Libertà è partecipazione: Giorgio Gaber riassume il pensiero di Rousseau

Nello stato di natura l’uomo era libero e felice, ora questo paradiso è andato perduto. Ma possiamo considerarci liberi senza avere consapevolezza della nostra libertà? Rousseau e Giorgio Gaber risponderebbero negativamente.

Libertà di pensiero, libertà di parola, libertà di espressione: insomma libertà. Una parola che sentiamo nominare tutti i giorni e che forse proprio per questo motivo oggi sembra aver perso quella sua potenza originaria. Perché la parola libertà è un termine forte; esprime dinamicità fisica, morale e fisico – morale. Il primo caso consiste nella lotta che l’uomo il più delle volte combatte per conquistare la sua libertà, la dinamicità morale sta a significare la consapevolezza che l’essere umano deve avere del suo essere libero e infine la coppia fisico – morale esprime l’esercizio della libertà che si attua attraverso la partecipazione fisica alla vita politica sempre, però, guidata dalla consapevolezza di essere liberi. Da qui si capisce come la libertà acquisti moltissimo significato se la si pone entro i limiti della società civile cioè della vita pubblica. Per ciò si sbaglia nel considerarla come quello stato in cui l’uomo immerso nella natura vive alla giornata, soddisfacendo i suoi bisogni primari e conducendo un’esistenza alla mercé dei suoi istinti animali. Tale situazione è quella che i più grandi filosofi, giusnaturalisti e non, hanno descritto come “stato di natura”. Ma sono proprio questi filosofi che poi evidenziano il fatto che l’essere umano può realizzare la sua piena libertà solo nello stato civile. Per quanto l’uomo può essere felice e beato, egli non lo sarà mai in senso pieno vivendo in una condizione nella quale è a malapena distinguibile dagli altri animali. E perfino i più accaniti difensori della libertà naturale arrivano poi a sostenere che essa è vera e significante solo in una società civile.

 

La libertà in Rousseau: dallo stato di natura…

Uno dei maggiori sostenitori e ammiratori della condizione dell’uomo nello stato di natura è Jean Jacques Rousseau. Egli è il creatore del mito del buon selvaggio, ovvero dell’idea di un uomo che al grado zero della sua esistenza vive in maniera isolata, è circondato di tutto quanto gli serve per sopravvivere ed è perciò autonomo e indipendente. Da questa indipendenza deriva secondo il filosofo ginevrino la massima libertà e successivamente, da quando l’uomo compie  il primo passo verso la civilizzazione, inizia un processo di perdita della libertà originaria e di declino inesorabile. Attraverso una serie di fasi storiche, che Rousseau descrive nel “Discorso sull’origine della disuguaglianza”, l’uomo arriva, dal vivere immerso nella natura e isolato dagli altri uomini, alla vita in società e questo percorso rappresenta per Rousseau la causa di tutti i mali. La  società contemporanea viene, dal filosofo, aspramente criticata: essa lungi dall’essere l’espressione della libertà umana ne costituisce la più totale negazione. Queste posizioni di critica estrema hanno fatto sì che chi leggesse Rousseau trovasse in lui un forte pessimismo storico. Un pessimismo che, una volta abbandonato lo stato di natura, non vede più per l’uomo un’ulteriore possibilità di essere libero. Ma Rousseau non è solo pessimismo e nostalgia di un passato perduto, egli è soprattutto speranza per l’avvenire; un avvenire in cui la società non sarà più la negazione della libertà e dell’uguaglianza umana ma rappresenterà la loro più alta valorizzazione.

…alla società civile

Nel “Contratto sociale”, il filosofo descrive il modo in cui dovrà essere costituita questa società del futuro e come gli individui, attraverso essa, raggiungeranno la loro realizzazione. Essi, in primis, dovranno rinunciare ai loro interessi particolari cedendo tutti i loro diritti allo stato, il quale non è rappresentato da singoli uomini ma dalla volontà generale. Così facendo, tutti saranno partecipi del perseguimento di un interesse comune che trascende la somma dei loro interessi individuali e potranno finalmente essere realmente liberi, essendo ora la libertà non più la felice inconsapevolezza dello stato di natura ma la consapevolezza di partecipare alla realizzazione di un bene che è altro da me e da tutti gli altri individui. Quindi anche Rousseau, alla fine del suo percorso riflessivo, riconosce che la libertà non è qualcosa di già dato naturalmente all’uomo ma al contrario va conquistata e continuamente esercitata. Essa si esercita nella vita politica ed essenzialmente in quell’atto fisico – morale che può essere rappresentato dalla partecipazione.

La libertà secondo Giorgio Gaber

Rousseau e la sua riflessione filosofico – politica, trovano eco oltre che nell’assai discutibile blog del Movimento 5 Stelle, anche in una canzone di Giorgio Gaber, uno dei migliori cantautori italiani. E’ davvero curioso che leggendo il testo di una delle sue canzoni più famose, “La libertà” possiamo rintracciare una sintesi del percorso riflessivo Rousseauiano. Gaber inizia infatti considerando come libertà quella dell’uomo di natura che vive immerso nella foresta soddisfacendo ogni suo bisogno in maniera del tutto inconsapevole. Successivamente l’essere umano a seguito del vivere associato e dello sviluppo della ragione inizia a considerare come libertà quella democratica e l’autore della canzone  conferisce quindi al termine “libertà” una connotazione politica:

“Vorrei essere libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà.”

Questa strofa costituisce, in maniera riassuntiva, il nocciolo della riflessione condotta fino a questo punto. l’uomo che vive nello stato natura è sì libero e felice ma la questione è che dovremmo porci è di natura differente, ovvero dovremmo chiederci se quest’essere umano che vive in maniera del tutto simile ad un animale può essere definito realmente un uomo. In altre parole, cosa ce ne facciamo della libertà dal momento in cui non siamo neanche consapevoli di possederla? E questa forse è la stessa domanda che si è posto Rousseau dopo aver elogiato la vita del selvaggio. La stessa domanda che potrebbe essersi posto anche Gaber. E la risposta sembra univoca: la libertà è tale solo se acquisita consapevolmente ed esercitata in maniera continuativa attraverso la vita politica. A questo punto torna a riecheggiare il ritornello simbolo di questa canzone ma anche della figura di Giorgio Gaber che pone sulla stessa linea un filosofo illuminista del diciottesimo secolo e un cantautore del ventesimo: “libertà è partecipazione”.

Pier Carlo Giovannini

 

1 commento su “Libertà è partecipazione: Giorgio Gaber riassume il pensiero di Rousseau”

  1. Posizione di Gaber suggestiva ma rischiosa: si è davvero liberi solo se si partecipa a una azione politica di gruppo? E fuori di questo, nulla salus? E di solito il gruppo finisce col seguire un leader: si apre la via allo stalinismo? Certo, questa non è una lettura obbligata: può significare che non c’è vera libertà senza un qualche impegno politico

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