Quante realtà esistono? Bandersnatch ci offre una visione di tutti i mondi possibili

Bandersnatch (film interattivo prodotto da Netflix nel 2018 nella franchigia di Black Mirror) è il nome del primo videogioco che Stefan Butler (Fionn Whitehead) sta scrivendo. Durante la visione del film, allo spettatore si offre la possibilità di scegliere per il protagonista, maneggiandone il quotidiano vivere, scivolando lungo la china dell’intreccio che si dipana in coerenza con le scelte prese. La letteratura tradizionale, da Carroll a Deleuze, passando per Calvino, ha giocato con questo artificio, mentre la letteratura di genere ha educato intere generazioni di giocatori e videogiocatori. L’impressione netta è che qui ci sia una chiara presa di posizione nel dibattito filosofico contemporaneo.

Incatenati

In questa serie, il diaframma tra manovratore e manovrato arriva ad assottigliarsi, fino a cedere. Dapprima, Stefan avverte una crescente, oscura, ineluttabile spinta a fare (o non fare), che prende a sberle la sua stessa volontà. Infine, si rende sempre più conto di essere molla e ingranaggio di decisioni prese altrove. Poi, con una capriola dialettica che lascia senza fiato (finalmente), ribalta su di noi il dramma di una vita senza timone, trascinata via da correnti superiori. Siamo noi a non essere liberi, come vorremmo e come meriteremmo, come e più di lui, perché il sistema non ci da che due scelte per orchestrare la vicenda sullo schermo. Siamo noi a essere vittime incatenate a una dicotomia prestabilita (provate a non decidere nulla, lasciando scorrere il tempo, e vedrete, cari esteti del disimpegno, dove convolerà indisturbata la realtà: occorre la presenza di spirito, per un tempo cairologico), vincolante, ineluttabile. A ragionare di mondi possibili, si scuote la polvere su secoli di dibattiti filosofici, innervati di spunti potenti: male, libertà, possibilità, realtà, necessità, modalità. Per Lewis, poi, solo il realismo sui mondi possibili ci permette di spazializzare e capire quel K2 dell’astrazione che rimane la logica modale. A squadernarsi davanti allo schermo, sotto l’onnipotenza dei nostri click, nella vita sempre tetica tracciata per Stefan è il reale a dimensione unica, mondato da tutti i bivi (da noi) scelti. Quello che rimane è il fluire indisturbato del mondo attuale, iperbolica spoon river dei mondi possibili, con cui lastrichiamo quello che avrebbe potuto essere, ma che non è. Mondo possibile è quello in cui Stefan finisce il gioco da solo o quello in cui non prende le pillole. Mondo possibile è il mondo in cui indosso la maglia grigia che non ho voluto mettere questa mattina e fuori, in strada, incrocio un killer che odia chi si veste in sfumatura. Mondo possibile è quello in cui esistono altre dimensioni fisiche o esistono altre costanti alla base dell’Universo fisico. Mondo possibile è la Contea, mondo possibile è Utopia. Non ci sono differenze categoriali così forti tra un mondo possibile e l’altro, per quanto molto distanti. Ogni mondo è isolato, non è lontano e non è vicino. E quello che abbiamo lasciato indietro non può tornare identico.

Prima venne la realtà

La realtà giunge improvvisa come un ladro nella notte, irrompe tetragona, non è preceduta dagli araldi della possibilità. La realtà ha ontologicamente il primato, ricorda Pareyson: le possibilità sono aperte solo dalla realtà, ma ne sono immediatamente chiuse. L’oggi si impasta di scelte mentre la diatesi è il nome della possibilità, per ridurre il salto verticale dell’evento. La scelta racchiude un cuore di trascendenza, ma se utilizziamo i paletti dell’ontologia la libertà è ossimorico: non esiste una visione soggettiva, l’attuale reale resiste al fuoco di fila della libertà e del nostro pensiero di essere liberi. Diverso è il carattere modale della realtà, teorizzando i mondi squadernati nel film, che privilegia l’andamento morbido e mobile della scelta.

Il male che gli uomini fanno

Bandersnatch ci offre una ragionevole dimensione di onnipotenza divina: compito del nostro pensiero e del nostro interagire con la visione è attestare la matrice razionale dell’intreccio che vediamo sullo schermo (e, in senso lato, della realtà). Con la libertà radice del reale, quello che possiamo fare, come pensatori e come esseri pensanti, è assistere, metterci in ascolto, narrare e assistere di buon grado alla narrazione. Infatti, sentiamo dire alla dottoressa Haynes, il passato non si cambia e dobbiamo di buon grado farcene una ragione. Possiamo anche fare agire Stefan in maniera scorretta: possiamo fargli aggredire il padre, o peggio. Possiamo lasciare, cioè, che nel nostro mondo entri il male. Il problema centrale nei Saggi di Teodicea di Leibniz è la presenza del male in un mondo che ha un Divino (in questo caso: noi) che, in termini assoluti, tende unicamente al Bene, coincidendovi. La tripartizione del male (ontologico, morale, fisico) ci restituisce un mondo imperfetto, ove lo spazio per agire male, sentire male ed esistere male è reale. Dio non avrebbe potuto creare un mondo perfetto perché sarebbe stato uguale a lui: ha preferito permettere il peccato e il male in vista di un bene superiore. In un’inedita economia di scala, questo è di gran lunga il migliore dei mondi possibili, in grado di combinare la massima perfezione con la massima varietà possibile (un mondo futilmente perfetto, senza imperfezione, è destinato a crollare, chiosa stupito l’Architetto di Matrix). Sacrificando una edenica ma inconsapevole felicità acritica, lascia scegliere Adamo, e lo lascia sbagliare, e con lui tutti noi, per dotare l’uomo di ragione e volontà libera. Gli errori quotidiani sconvolgono e turbano i nostri piccoli stagni esistenziali, dove le onde del destino si placano senza creare disequilibrio nel grande disegno, che appare chiaro solo ponendosi nella giusta prospettiva, sub specie aeternitatis. Ed è la madre di tutti i diagrammi a flusso. E appare chiaro che il male non potrà mai vincere, perché il sistema è progettato per annullarne le distanze e ridurle a mera radiazione cosmica di fondo. A questo ottimismo di fondo, rimane lo sconforto di Colin di fronte all’abisso del consumismo che si traveste da arcade: Pac-man è la prima e mortale unghiata di controllo brutale del sistema: i fantasmini kawaii sono i demoni che si nutrono di dubbi e ci mordono i piedi al bordo del letto, il labirinto è senza uscita. Pensi di giocare a un videogame invece stai accompagnando gli zombi di Romero a fare shopping nel Monroeville Mall. Tutto è codice e se tendi bene l’orecchio, invece del rumore dei nemici, senti sgranare numeri, rapporti, stringhe, mondo.

casualwanderer

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