Immaginate un futuro dove l’artificiale prima prevalga e poi rimpiazzi il naturale, dove le A.I. siano parte integrante della nostra quotidianità e, attraverso la tecnologia, si accelerino i tempi e si precedano i risultati previsti dall’evoluzione, facendo di noi esseri vulnerabili e indifesi, veri e propri superuomini, dotati di un editing genetico modificato per resistere a malattie e minacce esterne di ogni genere, e poter far fronte a qualsiasi imprevisto. La terra finirà per trasformarsi in una vasta landa desolata, teatro rovinoso di guerre e scontri sempre più distruttivi. La vita da superuomini sarà ovviamente un privilegio di una casta limitata, giudicata in grado di poter sostenere questa condizione e sfruttarla nel migliore dei modi. Questo genererà dislivelli qualitativi mai visti, costringendo i meno adatti ad una vita di sopraffazione e umiliazione, da parte di un mondo in cui non trovano più posto. Gli Ubermenschen, sebbene non per come gli intendeva Nietzsche, riusciranno ad adattarsi a climi e condizioni di vita sempre più estreme, fino a lasciare la terra e spingersi ai limiti del cosmo, alla ricerca di nuove forme di vita e di un nuovo pianeta, lasciando dietro di sé un presente che deve farsi passato , e una natura troppo indietro rispetto alle nuove esigenze.
Stephen Hawking ci avverte sul futuro del mondo
In “Brief Answers to the Big Questions”, pubblicato qualche mese dopo la sua morte, avvenuta il 14 marzo 2018, Stephen Hawking teorizza un futuro non troppo lontano dominato da superuomini capaci di azzerare i propri limiti biologici grazie all’ingegneria genetica, e sfruttare le nuove capacità per colonizzare lo Spazio vicino. Hawking temeva in particolare lo sviluppo delle A.I. che “in futuro potrebbero sviluppare una propria volontà indipendente, in conflitto con la nostra” e sopraffarci letteralmente. “Un’A.I. super intelligente -afferma- sarà estremamente brava a raggiungere i suoi obiettivi, e se questi non saranno allineati ai nostri, saremo nei guai. Probabilmente non siete degli odiatori di formiche che calpestano questi insetti per cattiveria, ma se siete responsabili di un progetto idroelettrico sostenibile e c’è un formicaio nella regione che dovete allagare, andrà a finire male per le formiche. Cerchiamo di non mettere l’umanità nella posizione delle formiche”. Secondo il suo ragionamento, oltre ad un attento controllo sulle A.I. per impedire un catastrofico rovesciamento di ruoli, l’uomo avrà necessità, per sopravvivere agli effetti di inevitabili guerre nucleari, di un potenziamento, che forse sarebbe stato comunque un risultato naturale dell’evoluzione, delle proprie capacità di adattamento. Dato che, viste le circostanze, “non abbiamo tempo di aspettare che l’evoluzione darwiniana ci renda più intelligenti e migliori per natura” è necessario sfruttare l’editing genetico e migliorare la nostra memoria, la resistenza alle malattie e, più in generale, l’aspettativa di vita. Solo alcuni uomini riusciranno ad evolversi in tal senso, gli altri rimarranno prigionieri nella loro normalità, e questo, predice Hawking, provocherà disordini politici tra gli altri esseri umani. Le persone comuni saranno lasciate da parte e moriranno, mentre i superumani saranno forse capaci di abbandonare il pianeta e mettersi in salvo.
Utopia e distopia
L’uomo sopraffatto dalla macchina, la casta ristretta di uomini che fuggono dal pianeta per sopravvivere, la terra devastata da un avvenire catastrofico… Il futuro previsto da Hawking richiama molto gli scenari dispotici descritti nei migliori film di fantascienza. Scenari che tecnicamente prendono il nome di distopie. Per distopia si intende una descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro che presenta situazioni e sviluppi sociali, politici e tecnologici altamente negativi. Il termine fu coniato nel 1868 dal filosofo John Stuart Mill, in opposizione, come si può giustamente opinare, al concetto di utopia, che descrive una condizione ideale, perfetta, così come dovrebbe essere. Parlare di vera e propria opposizione tra i due termini forse non è del tutto corretto, dal momento che nel linguaggio comune ricorrono anche vocaboli come anti-utopia o contro-utopia, tuttavia se si assume l’utopia come l’ “ideale”, la distopia si colloca esattamente all’opposto, è l’apice della degenerazione. Un tratto peculiare della distopia è la sua stretta connessione con una processualità storico-evolutiva, a differenza dell’utopia che rappresenta un salto, un ascesi rispetto al continuum storico. L’utopia opera una cesura incolmabile tra la storia reale e lo spazio riservato alla progettazione, appunto, utopica stessa. La distopia, invece, intende collocarsi in continuità con il processo storico, amplificando quelle tendenze negative manifeste nel presente che, se non ostacolate, condurranno a quel destino perverso da essa tratteggiato.
Samuele Beconcini