Il punto sulla Brexit: arrivato il momento di decidere sul No – Deal

Il 23 giugno 2016 il 51,9 percento dei votanti ha scelto, in un referendum consultivo, di seguire il percorso di uscita dall’Unione Europea denominato “brexit”. L’iter di abbandono dell’UE si è rivelato molto più complicato e controverso del previsto. La scelta del divorzio è stata più volte discussa in Parlamento, dopo l’esito del referendum, e ha condotto al duro confronto tra la premier Theresa May e il parlamento inglese. Lotta che è giunta al terzo voto alla Camera dei Comuni sulle modalità di divorzio dall’UE. I due tentativi di mediazione precedenti non sono andati a buon fine: i deputati avevano già bocciato tutte le proposte della May. Ma in questo confronto c’è qualcosa di diverso: il Primo Ministro aveva dichiarato che avrebbe presentato le proprie dimissioni se non si fosse raggiunto il nuovo Whitdrawal Agreement (il voto del 29 marzo decideva esclusivamente in merito all’accordo di divorzio e non anche delle future relazioni tra UK ed Unione Europea). Con questo cavillo la May sperava di riuscire a posticipare la data di scadenza dettata da Bruxelles sulla conferma della Brexit dal 12 Aprile al 22 Maggio. Ora la palla passa al Consiglio Europeo.

Tutti i problemi del divorzio

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Il primo ministro inglese Theresa May. Fonte:CNNinternational

Doveva essere già stato trovato un accordo tra UE e Regno Unito. Probabilmente si sarebbero già dovute attuare le linee guida che avrebbero garantito alle 4 regioni inglesi l’autonomia dall’UE. Autonomia sia economica che politica in quanto la Brexit dovrebbe ridisegnare sia il traffico delle merci sia i confini doganali. Già dagli inizi il partito dei conservatori, la cui leader è proprio Theresa May, aveva espresso dissensi sulle modalità di divorzio. A ragion veduta la May ha tentato di correre ai ripari, principalmente per scongiurare le due ipotesi più allarmanti per il destino del Regno Unito: indurre un nuovo referendum o adottare la radicale uscita dall’UE senza alcun accordo denominata No Deal.

Le tappe della Brexit riassunte

Era il 23 giugno 2016 quando David Cameron, leader del partito Conservatore e Primo Ministro, decise di presentare a Bruxelles la possibilità di una “Brexit”. Anche se egli stesso non condivideva tale scenario, l’opinione pubblica si divise tra chi voleva restare e chi voleva lasciare l’Europa.
A questo punto il referendum consultivo del 23 giugno 2016 ha chiamato i cittadini inglesi alle urne: vinse il sì alla Brexit per il 51,9%. La procedura di uscita fu avviata quindi due anni fa, il 29 marzo 2017 sotto il governo di Theresa May, successa a Cameron.

Da qui cominciano i primi problemi per la May. La procedura per l’uscita dall’Unione si fa più complicata del previsto principalmente a causa dei forti contrasti tra coloro che sostengono una Hard Brexit (l’uscita senza accordo) e i sostenitori di un accordo con l’UE (il problema principale per cui occorre giungere ad un’accordo riguarda la frontiera tra l’Irlanda del Nord e l’Irlanda che diventerebbe con la Brexit la linea di confine tra UE e UK). La portavoce di questa seconda ipotesi è proprio il Primo Ministro inglese che corre ai ripari cercando i consensi dei membri del suo stesso partito che le avevano voltato le spalle e quello degli Unionisti Nord-Irlandesi che si battevano in merito alla clausola del backstop (spiegata dopo).

Nel primo tentativo del 15 gennaio 2019 la proposta della May viene respinta dall’assemblea parlamentare con 432 voti contrari contro 202 favorevoli.
All’avvicinarsi della data di scadenza per l’accordo sul divorzio, viene proposto un altro accordo: il 12 marzo viene riproposto alla Camera dei Comuni un nuovo accordo negoziato con l’UE sul divorzio; anche questo voto rappresenta una sconfitta per la May (391 contrari e 242 favorevoli).

Il backstop di tutela per il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord

L’accordo inserito nella Brexit (poi bocciato il 15 gennaio) serve a scongiurare la creazione di un “confine rigido” che, in caso di No Deal, metterebbe in crisi gli scambi commerciali e doganali tra le due regioni irlandesi. Il confine in questione diventerebbe infatti il confine tra UE e Regno Unito; il “backstop” prevede quindi la non creazione di una dogana tra gli Stati ma bensì l’unificazione delle dogane di tutto il Regno Unito.

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Il problema della frontiera tra UK ed UE. Fonte: Fair Observer

È proprio questo che viene contestato a tale accordo: l’unificazione delle dogane costituirebbe, secondo i sostenitori della linea dura della Brexit, un legame indissolubile tra UK ed Unione Europea impedendo alla regione britannica di poter essere libera negli accordi commerciali. Inoltre, per ragioni puramente geografiche, l’Irlanda del Nord sarà più integrata nel mercato unico europeo, essendo staccata dall’isola; ovviamente l’idea di un “trattamento di favore” collide con i sentimenti di molte forze politiche, al primo posto l’idea non piace agli scozzesi che minacciano di indire un nuovo referendum sull’indipendenza.
A ben vedere quindi il backstop costituisce il principale problema sull’accordo poiché riguarda la realizzazione di un accesso doganale libero, il quale è il motivo di scontro tra i sostenitori di una soft Brexit e quelli propensi al No Deal.

Le 8 ipotesi alternative bocciate da Westminster

L’ultima carta giocata dal Primo Ministro è quella di “barattare” le sue dimissioni con un nuovo tentativo di risoluzione: questa volta si è votato solo sulla definizione del trattato di uscita dall’UE e non sulle future relazioni bilaterali con gli Stati dell’Unione. Il motivo di tale scelta è perché non è possibile votare più volte un testo già bocciato (l’accordo della May è stato bocciato già due volte).

L’annuncio di lasciare il n.10 di Downing Street in cambio di un accordo sull’uscita dall’UE è successivo alla bocciatura delle 8 proposte presentate come piano B alla Hard Brexit. Tra queste le più votate riguardavano la creazione di un’unione doganale (pur con l’uscita dall’UE verrebbero rispettati i trattati commerciali in corso) che è stata la più vicina all’accettazione (264 contro 272), e la promulgazione di un nuovo referendum. Nessuno di questi tentativi è andato a buon fine.

L’ultimo referendum della May

Non ha funzionato il tentativo di portare dalla sua parte i propri avversari politici (come Boris Johnson, il conservatore pro-Brexit che torna sui suoi passi per votare a favore della proposta della May pur di portarla alle dimissioni – Johnson è il favorito nei sondaggi) per raggiungere il cosiddetto Whitdrawal Agreement. La Camera dei Comuni vota contro con 344 deputati e 286 a sostegno della May la quale non rassegna le sue dimissioni.
Ora la possibilità del No-Deal diventa uno scenario probabile, considerando che il governo britannico dovrà adesso esprimersi in maniera definitiva entro il 12 aprile.

Donald Tusk (presidente del Consiglio Europeo) ha prontamente indetto un summit di emergenza per il 10 aprile con tutti i leader Europei, due giorni prima della definitiva data di scadenza.

Gian Marco Renzetti

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