Aristotele sbagliava a criticare il comunismo platonico: lo dimostrerebbero i volontari GAP, tappabuche per scelta

Tremate tremate, i partigiani son tornati. Ma le cose sono leggermente cambiate da quando li abbiamo lasciati a scalpare nazisti nelle Ardenne. O quelli erano i Bastardi senza gloria di Tarantino? Poco importa in realtà, perché le loro abitudini si sono completamente trasformate. Ai fucili sostituiscono vanga e piccozza. Dagli obiettivi militari passano a quelli ‘urbanistici’. Dalla Repubblica di Salò arrivano direttamente nella Città Eterna, valicando allegramente la Linea Gotica e compiendo un salto temporale di quasi tre quarti di secolo. A ben guardare giusto l’acronimo rimane invariato, riferendosi però a un diverso compito, forse meno pericoloso ma altrettanto onorevole. Nella Roma del 2019, gli attivisti dei cosiddetti GAP non fanno più parte dei Gruppi di Azione Patriottica, quanto dei Gruppi Artigiani Prontointervento. In fondo, da artigiano a p-artigiano, il passo è breve, almeno grammaticalmente. La similitudine non è affatto frutto di un’invenzione fantasiosa, ma sono gli stessi Artigiani a farvi riferimento, come spiega Renato, pseudonimo usato da un architetto cinquantenne per nascondere il proprio nome al giornalista del Guardian che l’ha intervistato di recente: “Ognuno di noi aveva nonni o genitori partigiani. Vogliamo rendere loro onore”. Ma chi sono questi moderni GAP? Perché hanno bisogno di usare degli pseudonimi per celare la loro vera identità? E soprattutto, perché mai un giornale londinese della fama del Guardian si è scomodato per intervistarli? Che cosa avranno mai fatto per meritare tutta questa ‘notorietà’?

Piazza del Campidoglio, sede del Comune di Roma. (visitareromain3giorni.it)

Il nome dell’associazione, c’è da dire, è fuorviante in partenza. Perché i famosi Gruppi Artigiani in realtà si riducono a uno soltanto, e anche volerlo definire ‘gruppo’ è alquanto lusinghiero, visto che ne fanno parte appena venti persone. Si aggirano per le strade di Roma mettendo mano ai problemi lasciati in sospeso dal Comune: riempiono le buche del manto stradale, ridipingono strisce pedonali sbiadite e raccolgono rifiuti in eccesso. E per farlo, si attivano di notte con il volto coperto, quando nessuno li vede, perché non avendo le autorizzazioni per intervenire, sono costretti ad agire nell’illegalità. Di recente hanno imbiancato le strisce pedonali di una strada molto pericolosa. Adesso si stanno concentrando su una buca in Via Ostiense che puntualmente si riempie d’acqua a ogni nuova pioggia. Procedono lentamente e con fatica, ma d’altronde, volendo parafrasare il detto: “Roma non verrà rattoppata in un giorno”. Il loro primo obiettivo è stata una malmessa fontana anni ’40 della scuola elementare Principe di Piemonte. Spiega Peppe, un altro attivista: “L’idea è arrivata per caso. Mio figlio frequenta la scuola con la fontana rotta. Qualche mese fa sono arrivati gli addetti alla riparazione ma si sono occupati solo delle tubature, senza toccare la struttura. Così abbiamo deciso di intervenire”. Per farlo si sono intrufolati nella scuola nottetempo e hanno risolto il problema. Dove ‘colpiscono’, lasciano un marchio sull’asfalto, la loro “Z di Zorro”: l’acronimo GAP affiancato da un cacciavite e un martello incrociati – “siete ancora oggi, e come sempre, dei poveri comunisti!”, potrebbe gridare qualche uccellaccio del malaugurio. Spesso lasciano anche dei volantini nei quali invitano i cittadini a unirsi a loro: “GAP è una organizzazione segreta che invece di condurre azioni di sabotaggio, ripara laddove la burocrazia fallisce. Individua il tuo obiettivo, organizza e ripara: diventa tu stesso un gappista!”. Il che fa capire che la loro è un’opera che non ha bisogno – per obbligo o per scelta – di notorietà: nessun comitato centrale, nessuna direttiva imposta. Un gappista può celarsi dietro chiunque e dovunque. Un po’ come una cellula dormiente dell’ISIS, isolata dal resto del movimento, con la differenza che nel caso del gappista, volendo citare il leitmotiv, “invece di condurre azioni di sabotaggio, ripara laddove la burocrazia fallisce”. Ma questo ultimo accenno a una burocrazia fallimentare non si trasforma per loro in occasione di demagogia o lotta politica. A fianco di un ammirevole senso civico, dimostrano anche una incredibile onestà. Evidentemente nessuno gli ha spiegato che per ottenere il Nobel bastava limitarsi alle buche. Che a Obama gliel’hanno rifilato per molto meno. Giacché Nadir – ennesimo pseudonimo che farebbe pensare alla presenza di un buon samaritano immigrato fra le fila dei GAP – spiega come la colpa non sia imputabile solo all’attuale sindaca pentastellata Virginia Raggi: “Questa situazione è il risultato di problemi che si protraggono e sovrappongono da anni. Tutti i partiti che hanno governato Roma hanno la loro parte di responsabilità”.

