Nella società odierna il confronto con il diverso è visto come un’imposizione che spesso risulta scomoda e fastidiosa. Purtroppo c’è ancora bisogno di ricordare quanto questo incontro sia necessario, oltre che inevitabile.
Primi incontri
Ognuno di noi come individuo è fortemente influenzato dalle parole e dal contatto con entità esterne, prime fra tutti i genitori: loro sono le prime persone con cui entriamo in contatto dopo la nascita e anche il nostro nome, ciò che ci identifica una volta venuti al mondo, è qualcosa che ci viene dato, quasi conferito, da qualcun altro. Da questo momento, inconsciamente, impariamo a relazionarci con ciò che è altro rispetto a noi. A partire dall’infanzia quindi costruiamo la nostra identità confrontandoci con il mondo che ci circonda: quello che sappiamo, quello che pensiamo e quello che siamo, sono dunque il risultato di miliardi di parole pronunciate da altri.
Il Dialogo come punto di partenza
Già Socrate nel quinto secolo avanti Cristo aveva riconosciuto nel λόγος, parola/pensiero/discorso, l’unità fondamentale dell’esistenza umana. Solo attraverso il dialogo, infatti, l’uomo può dare una risposta alle sue domande più profonde e, grazie al confronto con l’altro, far emergere la verità che è insita nella sua natura grazie all’arte che Socrate stesso nel Teeteto definisce μαιευτική: come la levatrice sostiene la donna durante il parto, così il filosofo induce l’ interlocutore a dare una risposta ai suoi quesiti più intimi.
Condizione necessaria per l’esistenza di un dialogo però è l’interlocutore, senza di lui non ci sarebbe confronto e dunque crescita. In questo senso l’incontro con il diverso, che sia in positivo o in negativo, porta in ultima analisi a un arricchimento e allo sviluppo di un pensiero critico che ci permette di maturare e non rimanere ancorati a una realtà altrimenti immobile e inalterabile.
La prospettiva di Magritte
Tale conflitto resta irrisolto in La riproduzione vietata di René Magritte, il quale ci propone una riflessione sulla costante e tortuosa ricerca dell’uomo della sua identità.
René François Ghislain Magritte, nato a Lessines (Belgio) il 21 novembre 1898, è considerato oggi uno dei maggiori esponenti europei dell’intero movimento surrealista. In particolare viene tutt’ora ricordato come le saboteur tranquille per la capacità di insinuare dubbi sul reale tramite la sua rappresentazione.
In effetti anche in quest’opera non manca un’importante distorsione della realtà volta a svelarne i misteri più remoti: è rappresentato un soggetto di spalle che, guardandosi allo specchio, invece di vedere il suo volto riflesso, trova l’immagine che lo spettatore ha di lui.
Il libro che notiamo alla destra dell’individuo è probabilmente un’allegoria della conoscenza che il protagonista mira ad ottenere specchiandosi ma che evidentemente non raggiunge: l’uomo infatti non vuole solamente specchiarsi ma ritrovarsi nell’immagine di se stesso. Al contrario la conoscenza, specialmente se messa per iscritto, è immutabile, cambiano le interpretazioni ma il contenuto rimane lo stesso, per questo motivo il libro viene riflesso perfettamente. Gli oggetti inanimati infatti non hanno bisogno di autoaffermarsi e conoscersi nel profondo, cosa che invece l’uomo, in quanto essere dalla personalità complessa, sente l’urgenza di fare.
Magritte con quest’opera suggerisce di confrontarci sempre con lo sguardo dell’altro, di metterci in discussione, di cambiare prospettiva, di non temere il diverso ma di viverlo sulla nostra pelle come una nuova opportunità per riscoprirci.
Gloria Morsello