La sessantanovesima edizione del Festival della canzone italiana ha decretato vincitore Mahmood. Questo verdetto ha scatenato le polemiche di Ultimo, l’artista favorito alla vittoria, che ha criticato le dinamiche di voto. La vittoria di Mahmood è stata possibile grazie ai voti della giuria di esperti, che col proprio verdetto ha ribaltato il risultato del televoto. Questa polemica sul voto di San Remo è diventata in poche ore un acceso dibattito politico sui social nutrito dai principali esponenti politici italiani. Perchè anche l’intrattenimento sta diventando sempre più politico?
Il voto e la polemica sui social
Classe 1992, nato a Milano da madre italiana e padre egiziano, Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood, ha vinto la sessantanovesima edizione del festival di San Remo col brano “Soldi“. Dopo una esperienza ad X-Factor nel 2012, Mahmood ha avviato la propria carriera nel quasi inesistente panorama urban italiano ispirato da artisti del calibro di Beyonce e Frank Ocean. Vincitore della scorsa edizione di San Remo giovani, è arrivato in vetta all’Ariston in maniera inaspettata. Tutti gli osservatori, insieme ai numeri del televoto, davano come favorito alla vittoria Ultimo, già vincitore del festival lo scorso anno, che ha mosso dure critiche al sistema di voto del festival.
Il risultato del televoto della finalissima ha infatti visto trionfare Ultimo con quasi il 50% delle preferenze, mentre Mahmood è arrivato terzo dietro a Il Volo. Il peso del televoto sul giudizio finale (50%) è però mediato dal giudizio di due giurie: la giuria della sala stampa (30%) e la giuria d’onore (20%). L’indignazione del giovane artista nei confronti del sistema di voto è stata cavalcata da diversi esponenti politici che hanno strumentalizzato la polemica scatenando il putiferio sui social. In un post su Facebook il Ministro Di Maio, parlando dei risultati della finale, ha ribadito come anche il festival di San Remo abbia contribuito ad aumentare la distanza tra popolo ed elite che in questo caso sarebbe formata dai membri delle giurie, quindi giornalisti, esperti di musica e personaggi di spettacolo. Sempre su questa scia anche il presidente Rai Marcello Foa, vicino alle posizioni grilline su elite e sovranità popolare, ha dichiarato la volontà di rivedere il sistema di voto del festival per far si che il pubblico si senta rappresentato. Tutto questo riproponendo però il tema del conflitto popolo elite già cavalcato da Di Maio.
Il presunto conflitto tra elite e popolo riscontrato nell’assegnazione del premio di San Remo da Di Maio ha creato indignazione sui social dove migliaia di utenti hanno accusato le giurie di avere preso una decisione politica nel votare Mahmood vincitore, spinti da poteri che neanche gli accusatori sanno bene indicare.

Le polemiche sul voto di San Remo sono legittime?
Per rispondere a questa domanda credo sia necessario partire dal presupposto che stiamo parlando di un contest musicale, un programma d’intrattenimento che come tale ha le sue regole. Le regole con cui sarebbero stati assegnati punteggi ai cantati in gara erano chiaro da subito. Secondo Ultimo il giudizio della giuria avrebbe influito troppo sul televoto da casa ribaltando il risultato. Questo argomento risulta fazioso nel momento in cui le regole con cui i punteggi sarebbero stati assegnati erano chiare a tutti prima che il festival iniziasse. Ma come ricorda Di Maio nel suo post, i votanti hanno pagato 50 centesimi per esprimere la loro preferenza ed è legittimo che questa debba avere il suo peso. Questa è una critica che possiamo porre a monte dell’organizzazione del festival, ma non possiamo sostenere che il regolamento del festival abbia favorito qualcuno in particolare durante lo svolgimento. Se le prestazioni di Mahmood non fossero state apprezzate dalle giurie l’esito finale sarebbe stato diverso.
Risulta chiaro che queste polemiche possono anche essere legittime, ma sono racchiuse all’ambito dello spettacolo. Allora perchè sui social si sono trasformate in un dibattito politico?
Il senso della democrazia e la strumentalizzazione politica
Il tema della sovranità popolare è uno dei cavalli di battaglia del M5S, ma più genericamente tocca la sensibilità dell’ala sovranista della politica europea che l’attuale governo giallo-verde rappresenta nel nostro paese. Gli stessi “gilet gialli”, che sono lontani dalla politica dei partiti, si trovano sulla stessa onda ideologica di chi chiede a gran voce più democrazia diretta. Spesso queste parti politiche tendono a comunicare questo sentimento largamente condiviso creando un binomio che associa la democrazia al voto dei propri rappresentanti. Non si tratta di un errore, questo è proprio l’assetto istituzionale del nostro paese, ma è solo un tassello tra gli elementi che formano il nostro complesso assetto democratico.

Ridurre l’ampio concetto di democrazia al concetto di rappresentatività è una semplificazione. La democrazia applicata in maniera pura (democrazia diretta) è un sistema tanto affascinante quanto debole. Il principale paradosso che pone in essere infatti è che se la maggioranza scegliesse di instaurare un regime totalitario, la democrazia morirebbe democraticamente. Proprio per questo l’elemento essenziale per far si che una democrazia funzioni è la larga accettazione di una “cultura democratica”, un senso comune sensibile al tema della democrazia. Nelle società moderne, soprattutto grazie ai nuovi media, il sentire comune varia con una velocità impressionante. Questo è uno dei motivi per i quali viviamo in sistemi politici nei quali il potere è distribuito su più organi e più istituzioni che creano un sistema di pesi e contrappesi che garantiscono il rispetto dei principi democratici e della libertà individuale, limitando però le azioni che i rappresentanti votati potranno eseguire una volta al potere.
Si, possiamo affermare che la nostra democrazia, così come quella di tutti i paesi democratici nel XXI secolo, non è pura nel suo significato più autentico ma ha le gambe tagliate. Se i politici che eleggiamo non possono agire in totale libertà è perchè operano all’interno di un assetto istituzionale che distribuisce i poteri su più organi che limitano i poteri della classe politica.
La strumentalizzazione dei politici di una polemica su uno spettacolo è volta a polarizzare le opinioni, dividere e rafforzare così la propria retorica sulla democrazia diretta. Tutti consapevoli dell’impossibilità di realizzare quest’ultima, rafforzare il binomio democrazia=voto di rappresentanza significa rafforzare l’idea di un rappresentante politico che esprime la volontà popolare al di là di quelle barriere che la struttura democratica stessa impone. Ma questa strumentalizzazione è possibile nel momento in cui viene a mancare una definizione, il significato profondo del termine “democrazia” che è sulla bocca di tutti ma racchiude in sè infinite sfaccettature.
Edoardo Dal Borgo