Jair Bolsonaro è un nostalgico della dittatura e un fervente sovranista. Si è candidato per la presidenza del Brasile, e a cinque giorni dal voto è il candidato favorito. Spaventano le sue posizioni anti-ambientaliste e la volontà di uscire dall’Accordo di Parigi. Cerchiamo di capire per quale motivo i sovranisti minimizzano o addirittura negano il problema ambientale.

Bolsonaro, un candidato controverso
Il secondo turno delle elezioni presidenziali brasiliane si terrà il 28 ottobre. Jair Bolsonaro ha ottenuto il 46% di voti al primo turno e tutti i sondaggi lo danno come favorito per la vittoria del secondo turno. Nostalgico della dittatura militare, Bolsonaro è candidato per il Partito Social-liberale ed è famoso al mondo soprattutto per le sue dichiarazioni omofobe, razziste e misogine. Lo scorso weekend migliaia di persone sono scese in piazza a San Paolo, Rio de Janeiro e Brasilia per manifestare contro la possibile elezione di Bolsonaro. Il candidato è accusato di avere ricevuto finanziamenti privati da un gruppo imprenditoriale per finanziare un’azione di propaganda su whatsapp. Ricevere finanziamenti privati per finanziare una campagna elettorale è vietato in Brasile.

Un’altra cosa che fa discutere e preoccupare molti sono le posizioni di Bolsonaro sull’ambiente. Nel paese considerato il “polmone verde del mondo” grazie alla foresta amazzonica che assorbe enormi quantitativi di Co2 trasformandola in ossigeno il “Trump tropicale”, così è stato soprannominato Bolsonaro, ha esplicitato forti posizioni anti-ambientali molto allarmanti. Bolsonaro sostiene infatti l’uscita del Brasile dall’Accordo di Parigi. Il candidato è persuaso dall’idea che questo accordo sia il primo passo verso la realizzazione di un complotto per creare degli stati amazzonici indipendenti sostenuti dall’Onu e sfruttati dal primo mondo, tutto questo a discapito della sovranità del Brasile. Circa un anno fa Trump ha preso la stessa decisione, uscendo dall’accordo e suscitando enormi critiche. Il programma di Bolsonaro comprende anche l’abolizione del Ministero dell’Ambiente, che sarà accorpato al Ministero dell’Agricoltura e affidato ai politici di Bancata Ruralista, la più grande e influente lobby del congresso che chiede di ridurre le aree protette dell’Amazzonia. Bolsanoro è inoltre intenzionato ad acconsentire l’apertura di attività minerarie e commerciali nelle zone indigene (13% della superficie del paese) e darà il via libera per la costruzione di un’autostrada che attraverserà l’Amazzonia tagliando in due la più grande foresta pluviale al mondo. Anche le ONG ambientaliste che operano attivamente sul territorio brasiliano controllando estrazione illegale, deforestazione e disboscamento hanno subito forti attacchi dal candidato che ha dichiarato più volte di voler togliere diritti e possibilità a queste associazioni. Sembra quindi che Bolsonaro sia intenzionato ad aprire le terre amazzoniche alle multinazionali attaccando inoltre i diritti degli indigeni e chi li difende. Iniziative di questo genere metterebbero a rischio la riserve che ad oggi costituiscono una barriera per proteggere la foresta pluviale e la sua biodiversità.

L’allarme della scienza sul problema ambientale
Secondo il nuovo rapporto speciale IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), il più importante organismo scientifico di ricerca sul clima, ha segnalato una situazione allarmante. L’allarme è dovuto principalmente al continuo aumento delle emissioni di Co2 nell’atmosfera che è la prima causa dell’effetto serra. Secondo il rapporto entro il 2030 mantenendo inalterati i ritmi odierni l’aumento della temperatura media globale supererà 1,5°C, la soglia massima per contenere e controllare gli effetti del surriscaldamento globale. Secondo questi recenti studi l’Accordo di Parigi del 2015 è già obsoleto e andrebbe rafforzato perchè le direttive imposte da questo accordo non sono sufficienti per contenere efficacemente l’effetto serra e l’aumento della temperatura media globale.

Sovranismo nazionalista e minimizzazione del problema ambientale
Lo sviluppo tecnologico, la cui crescita è esponenziale, porta nel mondo cambiamenti repentini spesso difficili da problematizzare proprio per la velocità con cui si manifestano. Il risultato di questi cambiamenti è un mondo sempre più connesso e globalizzato. Proprio per questo i problemi causati dallo sviluppo tecnologico stanno assumendo portata globale e richiedono di essere affrontati da una prospettiva internazionale. Problemi come il surriscaldamento globale, la robotizzazione del lavoro e il disarmo nucleare sono problemi che toccano l’intera umanità, non la singola nazione.
Parlando del problema ambientale emerge subito la necessità di accordi che vincolino ogni Stato a fare la sua parte secondo le proprie possibilità. I due principali provvedimenti che ogni Stato deve impegnarsi ad assumere sono la riduzione di emissioni di Co2 e l’investimento sulle energie rinnovabili. Entrambi i fattori penalizzano lo sviluppo industriale e necessitano di ingenti investimenti. Le prime rivoluzioni industriali hanno toccato solo alcune nazioni che hanno avuto la possibilità di crescere rapidamente a discapito di altri paesi. I danni per l’ambiente causati da questo repentino sviluppo però risulta ad oggi troppo vasto per permettere a paesi in via di sviluppo come l’India che sta vivendo oggi la propria rivoluzione industriale. Imporre a questi paesi uno sviluppo industriale più sostenibile sarebbe ipocrita. L’unica soluzione al problema è la creazione di una governance globale che permetta ad ogni paese di aderire a standard necessari per arginare il problema ambientale creando un sistema di ammortizzazioni per i paesi in via di sviluppo. Il COP21 (l’accordo di Parigi) è un primo maldestro tentativo di fare ciò.
Il nazionalismo sovranista nasce come reazione ad una erosione della sovranità statale che lo sviluppo del globo ha reso inevitabile. L’obiettivo che si pone è quello di ripristinare questa sovranità cercando di emancipare la Nazione da vincoli e influenze internazionali. Proprio per questo le forze sovraniste tendono a negare (come nei casi più estremi di Donald Trump o Bolsonaro) oppure a minimizzare (subordinare per importanza il problema ad altri) problemi come il surriscaldamento globale che richiedono una risoluzione internazionale e quindi una parziale cessione di privilegi e sovranità nei confronti di accordi e/o istituzioni sovranazionali.
Il percorso politico del Movimento 5 Stelle illustra al meglio la questione. I grillini hanno da sempre fatto della questione ambientale uno dei propri cavalli di battaglia. Col tempo però i pentastellati hanno aderito a posizioni euroscettiche e sovraniste che li hanno portati ad avvicinarsi a forze politiche affini in Parlamento Europeo (UKIP di Nigel Farage) e alla formazione di un governo con la Lega di Matteo Salvini. Oggi le questioni più dibattute dai 5 Stelle raramente toccano il problema ambientale e si focalizzano su altre questioni il cui spettro tocca il solo territorio nazionale. Questo perchè a seguito dell’incarico di governo, peraltro insieme a una forza politica nazionalista, è emersa la contraddizione tra l’attenzione per il problema ambientale e le posizioni sovraniste. Nessuno sta dicendo che Lega e M5S neghino il problema ambientale, sicuramente però, come dimostra la manovra economica, non è tra le proprità del contratto di governo.
Edoardo Dal Borgo