La serie TV Thirteen Reasons Why cancella i tre minuti di riprese in cui la protagonista decide di togliersi la vita. Le accuse di incitamento al suicidio hanno delle basi solide?
Dai primi mesi dopo l’uscita della serie tv molte furono le accuse che accesero il dibattito sulle scene e i temi trattati da Tredici. Una diciannovenne trovata dai genitori morta, come Hannah, travolta da un suicidio cinematografico, ha sollevato di nuovo un gran polverone portando Netflix a cancellare la scena più cruda ed esplicita in vista della nuova stagione: “non sono quei tre minuti a determinare il valore della serie tv” così rilascia il regista in un’intervista.
Una serie tv che propone il tema del suicidio
La serie parla di Hannah Baker che, prima di suicidarsi, decide di incidere su nastro le 13 ragioni che lentamente l’hanno condotta nel buio della depressione. 13 cassette per 13 storie raccontate dalla ragazza che spingono la serie ad intrecciare passato e presente. Creazione di Brian Yorkey che si basa sull’omonimo romanzo del 2007 dello scrittore Jay Ashey ed è stato al centro di dispute tra emulazione e celebrazione di lucidità. Bullismo, stupro, autolesionismo e le diverse elaborazioni si intrecciano in una serie di fitte vicende e elaborazioni differenti. L’amore, la mancanza di rispetto, il bullismo sembrano ricalcare serie tv sulla scia di Mean Girls o Gossip Girl, ma Netflix apre le porte ad un tema in più da discutere: il suicidio e le sue conseguenze.
Le motivazioni più comuni che spingono al suicidio
Il suicidio è un campo minato e complesso e spesso si prova disagio a parlarne. Il motivo più comune che spinge una persona al suicidio è senz’altro il disturbo psichico della depressione aggravato dall’impotenza e dalla convinzione che il mondo sarebbe, con la propria morte, un posto migliore. La depressione è trattabile, va tuttavia riconosciuta per tempo perché è facilmente dissimulabile. Anche la schizofrenia può essere causa di suicidio, anche se nascondere le voci nella propria testa diventa più difficile. Il controllo del proprio destino è la maggiore causa di suicidi tra persone che non hanno problemi di natura psichica, ma vedono il suicidio come un mezzo per accorciare il percorso verso una fine inevitabile. L’impulsività legata ad abuso di sostanze e non, può portare a togliersi la vita. Importante è anche distinguere un suicidio da un tentato suicidio il cui scopo principale è una richiesta d’aiuto per avvertire che c’è qualcosa che non va e spesso si utilizzano metodi che potrebbero non essere fatali.
In questo ambito non esistono regole di prevenzione, sicuramente il dialogo e una buona informazione aiutano, ma ciò che più conta è l’attenzione da riporre nelle nuove generazioni sempre più fragili.
Netflix elimina tre minuti della serie tv
Secondo le linee guida generali sulla salute mentale della American Psychiatric Association, non sarebbe stato un male rendere esplicite delle scene di suicidio con il mero scopo di non lasciare problematiche di questo genere associate ad un tabù. D’altro canto può essere preoccupante non mostrare anche soluzioni e vie alternative al suicidio. Ora che si avvicina la terza stagione è tempo della grande modifica, preferendo focalizzare l’attenzione sull’emozione dei genitori in lacrime più che sull’atto della morte in sé: è così che la scena è stata modificata. A tale modifica, gli sceneggiatori hanno lavorato a stretto contatto con la dottoressa Moutier, a capo della Fondazione americana per la prevenzione dei suicidi. Netflix e Tredici hanno spaccato in due il pubblico, gli studi, i commenti. Da una parte le persone più fragili e vulnerabili a questi temi, perché si sento colpite in prima persona, potrebbero individuare quella come via di fuga e soluzione, dall’altra chi ha la volontà di affrontare temi importanti anche tra i giovani, far capire la sofferenza e il disagio.
Scelta di coraggio o codardia
Il valore di 13 Reasons Why è costruito scena dopo scena e non è la scelta di regia di “mutilare” una ripresa a mandare in frantumi le sensazioni e gli insegnamenti contenuti in ogni episodio. La piattaforma voleva lanciare un messaggio di dialogo nel 2017, messaggio che ora Netflix sembra rimangiarsi. Senza poter più mostrare la faccia sconvolta di Hannah nel momento del suicidio, il dolore e la stanchezza mentale, passa troppo facilmente l’associazione tra suicidio e vendetta.
Davvero una serie tv può spingere gli adolescenti a emulare un gesto del genere trasformando, come molti hanno spiegato, l’autolesionismo e il suicidio in un gesto glamour? Davvero siamo sicuri che qualche ragazzo in più si sia ucciso per tre minuti di una serie o perché, di nuovo e ancora, non ha saputo come curare le sue ferite?
Francesca Morelli