Scarto della crescita indiscriminata e della promessa del progresso infinito, il fenomeno migratorio nasce da istanze globali che toccano tutti. E, come tali, sono un problema per tutti, anche per i privilegiati che vogliono far finta di non vedere o che credono basti chiudere la porta per non fare entrare gli spifferi.
Migrazioni: “spostamenti, definitivi o temporanei, di gruppi di esseri viventi (uomini o animali) da un territorio a un altro, da una ad altra sede, determinati da ragioni varie, ma essenzialmente da necessità di vita. La mobilità spaziale costituisce il fondamento di ogni attività umane”, lemma della Treccani. Più del tormentone estivo, più dei consigli di bere molto e mangiare molta frutta, più dei bollini variopinti per indicare l’intasamento delle nostre reti autostradali, un tema centrale dell’estate italiana sono gli sbarchi, complice il bel tempo e le condizioni favorevoli del mar Mediterraneo. Oltre al drammatico risvolto sociale di questo fenomeno, che ha fatto del Canale di Sicilia un vasto e muto cimitero marino, l’ondata migratoria ci porta a riflettere ad ampio raggio, per cogliere in maniera profonda i contorni sociali, politici ed economici del problema. Partiamo da qualche cifra di casa nostra. La politica del Governo gialloverde ha portato a muscolari prove di forza, la scelta dei “porti chiusi” ha contribuito a ridurre gli ingressi di immigrati in Italia, senza risolvere alla radice il problema. Rispetto al biennio 2014-2016, le cifre segnano una tendenza a calare, eppure il fenomeno non si è esaurito del tutto. Non è solo la rotta liquida a essere battuta, anzi è ovvio come chi emigra verso l’Europa utilizzi tutte le vie possibili.
Un problema globale che richiede un intervento globale
In una società globalizzata, i problemi sono di tutti. Mentre la società intera è messa sotto pressione da questo accumulo di problemi, la politica appare sempre più impotente. Proprio potere e politica, braccia e mente, prassi e teoria, oggi sono distanti e questa situazione di capitalismo ingenuo e perenne accelera la loro dicotomia. Quello che vediamo sui nostri schermi e quello che sentiamo nella grancassa propagandistica sono soluzioni locali, contingenti e di minino respiro. Come detto, i problemi sono globali e necessitano risposte globali. Placebo temporanei, buoni da esibire come trofeo, utili solo a una campagna elettorale perenne, non funzionano. Per assurdo, fintanto che ci saranno poveri e umiliati non potremo noi vantarci a lungo della nostra bilancia di libertà e indipendenza. Non saremo comodi (prima gli X e poi tutti gli altri) se non risolveremo prima i problemi di tutti gli altri. Quello che chi governa non vuole farci capire (mentre non può non sapere) è che valori assoluti come libertà, democrazia e benessere non possono essere garantiti solo in un Paese o in gruppo di Paesi. Il loro futuro deve essere pensato su scala planetaria, non settoriale.
O sarà garantito in questo modo o non sarà garantito affatto. Difendere questi valori per casa nostra, separando, allontanando, posticipando e facendo finta di non risolvere il problema, non farà che incancrenire la situazione, creando una forza d’urto crescente che si potrà affrontare solo con misure drastiche. Per tutelare adesso il nostro atollo di libertà e benessere, dovremo comunque corromperci in un futuro, chiudendoci alle richieste d’aiuto come già abbiamo in mente di fare. Le ondate migratorie di cui abbiamo notizia acuiscono un vago senso di incertezza che si nutre della progressiva presa di coscienza della nostra sostanziale mancanza di controllo. Non possiamo (non si può tout court, a dire il vero) tenere sotto controllo questo fenomeno da soli, mentre appare chiaro come nemmeno il potere stesso (la politica nazionale, quella comunitaria e quella globale) abbia gli strumenti per farlo. Il non stringere le briglie delle forze che determinano il vivere sociale, infatti, ci crea paura e rabbia che vengono canalizzate nelle forme becere che conosciamo. Eppure, questo controllo ci è stato strappato dalla politica e cammina a braccetto con lo scientifico controllo atmosferico della paura.
Perché si possa mangiare, c’è qualcuno che deve essere mangiato
Come aveva già intuito con ottimo anticipo la Luxembourg, il capitalismo ha bisogno del suo contrario, occorre cioè che, per proliferare, la società libera, giusta e ricca accumuli risorse dissanguando e drenando risorse da una formazione non capitalista. In altre parole, per permettere a noi, all’Occidente, alla fascia mondiale diciamo “fortunata” di mangiare, occorre che qualcuno venga mangiato. Con lo stesso fatalismo fiducioso che brilla nel discorso marxista, Rosa aspettava l’inevitabile carestia e l’inedia per il capitalismo. Sarebbe morto di fame per aver, a forza di scorporare e creare disparità, divorato tutto. Oggi a muoversi sono soprattutto quelli che sentono sulla propria pelle o intravedono nel loro futuro la povertà globale. Lo scarto produttivo del capitalismo impoverisce le periferie che lo ingrassano, rendendo superflua, rileva Baumann, una massa crescente di esseri umani. Manca poco (o forse il sottile discrimine è stato già superato): presto il capitalismo sarà soffocato dai sui scarti che non saprà più assimilare, depurare o eliminare. Una rinnovata seppur tardiva consapevolezza ecologica ha quantomeno portato a galla (letteralmente) il problema dei rifiuti non biodegradabili, creando un dibattito virtuoso sulla sostenibilità ontica del mondo (dei suoi oggetti). Quello che manca del tutto, però, è l’ecologia ontologica che guarda alla dimensione dell’uomo inteso non solo come produttore di scarti ma anche come, a sua volta, rimasuglio di sovrapproduzione. Quello che non si riesce a smaltire (forzatamente condotto oltre i confini o tenuto al riparo) deve essere riabilitato e poi integrato, ma i vincoli oggi rendono impossibile questa soluzione. Le migrazioni aumenteranno ancora se non smetteremo di produrre scarti. Si giunge alla saturazione del pianeta da molteplici attracchi e, fintanto che l’economia sarà a marchio del capitale. Quello che spinge gli uomini a mettersi in marcia, nonostante la pericolosità di un simile tragitto, ha molte facce ma un unico grande marchio. La modernità capitalista continua a produrre scarti (oggetti e uomini) che non sono più drenati e non sono più smaltiti e nel contempo non sono stati costruiti nuove aree per il drenaggio. L’aiutarli in casa loro diventa impossibile, mentre usare la forza con chi in futuro disporrà in abbondanza di questa stessa forza è pericoloso e controproducente.
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