In terza elementare io immagino i bambini che dondolano sulle sedie ignorando i rimproveri degli insegnanti, che si stendono di lato sui banchi per scrivere, con la lingua di fuori e lo sguardo concentrato, che mordono le matite e si lanciano i tappino delle penne. Bambini che si divertono insieme, che corrono in giardino e giocano spensierati, occhi innocenti e sorrisi per tutti… e poi leggo di una bambina che: “Maestra io vicino ad Abdul non ci voglio stare, perché è nero e puzza!” e mi vergogno, mi vergogno e mi preoccupo, per me e per loro, per voi, per noi, per tutti. Come si può davvero pensare la diversità in questi termini? Come si può non rendersi conto che per l’uomo non si parla di razza ma di etnia? Che la differenza non è essenziale ma culturale? Che essa è un valore e non un difetto? Possiamo parlare di progresso quanto vogliamo, possiamo riuscire ad andare su Marte a piedi, coltivare patate sulla Luna o prendere un caffè su Saturno, ma se continuiamo a vivere nell’odio e nel pregiudizio, non faremo altro che sprofondare negli abissi della decadenza.
Un pregiudizio che porta odio
Per evidenziare la preoccupante condizione in cui siamo immersi riprendo un recente fatto di cronaca avvenuto in una scuola di Gerenzano (VA) che racconta di una bambina di colore a cui stato detto “Con te non gioco perché sei nera, non ti prendo per mano perché sei sporca”. Una frase che purtroppo si potrebbe sentire in giro, anzi, se ne sentono spesso, ma che non mi sarei mai aspettato da un bambino delle elementari, i cui valori sono ormai stati corrotti, probabilmente dalle idee dei genitori, magari prudenti xenofobi che lo hanno educato a stare lontano dai compagni di colore… . Credevo che la storia insegnasse davvero qualcosa, ma a questo punto credo di sbagliarmi, credo che l’unica cosa che la storia ci ha insegnato è che l’uomo è un essere infimo e malvagio, e forse nemmeno così intelligente come si crede. Sì perché razzismo e intelligenza sono agli antipodi, se parli di razza sei già intellettualmente carente, quella umana è un’unica razza se vogliamo proprio usare il termine, divisa in etnie e culture, ma biologicamente non ci sono differenze, la pelle nera non è un difetto fisico, non è un morbo virale. Non è possibile che uno stupido pregiudizio, una diceria condivisa e fortificatasi passando di bocca in bocca, possa davvero forgiare un’ideologia così pericolosa, non è pensabile. Ma i fatti parlano chiaro, il razzismo spopola, è quasi di moda… .
Per una filosofia del pregiudizio
Nel saggio “Risposta alla domanda. Che cos’è l’illuminismo?” Kant dice:“Seminare pregiudizi è tanto nocivo: perché essi si ritorcono contro chi vi crede e chi vi ha creduto.” Il pregiudizio non è una piaga che colpisce solo il pregiudicato, ma infetta e corrode anche il pregiudicante, nella misura in cui ne impedisce, o ne rallenta, parlando in termini kantiani, il rischiaramento. Vivere di stereotipi, etichettare, giudicare basandosi su dicerie e luoghi comuni porta all’appiattimento delle personalità, al livellamento sociale. Il pregiudizio sterilizza l’opinione, ne rende meno complessa la struttura e quindi più semplice la comprensione. Facile ragionare per opposti, bianco e nero, forte e debole, buono e cattivo, facile basarsi su categorie di genere: il nero è cattivo ed inferiore, va evitato e condannato. Vedete come si fa semplice la cosa? Le coppie dicotomiche vanno per esclusione, se io sono il bianco e sono quello buono, quello forte, allora il nero è quello cattivo, quello debole, perché diverso da me. Questo è pregiudicare, far riferimento a modelli preconfezionati, basati su dicerie, su falsi miti, su ideali confusi. Il problema è che il pregiudizio scava a fondo, si insinua tra le fondamenta della società, vi si radica e pian piano corrode, scalcifica, distrugge, e come diceva Einstein, “E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”.
Caparezza ci spiega la paura del diverso
“Io vengo dalla luna
Che il cielo vi attraversa
E trovo inopportuna
La paura
Per una cultura diversa
Che su di me riversa
La sua follia perversa
Arriva al punto
Che quando mi vede sterza”
Singolo uscito il 6 maggio del 2004, “Vengo dalla Luna“, dall’album “Verità supposte”, è la canzone che fa decisamente al caso nostro. Caparezza parla di un alieno che, atterrato sul nostro pianeta, si meraviglia proprio dei pregiudizi della società, si stupisce in particolare di questa nostra paura del diverso, del timore dello straniero. “Torna al tuo paese sei diverso! Impossibile vengo dall’universo”. Uno scambio di battute tra un individuo, o la comunità, e l’alieno, forse la frase più bella della canzone, una frase semplice ma potente: siamo tutti uguali, siamo tutti frutti dello stesso mondo, dello stesso universo, perché aver paura di chi è come te? Una canzone decisamente contro i pregiudizi, in particolare contro il razzismo, e un inno alla diversità come valore, all’apertura come virtù.
Samuele Beconcini