegno quotidiano di filtraggio informativo è la nostra migliore garanzia della loro perizia.

Vi sono, o Socrate, risposte che obbligano a fare lunghi discorsi

Leggiamo nel Gorgia di Platone (dedicato non a caso al più nichilista dei Sofisti ateniesi) che solo quando si esprime nei dintorni del proprio sapere una scienza o una disciplina può essere autorevole e pervasiva. A riflettere su questo sovraccarico (operando contestuale azione di filtraggio) sono gli operatori dell’informazione. Alla loro professionalità (felice connubio di etica, fonti, mestiere e sesto senso) ci siamo sempre appellati per individuare, semplificare e comprendere l’ossatura reale dei fatti. Quello che è davvero cambiato è lo squilibrio tra emittente e destinatario: la tecnologia ha permesso a tutti di attingere a fiumi di informazioni libere, gratuite e, purtroppo, incontrollabili.

Un concetto sempre molto attuale

Nessuno può vagliare tutto. In più, abbiamo la modalità di rimbalzo, dal re-tweet al re-post, possiamo canalizzare anche noi la nostra informazione, sovrapporre emittente e destinatario, creare un palinsesto di contenuti, senza nessuna rete e pressoché nessun controllo. Questa elevazione al quadrato dell’informazione è la radice della post verità e delle sue scorie tossiche (fake news, bufale, shitstorm). Queste scorie sono sintomi deteriori di un rinnovamento, però, positivo. L’autorità precostituita tramonta e nel mare delle informazioni siamo costretti a immergerci in apnea. Per non soffocare, occorre costruirci strumenti culturali (per via alternative) per imparare a nuotarvi nella migliore maniera possibile. “Non si tratta pertanto di uscire dal circolo, ma di starvi dentro nella maniera giusta”, rileva Heidegger in Essere e Tempo. L’orizzonte quotidiano della chiacchiera è la modalità esistenziale del tempo presente per Heidegger. Siamo nel mondo con il linguaggio che ci permette di metterci in contatto con gli altri uomini, che è esiziale per la nostra specie come detto.

Parlando, l’Esserci si esprime

Il dialogo, quando viene liberato dalla tecnologia, spalanca un abisso di libertà che fa paura. La collisione di mondi e di punti di vista molto diversi è il grande merito di questa nuova dimensione tecno-sociale. Il fenomeno aurorale è lo scambio e l’incontro di due esseri umani. Dal loro linguaggio possiamo risalire alla comprensione (al sinn del sein, ovvero al senso dell’essere) che tramite il discorso hanno dato al mondo in cui si trovano a operare, ne capiamo giudizi (e pregiudizi), valori, paradigmi e convinzioni. Purificando il dibattito dalle sovrastrutture, rimane solo l’umanità a confrontarsi, quindi entrano in scena l’intelligenza (o la sua mancanza) per condurre la discussione entro alvei educati e accettabili.

Crescere nel confronto è sempre possibile

Saper comunicare diventa la competenza vitale per tutti. Siamo diventati tutti amici e prossimi, il che non ci deve appunto far dimenticare le regole di buon vicinato. Andando oltre gli algoritmi che ci fanno vedere solo quello che vogliamo vedere e avere a che fare con persone che, molto probabilmente, vorremmo davvero frequentare, dobbiamo tenere acceso il fuoco dialettico del confronto. Non possiamo però sperare, come il secolo scorso, di poter scegliere l’utenza e dialogare solo con persone selezionate, con buona pace di Barthes. Non possiamo più permettercelo: il presente esige di stabilire un dialogo con tutti, non è dato scegliere gli interlocutori. Più si incontrano personaggi sgraditi meglio è, si evita all’Hater il muoversi indisturbato e andare a disturbare altre persone. Si deve imparare a dissentire senza litigare. Ed è l’unica via per imparare qualcosa. In un’era di scambi, confronti e dispute, la vera sfida è questa: acquisire conoscenze accettabili in un contesto iperconnesso e senza protezioni. Disputare è l’atto libero di chi si fida delle proprie capacità di farsi capire ma anche di rispettare (molto meglio che limitarsi a tollerare) l’altro, nella convinzione che solo con il confronto possa crescere la conoscenza.

casualwanderer

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