La Corrida è di certo una delle forme di intrattenimento più discusse e criticate dall’opinione pubblica. A molti pare un’insensata barbarie, uno spettacolo incivile e indegno di un paese che non si reputi tale, e non sono rari i discorsi parlamentari in favore e contro di essa. C’è chi mette in luce l’atrocità e l’assurdità di tale intrattenimento, mentre non mancano posizioni che legittimano la corrida sulla base dell’assenza di diritti previsti per gli animali. Tralasciando ovviamente nazionalismi e tradizionalismi che, alla luce dell’assenza di spirito critico di cui spesso si caricano, difficilmente sono considerabili opinioni valide.
Si parla di cultura spagnola, ma in realtà le radici della corrida in occidente sono più profonde. Non serve chiamare in causa il mito del Minotauro per sapere che il sacrificio del toro alla divinità era usanza comune già nella Grecia antica, la quale ha tramandato il significato simbolico del toro alle civiltà che l’hanno succeduta. Quale significato simbolico? Quello della potenza della Natura. Il sacrificio del toro alla divinità antropomorfa è stato interpretato a più riprese come una rappresentazione simbolica (e fittizia) del dominio dell’uomo sulla natura che, peraltro, nell’antichità era decisamente inconsistente. Del resto, quale animale in occidente supera per forza fisica il toro?
Perché la corrida piace ancora?
Dunque la forma embrionale della corrida nasce come rito, come simbolo di un qualcosa di irraggiungibile per il genere umano. Oggi però le cose sono parecchio cambiate: non siamo mai stati così dominatori del mondo naturale, basta poco per comprometterlo, e lo stiamo dimostrando. Ma allora, superata l’impotenza dell’uomo di fronte alla natura grazie alla scienza, perché la corrida ha ancora successo? Perché continua a piacere uno spettacolo così vicino a quei rituali barbari che risuonano così lontani dalla nostra visione del mondo?
Di primo acchito la risposta può suonare tanto pessimista quanto banale: semplicemente fa leva sugli aspetti irrazionali dell’uomo che sfuggono al processo di civilizzazione; oppure, banalizzando ulteriormente, fa parte di una tradizione incrostata sulla cultura di un popolo. Volendo complicare le cose, richiamando Hobbes dall’oltretomba, si potrebbe sostenere che un evento di per sé pericoloso, se ammirato da un’altura (o dagli spalti), permette di sciogliere i nodi della paura per ciò che capita aldilà del nostro spazio vitale (altura o tribuna che sia). Il tutto, ovviamente, seguendo i nostri impulsi vitali, la nostra naturale tensione a proseguire l’esistenza, senza che la ragione si ponga d’intralcio allo scopo.
Il sublime dinamico di Kant e la ragione difensiva di Nietzsche
Prospettive condivisibili, ovviamente. Ma è possibile un’interpretazione diversa? Un’interpretazione dove la ragione trovi un ruolo? Proviamoci prendendo in mano la Critica del Giudizio di Kant. Nel capitolo dedicato all’analitica del sublime il filosofo di Königsberg, dopo aver parlato di sublime matematico, spende qualche pagina sul sublime dinamico. Che cos’è il sublime dinamico? È il rifugiarsi dell’uomo nella ragione, trascendendo la sensibilità e una natura che gli è superiore per potenza. La ragione diventa il modo che l’uomo possiede per ergersi sulla Natura, non affrontandola a volto scoperto ma scartandola di lato, e così facendo superandola. Questo sorpasso sovrasensibile in Nietzsche diventa forfait. L’uomo non si immerge in alcuna legge morale superiore al sensibile, ma si rinchiude nel mondo fittizio della ragione, un duplicato ideale e inesistente della realtà, nel quale appagarsi di una superiorità mai attestatagli.
Tra sublime dinamico e la ragione difensiva nicciana c’è un’interpretazione diversa della ragione, ma che sempre ragione è. Rinchiudendo un toro in un’arena e assistere alla sua inarrestabile potenza aldilà di una barriera costruita ad hoc ci rende liberi e superiori rispetto all’animale, e quindi rispetto alla natura, oppure, nel credere di imprigionare un toro, i prigionieri diventiamo noi?
Tra razionale e irrazionale
Potrebbe sembrare un ragionamento poco aderente e adatto alla corrida, eppure ci permette di riesumare quel contrasto tra razionale e irrazionale che permea la filosofia. Siamo irrazionali o razionali? E soprattutto: cosa è razionale e cosa, invece, irrazionale? E se siamo esseri irrazionali, se è vero che siamo animali, allora cos’è ciò che chiamiamo ragione?
Difficile dirlo in un semplice articolo. Più facile concludere qualcosa sul versante della Corrida. Che fare? Possiamo accettare che si trucidi brutalmente un animale? Sarà pur vero che gli animali non hanno diritti poiché non hanno doveri, e sarà pur vero che al toro non si deve rendere conto con ciò del suo destino. Ma forse non è tanto con il toro che occorre scusarsi, ma con noi. La corrida è un’immagine edificante per l’umanità? Ci piacciamo quando sbraitiamo di gioia alla morte di un essere vivente? Vero è che il concetto di edificante lo stabilisce l’uomo, ma è anche vero che pure il concetto di cosa sia umano (e cosa no) lo definiamo noi in quanto uomini. E allora la domanda da farsi è: ci piace un’umanità che reputi umana la morte? La risposta deve essere individuale. A noi no, non piace.
Giovanni Cattaneo