Un recente studio si è concentrato sulla parità di genere, chiedendosi se in ambito lavorativo sia un traguardo raggiunto oppure se si è ancora molto lontani dall’auspicare un’equa distribuzione del lavoro. Lo studio ha indagato tale aspetto considerando due elementi implicati in tale processo: il pregiudizio e l’omofilia.
La parità di genere è un argomento sul quale si discute da molto tempo, soprattutto in ambito lavorativo. Nonostante quasi la metà della forza lavoro ormai sia composta da donne, nelle gerarchie delle organizzazioni i livelli più alti solitamente sono ricoperti da uomini. Molti studi stanno quindi indagando quest’aspetto, chiedendosi se la parità di genere sia ancora molto lontana oppure se ormai il traguardo sia vicino. Tra questi troviamo uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università dell’Illinois, i quali hanno sviluppato un modello matematico che simula l’ascesa delle donne in diverse professioni, tenendo in considerazioni due elementi che sembrano essere coinvolti in tale processo, il pregiudizio e l’omofilia (la tendenza a preferire persone simili a se stessi). Questa ricerca ha evidenziato un aspetto importante: la parità di genere non può essere raggiunta se non si prendono delle decisioni ben definite e se non c’è un intervento deliberato in determinati campi.
Lo studio
Il modello creato è stato convalidato grazie all’analisi di un database, durante la quale si è tenuto conto dello scorrere del tempo come variabile per 16 gerarchie professionali. Così facendo sono stati individuati due elementi coinvolti nei processi decisionali collegati all’ascesa gerarchica: coloro che chiedono una promozione e coloro che la concedono. La simulazione ha messo in evidenza che nei campi in cui l’omofilia è particolarmente marcata (come nell’ingegneria) i livelli più alti dovrebbero essere ricoperti solo da uomini o solo da donne, mentre nei campi in cui i pregiudizi sono particolarmente marcati (come il mondo accademico della matematica o della chimica) la parità di genere non può essere raggiunta ai livelli più alti della gerarchia lavorativa. In altri campi invece, come la medicina e la giurisprudenza, non si osserva un’influenza di queste due componenti sulla parità di genere, ma il modello avrebbe previsto che quest’ultima potrebbe comunque essere raggiunta.

Alla fine sono state messe in evidenza le aree sulle quali si potrebbe lavorare per combattere l’assenza della parità di genere, indicando anche diverse alternative per raggiungere quest’obiettivo. Per esempio si potrebbero finanziare dei progetti per arginare i pregiudizi di genere oppure aumentare la rappresentanza femminile in quel determinato campo.
Stereotipi, pregiudizi e teoria dell’identità sociale
Si tratta di un fenomeno insito nella natura umana che porta ciascuno di noi a considerare ingiustamente e soprattutto negativamente le persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale. Il concetto di pregiudizio è strettamente legato a quello di stereotipo, una credenza ben radicata nella nostra mente che ci porta a giudicare negativamente una certa categoria sociale o un gruppo diverso che non sia quello a cui apparteniamo. Viene quindi spontaneo domandarsi come mai sono tanto diffusi visto che tendono a farci giudicare negativamente gli altri. La risposta arriva dalla psicologia sociale, più precisamente da Tajfel, autore della teoria dell’identità sociale.
Secondo questa teoria, ci sarebbe una parte di noi (la nostra identità sociale) che si crea in relazione al gruppo d’appartenenza, il cosiddetto ingroup. Col passare del tempo ci identifichiamo sempre più nel nostro ingroup, facendo nostre le caratteristiche che lo contraddistinguono da altri gruppi, i cosiddetti outgroup. L’ingroup va valorizzato e categorizzato positivamente e questo permette anche un aumento della propria autostima perché far parte di un gruppo positivo, rende anche i suoi membri positivi. L’outgroup è formato da persone dalle quale vogliamo distinguerci e con le quali spesso non si vuole avere nulla a che fare perché hanno valori dissimili dai nostri o perché mettono in atto comportamenti che non condividiamo. Ragion per cui l’outgroup viene connotato negativamente, sminuito e svalorizzato.
Il diavolo veste Prada
Nonosante per le donne a volte sia davvero difficile fare carriera ed arrivare ai vertici più alti di un’azienda, alcune ci riescono ed è proprio il caso di Miranda Priestly. Non senza fatica e senza sacrifici, Miranda è riuscita a diventare la direttrice di una delle riviste di moda più importanti del mondo, Runway. In realtà la vera protagonista del film è Andy Sachs, una giovane donna che ha deciso di fare domanda per l’ambitissimo posto di seconda assistente di Miranda. Basta infatti un solo anno di esperienza a Runway per aprirle le porte del mondo del giornalismo, il campo in cui vorrebbe lavorare. Ciò però non toglie importanza alla figura di Miranda.

La comparsa del personaggio sulla scena è anticipata da elevata agitazione da parte di tutti i suoi dipendenti; tutto deve essere perfetto e pronto per il suo arrivo. Miranda è esigente, fredda, distaccata e pretende che tutto sia fatto alla perfezione, non accetta errori di alcun tipo e perfino lo sbaglio più piccolo e marginale potrebbe costare il posto di lavoro. La sua opinione è l’unica che conta davvero ed è una cosa risaputa non solo tra i suoi dipendenti, ma anche nel mondo della moda. Miranda ha talmente tanto potere ed importanza che solo con un cenno del capo è in grado di influenzare i più grandi stilisti del mondo.
Esistono però due lati di Miranda: quello al quale si è sottomessi e quello che invece Andy stima molto. Un lato freddo e spietato in ambito lavorativo ed un lato più umano che emerge soprattutto al momento del suo ennesimo divorzio. Nonostante i problemi personali, Miranda continua con il suo lavoro senza batter ciglio ed è proprio in questo che risiede la grandezza del personaggio, è proprio questo che la rende una gran donna, con tutti i pro ed i contro. “Se fosse un uomo, nessuno la vedrebbe come la vedono e direbbero solo quanto è in gamba nel suo lavoro“.
Martina Morello