A settembre la bozza della legge di bilancio presentata dal governo Conte non aveva convinto la Commissione Europea che, nella lettera del 5 ottobre 2018, “consigliava” ai vertici del governo italiano di rivedere la manovra per farla rientrare nelle “regole fiscali comuni” dell’UE. Il 15 ottobre il testo definitivo della manovra è stato inviato a Bruxelles per verificare la compatibilità della legge di bilancio con gli standard definiti dalla Commissione. La possibilità di una bocciatura della manovra è adesso diventata realtà: la nuova legge di bilancio potrebbe non rispettare i parametri europei sulla riduzione del debito, se venisse applicata così com’è; pertanto la Commissione ha consigliato di aprire una “procedura d’infrazione” per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia.
Vincoli europei
Fin dall’ingresso dell’Italia nell’Unione europea nel 1992 sono stati delineati dei principi cardine in materia di politica economica, stabilità finanziaria e vincoli di bilancio statale validi per tutti gli stati dell’UE.
Le regolazioni economiche
Con il trattato di Maastricht del 1992 vengono gettate le basi per le disposizioni normative che avranno l’obiettivo di regolare la crescita economica dell’Unione evitando che i paesi membri intraprendano dei percorsi (in materia economica) che potrebbero compromettere il bilancio dello stato e, di conseguenza, quello di tutta l’unione. Semplicemente, si tratta di una sorta di “tutela” sovra nazionale volta ad impedire che da un frutto malato venga contagiato tutto l’albero.
Tutti per uno, uno per tutti
Nasce così l’obbligo di rendicontare all’organo che si occupa di vigilare in merito (cioè alla Commissione Europea) la situazione economica dello stato e i provvedimenti che si vogliono attuare nell’anno successivo (come avviene con la legge di bilancio). Tutte queste regole sono sottoscritte dagli stati membri nel cosiddetto “patto di stabilità“.
Nel patto vengono indicate, da tutti gli stati membri, le riforme economiche che si vogliono intraprendere nell’anno successivo e si avviano dei negoziati con l’UE. La Commissione Europea, pur non potendo intervenire direttamente in merito alle scelte di politica economica di un paese, lavora per definire l’entità delle riforme e rilevare se queste siano in linea o meno con la capacità economica dello Stato, al fine di garantire la stabilità economica di tutta l’Eurozona.
E nei periodi di crisi?
Nei periodi di forte criticità economica (come quello prodotto dalla crisi del 2008) gli stati necessitano di maggiori coperture economiche per riuscire a riprendersi dalla crisi. Per questo motivo – così come è avvenuto anche per l’Italia negli anni successivi al consolidamento della crisi fiscale – l’UE permette ai membri di innalzare la soglia di deficit rispetto al PIL al di sopra del 3 per cento (in altre parole permette agli stati in difficoltà di indebitarsi di più per favorire la ripresa economica).
È naturale che tale indebitamento sia connesso con la prerogativa di investire quei soldi in più in misure che porteranno il debito ad estinguersi a lungo termine: non per finanziare pensioni o sussidi di povertà, che invece di diminuire il debito lo aumenterebbero (l’allenatore di una squadra che subisce tanti gol ma che allo stesso tempo segna molto, quando potrà permettersi di investire in giocatori, punterà su ottimi difensori piuttosto che su nuovi attaccanti).
Le sanzioni
Salvo i casi in cui l’UE consente un aumento del deficit ai paesi in difficoltà economica, un inadeguato aumento della spesa pubblica, connesso con l’aumento del debito nel rapporto deficit\PIL, conduce ad una maggiore attenzione sulla manovra economica per comprendere se tali misure potranno essere o meno realizzate. Successivamente, se, come è accaduto in Italia, le misure di “prevenzione” e di monitoraggio non dovessero essere sufficienti per far pareggiare il bilancio, sono previste delle sanzioni.
In pratica, se uno stato non adempie alle regolazioni economiche “consigliate” dall’UE, prima di tutto il controllo della Commissione in quel paese si fa più rigido, sensibilizzando le istituzioni a rimettere mano alla manovra. In secondo luogo verranno presi dei provvedimenti che, se non rispettati entro certi limiti di tempo definiti dal Consiglio Europeo (dai 3 ai 6 mesi), conducono alle sanzioni vere e proprie:
- trattenuta di una percentuale del PIL (intorno allo 0,2%) finché lo stato non pareggia i conti
- multa che varia dallo 0,2 allo 0,5 % del PIL
- sospensione parziale o totale dei fondi europei
Rimane comunque da sottolineare che tali misure sanzionatorie sono da intendere come “ultima spaggia” in quanto (come già successo con Spagna e Portogallo quando non hanno rispettato la diminuzione del debito) i membri sono sempre giunti ad un qualche tipo di accordo con l’Unione Europea evitando di arrivare a misure estreme.
Quali rischi corre l’Italia?
Le ragioni del giudizio negativo della Commissione provengono dalla preoccupazione riguardo l’aumento del debito pubblico italiano. L’Italia ha un debito pubblico rispetto al PIL (rapporto deficit\PIL) del 131%, pari a circa 2.300 miliardi di euro.
La crescita economica come prerogativa degli Stati membri
Se l’obiettivo a lungo termine di ogni paese con un debito pubblico molto elevato è chiaramente quello di intervenire affinché tale debito cali, la Commissione chiarisce che anche se in questi anni si è registrato una lieve inversione di tendenza, il rischio di un nuovo aumento del debito è imminente.
Con la nuova legge di bilancio si stima che il saldo strutturale (cioè la previsione di crescita rispetto al PIL) invece di seguire il trend positivo degli ultimi anni andrà in negativo, fino a raggiungere un gap di 1,4 punti rispetto alle previsioni dell’UE.
Inoltre i provvedimenti presi dal governo in merito al sussidio di povertà, alla flat tax e alla riforma del lavoro non coincidono con l’evidente responsabilità del paese di ridurre un debito pubblico già fortemente al di sopra degli standard europei. Si tratta di riforme che, invece che mirare ad una crescita economica a lungo e medio termine del paese, risultano assumere le caratteristiche di misure di crescita di stampo keynesiano secondo cui la crescita economica è subordinata ad una politica economica espansiva che immette più denaro nel circuito statale. In realtà ciò che si prospettano gli economisti europei è che ciò conduca ad una diminuzione della ricchezza e ad un ulteriore aumento del debito (l’idea secondo cui per aumentare la ricchezza del paese occorra aumentare la ricchezza di tutti è inapplicabile in un paese in cui mancano posti di lavoro e si registra l’evasione fiscale più alta d’Europa)
La Commissione ha quindi “raccomandato” di aprire una procedura d’infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia. Va chiarito che non è l’organo esecutivo, cioè la Commissione, ad avviare tale procedura. È il Consiglio Europeo (l’organo legislativo) che, sulla base delle “raccomandazioni” della Commissione decide di intervenire con la procedura d’infrazione, procedura che, quasi sicuramente, sarà avviata se la legge di bilancio proposta dal governo Conte non cambierà.
È un provvedimento che non dovrebbe stupire. Ci sono delle regole che vanno rispettate e che se non vengono rispettate portano a conseguenze. Sarebbe utopico pensare che se non pago mai la quota mensile del fantacalcio, l’anno prossimo i miei amici mi faranno giocare ancora.
Gian Marco Renzetti