Il marchio lasciato dai GAP a testimonianza del loro intervento. (agi.it)

Senza accorgersene però, i GAP non impartiscono una regola d’oro ai soli romani, ma anche a qualcuno che forse, di politica, ne capiva qualcosa in più del consigliere comunale di turno. Quell’Aristotele di Stagira che nei suoi ‘scritti’ riguardanti la politica – non a caso raggruppati da Andronico di Rodi sotto il nome di Politica – comincia la sua argomentazione come solo un buon politicante saprebbe fare: evidenziando gli errori dei suoi predecessori. E ovviamente obiettivo polemico di Aristotele diventa quel filosofo che più aveva – e avrebbe – segnato l’approccio normativo della filosofia politica, vale a dire la discussione intorno al modello governativo perfetto: nella RepubblicaPlatone parla della kallipolis – letteralmente ‘la città buona’ – e ne delinea le caratteristiche fondamentali. Resosi conto della conflittualità generata dal desiderio dei singoli di accaparrarsi quante più risorse possibili, e dunque dell’impossibilità di costituire un ordine pacifico laddove perdurino gli squilibri economici, Platone risolve il problema alla radice con una Prima Ondata apparentemente paradossale, un principio quasi inaccettabile secondo cui si sarebbero dovuti mettere in comune mogli, figli e proprietà private. Lasciando i primi alla felicità dei poligami, è il terzo punto ad aver fatto parlare, in modo piuttosto semplicistico, di comunismo platonico. Semplicistico perché in realtà Platone fa valere questa regola dello spossessamento della proprietà privata solo per alcune classi, quelle dei guardiani e dei governanti, che dovendosi occupare solo del bene della polis non possono essere distratti dall’accumulo personale di beni materiali, a costo di un altrimenti insanabile conflitto d’interessi. Ciò non vale invece per la classe dei lavoratori, che possono tranquillamente accaparrarsi nuove risorse, sempre e comunque entro certi limiti. E semplicistico perché, nelle Leggi – dialogo che molti considerano spurio perché troppo simile alla Repubblica, quando invece ne rappresenta una versione più credibile e applicabile – Platone corregge questo suo comunismo sostenendo che la proprietà privata debba essere concessa a patto che non si superi un rapporto di 1:4 – nel senso che il più ricco non potrà possedere più di quattro volte i beni del più povero.

Aristotele come viene rappresentato ne ‘La Scuola di Atene’, affresco realizzato da Raffello Sanzio fra il 1509 e il 1511 per la Stanza della Segnatura, nella Città del Vaticano. (scuolafilosofica.com)

Aristotele però, forse poco aggiornato o troppo fedele a quel buon vecchio proverbio che recita “Moglie e buoi dei paesi tuoi”, decide di affermare con forza, contro Platone, che nella sua kallipolis, nel suo Paese, mogli e buoi non sono di tutti. Si convince insomma che la proprietà privata sia preferibile alla comunione dei beni, adducendo varie argomentazioni a suffragio di questa teoria. Sostiene innanzitutto che il piacere prodotto dal possesso di beni materiali è un istinto innato e del tutto naturale per l’Uomo. Aggiunge poi che diverse fatiche retribuite allo stesso modo, uccidono la meritocrazia e causano discordia. E afferma infine, e qui risiede il punto fondamentale, che l’Uomo cura molto di più ciò appartiene solo a lui rispetto alla proprietà comune, di cui usufruisce in minima parte. Il motivo, detta in parole povere, per cui passiamo l’aspirapolvere per tutta casa ogni Santa Domenica, ma non facciamo un paio di passi in più per buttare l’involucro della caramella nel secchio piuttosto che per terra. Ma nonostante questa veritas possa valere tranquillamente per la maggioranza dei romani, sembra che con GAP Aristotele abbia fallito. O che abbia trovato invece quella fatidica eccezione che conferma la regola. Perché GAP insegna, con le sue iniziative, che nonostante i servizi della Capitale siano ad uso pubblico, il privato cittadino se ne può, e se ne deve occupare. E veicola altresì un messaggio implicito tanto profondo quanto sconfortante. Per descrivere questo scalcagnato gruppo di eroi incappucciati che si aggirano di notte proteggendo la città e incidendo simboli a testimonianza del loro passaggio, la DC Comics e la Marvel messe insieme potrebbero fornirmi tante di quelle citazioni da riempirci un’enciclopedia. Per cui partirò con quel Batman(1989) di Tim Burton che recita: “Non tutti gli eroi indossano una maschera”. In tutt’altro contesto, il drammaturgo Bertolt Brecht proclama nel suo Vita di Galileo: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Concludo io col dirvi: “Sventurata la terra, che ha bisogno che i suoi eroi indossino una maschera”.

Carlo Giuliano

 

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