L’avvelenata di Guccini e la musica come dimensione fondamentale dell’uomo e della società

“Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni,
credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni?”  Questa domanda, intrisa di arrabbiatura e frustrazione, è l’incipit di uno dei più grandi capolavori della musica italiana: “L’avvelenata” di Francesco Guccini. Cantautore, musicista, poeta, Guccini rappresenta uno dei personaggi più significativi del nostro panorama musicale. In questo suo testo, considerabile come un piccolo manifesto della sua concezione della musica, emerge il doppio valore di quest’ultima. Nella citazione “Però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia” si condensa, in una curvatura polemica e in una finta giustificazione, il ruolo sociale, che la storia spesso richiede, della musica. Al contrario, proseguendo nell’ascolto del testo e sentendo “Io canto quando posso, come posso, quando ne ho voglia, senza applausi o fischi, vendere o no non passa fra i miei rischi: non comprate i miei dischi e sputatemi addosso” si palesa la sua dimensione personale ed individuale. Nell’avvelenata, così come in tutta la discografia di Guccini, questa doppia dimensione della musica è sempre ben presente. Una duplice quadro di considerazione che accompagna anche la storia del pensiero filosofico su questa branca dell’arte.

Frontespizio del vinile dove è incisa “L’avvelenata”.

Musica ed etica in Platone

Partiamo da dove tutto è partito. Nel contesto storico dell’antica Grecia, alla musica veniva attribuito primariamente un valore educativo, in quanto strumento capace di plasmare l’animo. Per tale motivo, le considerazioni riguardo al ruolo della musica muovevano maggiormente sul versante etico che su quello estetico. Il valore musicale di un’opera era strettamente connesso alla sua corrispondenza con la dimensione sociale e religiosa. Platone, nella “Repubblica”, parla della musica come di un’ arte capace di rappresentare le qualità morali e l’animo umano. Per tale motivo, le scelte musicali dovevano, nel pensiero platonico, orientarsi verso una corrispondenza e un’appropriatezza al modello di “uomo virtuoso”. Indubbiamente pure il piacere individuale, quella curvatura estetica che sorge nell’animo dall’ascolto, aveva una sua considerazione. Ciononostante, anche in quei passi nei quali Platone si sofferma maggiormente sul piacere estetico, il motivo etico rimane sempre denso e decisivo sullo sfondo. Esemplare è un altro passo della “Repubblica”“Chi possiede una sufficiente educazione musicale può accorgersi con grande acutezza di ciò che è brutto o imperfetto nelle opere d’arte o in natura, mentre sa approvare e accogliere con gioia nel suo animo ciò che è bello, e nutrirsene e diventare un uomo onesto”.

Emil Nolde, La danza intorno al vitello d’oro, 1910. Olio su tela.

Rousseau e la musica come fonte di disuguaglianza

Riguardo al ruolo sociale della musica, anche Rousseau ha scritto pagine di grandissimo valore. Nel “Discorso sulla diseguaglianza” egli assegna all’esercizio della musica la formazione di una prima dimensione di intersoggettività. Gli uomini, inizialmente dispersi nell’ambiente, iniziarono a riunirsi davanti ad alberi, a capanne o a un fuoco per cantare e danzare. Proprio grazie al canto e alla danza che ne consegue, essi trovarono una via di superamento della loro precedente condizione esistenziale. Da enti isolati divennero dunque enti in relazione. Ma tale mutamento nasconde, secondo l’interpretazione di Rousseau, anche il momento genetico dell’affermarsi delle diseguaglianze sociali. “Ciascuno cominciò a guardare gli altri e a farsi guardare e la pubblica stima acquistò pregio. Chi cantava e danzava meglio, il più bello, il più forte, il più abile o il più eloquente divenne anche il più considerato.” 

Citazione da “L’avvelenata” di Francesco Guccini.

Schopenauer e la musica come anelito alla libertà

Per quanto concerne il valore individuale della musica, il grande pensatore di riferimento non può che essere Schopenauer. Nel suo sistema metafisico a questa dimensione dell’arte, spetta un ruolo fondamentale. Arte fra le arti, essa ha un accesso immediato alla Volontà di vivere, quel principio assoluto e irrazionale e che regola, determina ed esperisce il nostro mondo. La musica infatti riesce a restituirne un’immagine pura, non mediata, indipendente addirittura dall’esistenza stessa. “La musica oltrepassa le Idee, è del tutto indipendente dal mondo fenomenico”. L’accesso conoscitivo privilegiato al principio metafisico che governa il Tutto che essa ci fornisce inoltre non esaurisce il suo valore. La musica infatti, come rende possibile tale conoscenza, parimenti rende possibile una prima forma di liberazione da tale Volontà. Nella fruizione dell’opera musicale l’uomo riesce dunque a liberarsi da quel macigno, da quel peso insostenibile che schiaccia ogni vita. Una liberazione che indubbiamente è momentanea e non definitiva, ma rappresenta, non con meno valore, quel primo anelito dell’uomo alla libertà. Ed è forse questo, ancora oggi, il più grande valore della musica per noi esseri umani.

Dario Montano

 

 

 

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