C’è chi dice che la Storia sia ciclica. Che il passato torni inesorabilmente ad incombere sul presente. Eppure l’idea che tutto ritorni su se stesso in un ciclo eterno è spiazzante: del resto, come dice Eraclito, non si può discendere per due volte lo stesso fiume, non si può rivivere la stessa esperienza due volte, perché tutto è soggetto a mutamento. E allora, a primo impatto, questa concezione ci pare astrusa. Ma se si rappresentasse il tempo come una spirale, come apprezzerebbero sicuramente Hegel e Marx, si può comprendere in che senso la Storia sia ciclica. Certo, è processuale, non torna precisamente su se stessa, ma segue delle coordinate latitudinali precise. Quelle coordinate spesso combaciano con quelli che sono i problemi “storici” dell’essere umano. Uno tra tutti, la Politica. Perché se l’uomo è un animale sociale, come disse Aristotele, ciò non significa che i rapporti con l’establishment siano idillici. E allora ecco perché oggi, nel 2018, dobbiamo trovare un modo per riformare la democrazia attuale che ricorda nelle sue falle, seppur con particolari diversi, quella ateniese del IV secolo a.C.
Dambisa Moyo: attacco al suffragio universale

Ovviamente è facile a dirsi: un modo, certo, ma quale? Forse quello di Dambisa Moyo. Si tratta di una delle più importanti economiste mondiali, che nel suo romanzo Edge of caos pone una domanda particolarmente scomoda. Si chiede e chiede a sua volta al lettore perché il voto di un ignorante debba avere la medesima rilevanza di quello di un informato. Non si tratta solo di una domanda: la Moyo punta il dito contro suffragio universale, l’ambizione di secoli di fermenti concretizzatasi nel mondo contemporaneo. Insomma, attacca e accusa un sistema che, nell’ottica comune, è stato conquistato sputando sangue. In un contesto in cui un sistema funziona, forse sarebbe stata solo derisa, probabilmente non avrebbe nemmeno pensato ad una teoria simile e comunque non avrebbe avuto la potenza che oggi invece possiede. Il problema è che sta diventando evidente che il sistema del suffragio universale è in crisi. Ed ecco che Dambisa Moyo quasi d’improvviso si ritrova nei panni di Platone. Perché alla fine quello che la Moyo fa è trovare un’alternativa a ciò che crolla e che può crollare ancora. E dunque in un contesto che vede la folla del Web dimenarsi energicamente per rimuovere la scorta a chi non asseconda con le sue affermazioni il senso comune non può non venire in mente Callicle, personaggio che interloquisce con Socrate nel Gorgia di Platone, che invita ironicamente il filosofo greco a promuovere in piazza le sue idee, strampalate e viste di cattivo occhio dai cittadini ateniesi (oggi gli chiederebbe di esprimerle su Facebook probabilmente), ammonendolo che ciò lederà inevitabilmente non solo alla sua figura, ma anche alla sua incolumità. In una società dove incombe la retorica che asseconda la pancia dei cittadini esattamente come nell’Atene del IV secolo a.C., Dambisa Moyo non è molto diversa da Platone. Fa scalpore con le sue affermazioni anti-sistema, ma lo fa proprio perché il sistema lentamente cola a picco. Cambiano gli attori, l’interpretazione ed il palcoscenico, ma la tragedia rimane se stessa.

Può reggere davvero il sistema della Moyo?
C’è però da chiedersi se la soluzione proposta da Dambisa Moyo sia efficace. L’idea di fondo è che un test, similmente a quelli per attribuire la cittadinanza agli stranieri, mostri la competenza degli elettori e che, conseguentemente a ciò, il loro voto valga in misura delle loro conoscenze in materia Politica. Certo, ad oggi l’informazione non è ad appannaggio di pochi, anzi, è accessibile pressoché a tutti, ma ciò non toglie un problema di fondo di questo ipotetico nuovo sistema. L’interesse per la Politica. La Moyo sostiene che il cittadino, volendosi esprimere, e volendolo fare con la massima efficacia possibile, sarà spronato da ciò ad informarsi su quello che effettivamente sta facendo. Ma è davvero così? Il cittadino medio è così tanto interessato ad avere una voce predominante in Politica? E se anche fosse, la tecnica del bastone e della carota funziona davvero? Alle ultime elezioni, in data 4 Marzo, il 70% degli Italiani si è presentato alle urne. Di questa percentuale, se è vero che il 28% degli Italiani è analfabeta funzionale, almeno un altro 20% di quel 70% è da ritenere inadatto, e dunque destinato ad una minore influenza con il proprio voto. Dire a questo 20% che se votano ora come ora conteranno di meno, per delle persone che probabilmente nemmeno sanno cosa votano, perché votano e cosa si è fatto per permettergli il voto, quale effetto produrrebbe? Sicuramente il calo di interesse, non tanto il suo aumento. Ci si ritroverebbe con un 50% scarso di elettori, metà della popolazione. A questo punto di che Democrazia stiamo parlando?

Il sistema di Moyo, da un punto di vista teorico regge, non c’è dubbio. Ha senso che chi non sa cosa fa e cosa dice abbia meno voce in capitolo. Ma posto così diventa Oligarchia, non Democrazia, e ciò accade non tanto per la disparità di classe sociale o per antichi privilegi aristocratici, ma perché il voto verrebbe disincentivato proprio negli “ignoranti” che si intenderebbero per paradosso incentivare. A questo punto la soluzione la offre l’alter ego greco di Dambisa Moyo, ossia, come già si è visto, Platone. L’educazione della Polis, per l’allievo di Socrate, è l’unico strumento che permetterebbe a Kallipolis, la città bella buona, lo Stato ideale, di realizzarsi. Certo, i tempi erano altri e Platone resta un filosofo antidemocratico. Ciò non toglie che senza la paideia, senza la formazione, un sistema come quello di Dambisa Moyo ad oggi rappresenterebbe la soppressione definitiva della Democrazia e dell’idea che ogni uomo debba contribuire al benessere del proprio Stato. Se non si riforma l’educazione insegnando dal principio l’importanza del voto e non si danno le basi per permettere agli elettori di farsi consapevoli, se non si pone questo tassello importante per la creazione di questo nuovo sistema, si applicherà sempre, in modo fallimentare, la tattica di carota e bastone. E questo ci rigetterà nell’ignoranza. E saremo punto e a capo.
Giovanni Cattaneo