Notare dei senzatetto lungo la strada può provocare in alcuni tristezza, rabbia, disgusto… o anche freddezza o noncuranza. A fare la differenza è l’empatia che siamo in grado di provare: la realtà virtuale può aumentarla
Funzioni dell’empatia
Empatizzare significa riuscire a immedesimarsi nella situazione emotiva e cognitiva di un’altra persona. Capacità simili implicano processi di astrazione piuttosto avanzati, quasi una sorta di “superpoteri” se si considera ciò che è possibile fare (per esempio, prevedere anche nel dettaglio comportamenti o pensieri di un’altra persona), abilità di cui gli esseri umani sono i principali maestri.
Ma i nostri parenti, i macachi, sono capaci di attività simili, e il loro studio ci ha permesso di capire meglio il funzionamento di processi sorprendenti e dalle implicazioni più disparate.
I neuroni specchio, al cui studio hanno contribuito in maniera fondamentale Rizzolatti e colleghi (1996), sono alla base dell’empatia. Si è visto infatti che il semplice osservare un’altra persona eseguire un movimento porta a un’attivazione cerebrale della stessa area coinvolta nell’esecuzione del movimento.
Vale a dire che quando si osserva un’azione, la si compie “mentalmente”, come un’imitazione.
Tale sincronia di attivazione cerebrale sarebbe alla base anche dell’empatia, cioè alla “sintonizzazione” con gli stessi sentimenti di un’altra persona.

Lo studio
Herrera e colleghi (2018) hanno effettuato due esperimenti.
In uno, ai partecipanti veniva detto di immaginare che la storia che avrebbero letto si riferisse proprio a loro in prima persona. Nella storia, il protagonista si ritrova sfrattato e privato di tutto, persino della macchina, per cui deve trovare un mezzo pubblico in cui poter passare la notte, ma anche lì altri pericoli rendono difficile il compito.
Nel secondo esperimento, l’assunzione della prospettiva del protagonista viene resa non attraverso la lettura della storia ma attraverso l’interazione con essa, all’interno di una realtà virtuale. I partecipanti seguono le stesse vicende del precedente esperimento, ma indossano un visore e con dei joypad eseguono azioni su oggetti e possono anche compiere delle scelte.
Risultati
In entrambi gli esperimenti, i partecipanti hanno empatizzato con il protagonista senzatetto, ma quelli che hanno vissuto l’esperienza attraverso la realtà virtuale, hanno mostrato atteggiamenti maggiormente positivi, e a più lunga durata, nei confronti dei senzatetto, rispetto ai soggetti che hanno solamente letto la storia.
Conclusioni
Le nuove tecnologie dimostrano di essere un valido aiuto al di fuori degli ambiti per cui vengono create. Dal 1995 a oggi, infatti, l’applicazione della realtà virtuale è stata utilizzata con successo nel trattamento dell’ansia¹.
Gli stessi videogiochi possono essere ottimi strumenti di riabilitazione cognitiva, e ora anche la realtà virtuale offre una vasta gamma di possibili applicazioni. Aumentare l’empatia in questa maniera potrebbe rivelarsi utile nella correzione di comportamenti antisociali, per esempio nella riabilitazione dei detenuti.
È importante che i successi in tale ambito incoraggino lo sviluppo e l’utilizzo di nuove tecnologie, spesso ingiustamente e aprioristicamente demonizzate.
Note:
¹ Maples-Keller, J. L., Bunnell, B. E., Kim, S. J., & Rothbaum, B. O. (2017). The Use of Virtual Reality Technology in the Treatment of Anxiety and Other Psychiatric Disorders. Harvard review of psychiatry, 25(3), 103-113.
Fonti:
– Rizzolatti, G., Fadiga, L., Gallese, V., & Fogassi, L. (1996). Premotor cortex and the recognition of motor actions. Cognitive brain research, 3(2), 131-141.
– Building long-term empathy: A large-scale comparison of traditional and virtual reality perspective-taking