La musica indie non è eterna come una canzone di De Andrè, è così legata al tempo in cui nasce che non potrà durare per sempre: a noi piace tanto, ma se è destinata a finire, qual è il suo valore? Lo stesso che ha avuto la poesia petrarchista nelle corti del Cinquecento.
De Andrè e i cantanti indie: per sempre vs per ora
“Le canzoni di De Andrè sono di tutti, si riflettono nella vita di tutti. Parlano a tutti.” Così Colapesce quando parla di Faber Nostrum, il disco-tributo al cantautore genovese ad opera di vari cantanti, molti dei quali della scena indie.
È vero, sì: le canzoni di De Andrè sono proprio di tutti, parlano proprio a tutti: piacciono a noi ‘giovani d’oggi’ che le ascoltiamo e vi scopriamo modi inaspettati di guardare il mondo, piacevano ai giovani di prima e a questi, che sono ora i nostri genitori, continuano a piacere anche se giovani non sono più, loro che quando sentono che ascoltiamo De Andrè dalla parte opposta della casa iniziano a canticchiare. Li sentiamo che si emozionano, ricordano e si meravigliano ancora. Perché? Perché le canzoni di De Andrè sono un classico e lo sono in quanto senza età e senza tempo: non si accontentano di essere circoscritte a un’epoca, si riverberano nelle nostre esistenze e si rinnovano dei significati che ognuno vi scopre.
E la musica indie invece? La musica indie ci piace un sacco, piace un sacco a tutti.
Ma che direbbe tuo padre se gli urlassi “io ti giuro che torno a casa e mi guardo un film” (Frosinone, Calcutta, Mainstream)? Inevitabilmente farebbe quantomeno una faccia perplessa. E infatti l’indie è così: se non sei giovane non la capisci, senti parole a caso urlate quando non c’è niente da urlare e sussurrate quando dovrebbero essere gridate. L’indie non è di tutti, è musica che guarda ai cantautori come modelli grandi e venerabili, ad essi si ispira, da essi parte, ma non è De Andrè, né lo pretende.L’indie è per ora, è di adesso, è così radicata nel tempo in cui nasce da non poter estendersi troppo nel futuro, da dover per forza appassire.
Ma se deve sfumare, allora dove sta il suo valore? Perché noi ci troviamo così tanto significato?
I poeti petrarchisti del ‘500 possono aiutarci a capirlo.

Una poesia per la corte a partire da Petrarca
Petrarca è indiscutibilmente un classico e lo è nella misura in cui anche noi, oggi, ci sentiamo a volte strappati in due e in bilico tra un obiettivo e la nostra mancanza di volontà per raggiungerlo, mentre tentiamo di costruirci un io che abbiamo ben chiaro in mente ma che nelle azioni ci sfugge, proprio come lui.
È un classico perché annulla la distanza temporale in nome della nostra comune complessità di essere umani, oggi come ieri.
I petrarchisti invece sono una miriade di poeti del Cinquecento (e veramente una miriade, dato che la poesia petrarchista allarga la pratica poetica a tantissimi soggetti che prima ne erano esclusi, dalle donne agli artigiani) che imitano Petrarca, ma lo imitano banalizzandolo: ne colgono solo alcuni aspetti superficiali, e producono una poesia che, lungi dall’essere eterna, è estremamente radicata al contesto e al tempo in cui viene prodotta ed è facilmente accessibile, non troppo complessa.
Ha un destinatario ben preciso: la corte. È lì che si spende e lì che si consuma, ma poi non suscita interesse in epoche successive: muore.
Eppure, la poesia petrarchista, nel suo tempo, ha avuto un successo enorme: ha ampliato il pubblico non solo dei poeti ma anche dei lettori, ed è stata un fenomeno culturale imponente, se non persino un fenomeno di costume.
Ben presto dimenticata, è stata un’esperienza molto forte finché è sopravvissuta. Ecco allora dov’è stato il suo valore: nel suo saper raccontare un tempo, nel suo saper essere specchio di una realtà. Ha dato voce a molti e molti si sono sentiti da essa rappresentati.

Racchiudere il presente: il valore dell’indie
Proprio come i poeti petrarchisti, i cantanti indie producono qualcosa che è meno complesso del modello da cui partono ed enormemente più circoscritto a un contesto socio-culturale: noi giovani, e giovani adesso.
Tuttavia di quel contesto a cui si rivolge coglie gli aspetti salienti, li presenta in forme innovative, a quel contesto piace.
Ed è proprio in questo, cinquecento anni dopo i petrarchisti, che sta il significato di questa musica leggera: nell’essere carta carbone: ci ricalca alla perfezione. L’ascoltiamo e troviamo noi stessi dentro quelle frasi un po’ illogiche, dentro quei paragoni assurdi, dentro quelle note che ci rimangono in testa.
L’indie no, non arriva in profondità come il modello da cui parte, proprio come i petrarchisti non arrivavano fin dove era giunto Petrarca. L’indie non è De Andrè, non scava un solco nel tempo, non unisce orizzonti distanti, ma ci aiuta a interpretare ciò che siamo, a guardarci con occhi sempre diversi. L’indie ci aiuta a scoprirci un po’.

Eva Simonetti