Oggi, quando si sente dire Homo homini lupus, non è immediata a tutti la connessione all’autore di questa massima, Thomas Hobbes. La sua sentenza, in un certo modo entrata nella cultura popolare, viene da questa scandagliata spesso in maniera superficiale, astraendola da tutto un pensiero che ne giustifica l’esistenza. Homo homini lupus diventa così l’espressione banale della tensione alla guerra tra gli uomini. Eppure non è così, o perlomeno non è così banale il suo concetto. Paradossalmente dovrebbe essere piuttosto il contrario. Un uomo calcolatore, un uomo che ragiona correttamente in vista del proprio utile, tenderebbe per contrasto alla pace. Ma allora perché l’uomo diventa il lupo dell’altro uomo?
Lo Stato di Natura per Thomas Hobbes

Nello Stato di Natura argomentato da Hobbes ogni uomo segue il conatus, la propria pulsione ad autoconservarsi. Da questo deriva ogni altra passione o desiderio, e tutto ne è indistintamente influenzato. Tutto tende a confermare la propria esistenza, anche i rapporti tra gli individui. L’altro diventa allora, irrimediabilmente, lo strumento tramite il quale un individuo esterno soddisferà il proprio conatus. Ma essere lo strumento di qualcuno contraddice la propria tendenza a confermare la propria esistenza. E allora nello Stato di Natura, se la ragione è strumento dell’utile e se l’utile è il conatus, è sufficiente che un uomo solo non ragioni correttamente, ossia in funzione della pace e del proprio utile, per scatenare il caos. E se la lotta è per la sopravvivenza il ragionamento corretto della pace non regge più. Ogni uomo ha la stessa pretesa di sopravvivere, e se sopravvivere implica contravvenire alla pace, allora e guerra sia. Una guerra totale, di tutti contro tutti.
Per uscire dallo Stato di Natura (che nemmeno è uno stare, essendo caos totale) occorre il grande Leviatano, uno Stato, un sovrano, ma non è di questo che si parlerà nell’articolo. Homo homini lupus è un’affermazione che va oltre la mera guerra tra individui. L’uomo è preda e predatore dell’uomo, è disposto a mangiarlo per sopravvivere, l’altro diventa un mezzo per vivere e per restare in vita. E se il verbo “mangiare” ora è stato usato in senso figurato non è detto che, nella peggiore delle distopie, non possa diventare letterale.
Homo homini lupus: la versione di Tokyo Ghoul

Tokyo Ghoul è un anime, un manga, tante cose: forse chiamarlo opera d’arte è ciò che meglio gli si addice. Gli spunti che può fornire sono molteplici, ma per ciò che concerne Hobbes ci basta scandagliarne la struttuta su cui poggia lo sviluppo dell’intera trama. A Tokyo vivono due creature: umani e ghoul. La differenza tra i due è minima in apparenza, anzi, i due si mischiano costantemente per le vie della città. È solo una la divergenza sostanziale che li separa nettamente: i Ghoul possono mangiare solo carne umana. Non hanno scelta: se vogliono sopravvivere devono uccidere, e se hanno una morale incrollabile l’azione più nobile che si possono permettere è cibarsi di cadaveri. Ma non basta: il conflitto con la razza umana è inevitabile perché poggia sulla loro stessa natura. Sono l’incarnazione del conatus hobbesiano: lo scontro perpetuo tra le due fazioni non nasce propriamente dall’odio che esse si scalgliano contro, ma dal desiderio di vivere. L’uomo è in pericolo tra i ghoul, i ghoul sono morti se non uccidono l’uomo. Una pace è impossibile anche se procurerebbe meno morti, anche se la suggerisce la ragione. È la vita a farla da padrone.
Peraltro la scelta di rendere i Ghoul simili in tutto e per tutto all’essere umano non è casuale. Sia nell’anime che nel manga, nel corso della trama, gli umani diventano ghoul, i ghoul passano dalla parte degli umani. Lo scontro si fa caotico, confuso, le fazioni in lotta si fanno a tratti indistinguibili, proprio perché lo scontro è individuale e atomistico: una continua lotta per la vita. E allora forse non serve un ghoul per capire che lo scontro può essere ridotto a due mega-uomini. Uno che attacca per sopravvivere, l’altro che si difende per il medesimo fine. Tokyo Ghoul è solo la versione più estrema, più cruda e più crudele di ciò che ci accadrebbe se fossimo allo sbaraglio, abbandonati a noi stessi senza una guida, senza Stato, prede inermi del nostro più radicale impluso vitale.
Giovanni Cattaneo