Nel 2013 un fenomeno sociale conquista la copertina del Time: si tratta del movimento childfree (dall’inglese child, bambino, e free, libero), che recentemente si sta facendo conoscere sempre più anche in Italia. Questa iniziativa raccoglie al suo interno tutti coloro che per scelta, e non per impossibilità o altri motivi (childless), decidono di non avere figli, sia essa una scelta individuale o di coppia. Tale scelta può declinarsi attraverso il semplice evitare la gravidanza o addirittura la sterilizzazione volontaria. Quali sono i motivi che portano un individuo a volere o non volere dei figli? Ma soprattutto, come mai si è sentito il bisogno di dare inizio ad un movimento per dare risonanza ad una scelta che potrebbe sembrare personale?
Le ragioni che ci spingono a rifiutare di assumersi il ruolo di genitore possono essere tra le più disparate: dal non sentirsi adeguati ad un simile compito al non voler che la propria vita subisca limitazioni, da un’incompatibilità tra maternità e lavoro al semplice non sentire che il proprio figlio sia necessario per l’umanità, fino ad un’impossibilità economica (in questo caso però non si potrebbe parlare di libera scelta, essendo necessitata da contingenze estranee all’auto-determinazione spontanea). Molti membri di questo movimento tuttavia sostengono una tesi interessante per quanto inusuale: essere childfree non è una scelta, ma tale ci si nasce. Non è raro infatti trovare affermazioni del tipo “il mio orologio biologico non ha mai ticchettato” o “giocare a ‘mamma e figlia’? Mi dava fastidio, ero nervosa e mi annoiava”. E’ realmente possibile un simile scenario? Come per molti altri argomenti non possiamo essere certi di quali potrebbero essere le cause, anche se le ipotesi sono molteplici:
- potrebbe esistere un gene, presente solo in alcuni individui, che ci porta ad una simile propensione;
- l’ambiente e l’epoca che viviamo, molto più liberale che in passato, dove ad esempio una prole attiva non è più necessaria per aiutarci in un lavoro come può essere la coltivazione di campi o la gestione di una bottega artigianale, influenza costantemente l’essere umano dal punto di vista biologico, mutandone occasionalmente la natura del DNA (epigenetica);
- delle ragioni biografiche, quindi del vissuto personale di ognuno, potrebbero portarci ad essere più o meno favorevoli ad avere dei figli: in questo caso quindi non si tratterebbe di una scelta, ma di una presa di coscienza della propria inclinazione.
Sta di fatto comunque che questa più o meno profonda convinzione di essere childfree porta molti membri di questo movimento a desiderare “di far combaciare il corpo con la mente una volta per tutte”, ovvero ricorrendo ad interventi chirurgici per adottare il miglior contraccettivo esistente: la sterilizzazione. Rimane da chiedersi se valga la pena andare ad intervenire in maniera irrevocabile sul corpo quando tale pratica non si dimostra strettamente necessaria, ma non è nostro compito giudicare questa decisione.
Al di là di questi molteplici fattori, viene da interrogarsi sul come mai si sia dato inizio ad un movimento di questo tipo, che si fa bandiera, in tempi moderni, di idee e prese di posizione che esistono in realtà dalla notte dei tempi. La risposta la danno gli stessi membri: la stanchezza di sentirsi discriminati in un mondo, a loro dire, fortemente tradizionalista e “bambino-centrico”, in cui le continue domande del tipo “e un bambino quando lo facciamo?” fanno sentire fuori luogo coloro che liberamente hanno preso questa decisione. L’attrice Michela Andreozzi infatti scrive, nel suo libro “Non me lo chiedete più“, di come le donne childfree siano vittime, a suo dire, di una visione “estremamente limitante, fortemente radicata e sessista” della femminilità; inoltre afferma che “dire di non volere figli oggi è un po’ come fare coming out“. Far parte di un gruppo, quindi, che amplifichi e dia voce alle mie scelte personali, oltre a farmi acquistare fiducia in me stesso, dà a questi pensieri una legittimazione tangibile, trasformandoli in idee di massa.
Purtroppo però, questo tipo di discriminazione in materia non è l’unica: non è difficile incorrere in giudizi altrui, diametralmente opposti, nel caso si voglia invece diventare madri in giovane età. Non è un mistero il fatto che siamo immersi in una società di stampo, spesso, edonista e consumista, non solo tradizionalista in alcuni ambienti: il desiderio di generare un figlio quando si è ancora giovani, spesso e volentieri è quasi di scandalo. Ovviamente è bene non essere ingenui: il desiderio di non avere figli potrebbe essere una scelta ‘egoista’ esattamente come quella di volerne, ad esempio per una soddisfazione personale o per paura di non lasciare nulla di sé dopo la nostra morte. Questa non è però l’unica ragione esistente per crescere dei bambini: una coppia può decidere spontaneamente di accettare, con serenità, qualsiasi situazione il futuro presenterà loro, che potrebbe manifestarsi in una prole anche numerosa, non per questo necessariamente da evitare.
In conclusione, una manciata di riflessioni. In primo luogo, è bene auspicare che si arrivi finalmente alla libertà per cui da anni i movimenti di emancipazione lottano, per abbattere pregiudizi e stereotipi che corrodono le nostre scelte personali, siano esse childfree (progressiste) che childfriendly (più tradizionaliste), senza la necessità di ricorrere alle etichette appena citate. In secondo luogo però, è opportuno anche che la nostra società ponderi adeguatamente quali direzioni percorrere. Se la dottrina childfree venisse adottata massicciamente per emulazione, e non per reale condivisione di ideali, l’occidente potrebbe trovarsi in un grave deficit nelle nascite, rischiando di perdere la propria forza economica: Cina ed India, le nazioni più popolose al mondo (1.330.336.686 abitanti l’una e 1.198.003.272 l’altra, seguite dagli Usa con 319.081.833, numero irrisorio a confronto), in virtù di questa gigantesca forza effettiva, si dimostrano di giorno in giorno sempre più dominanti nel panorama internazionale, rischiando di fagocitare le (sempre meno) super potenze occidentali. In terzo luogo, ogni società anela, a livello istintivo, la propria perpetuazione nel tempo, la propria auto-conservazione, come ogni legge naturale afferma, per lo stesso motivo per il quale una persona si difende se viene attaccata. E’ il caso di decidere se tale inclinazione vada assecondata, o se al contrario si voglia veleggiare verso una possibile estinzione.
Paolo Vannozzi