1984 e una chiacchierata con Platone, siamo prigionieri nella nostra realtà?

Il primo istante che scocca al momento del nostro venire al mondo ci immerge in una realtà data, posta, determinata. Portiamo avanti la vita conformandoci per quanto possibile ai ritmi, alle dinamiche che si muovono intorno a noi, seguendo una linea che può essere dettata da educazione, sogni e aspirazioni, da entrambe le cose o semplicemente dal corso degli eventi, raccogliendo quello che si semina e niente più. Veniamo al mondo in medias res, costretti a correre verso un’ avvenire imprevedibile e caotico la cui unica certezza è l’arrivo e non abbiamo tempo di fermarci e chiedere spiegazioni, di porci domande sul senso di tutto quanto, sulla verità, sulla realtà. Diamo per scontato che ciò che ci sta intorno sia, sia e non possa che essere, non vi viene il dubbio a volte che qualcosa vi sfugga? Che quell’evidenza così convincente non sia in realtà un’illusione? Fermiamoci, anche se non c’è tempo, fermiamoci e chiediamo aiuto a qualcuno che ha passato la vita a cercare di capire. Per far sì ch’egli comprenda e possa darci una mano è necessario porsi nei suoi confronti come lui si sarebbe posto nei nostri, avviando un dialogo che, non a caso, viene chiamato platonico.realtà

Il mito della caverna: la realtà come proiezione

Interlocutore: Mi son posto, Maestro, un interrogativo imponente ed eterno, chiedendo al mondo se esso fosse davvero come appare e se fosse, ancora per davvero, così limpida quella che a me si manifesta come evidenza. Incapace di darmi risposta chiedo a lei un aiuto sincero.

Platone: Domanda profonda la sua, sta sostenendo che la realtà a noi manifesta possa essere un’illusione? Che essa sia solamente l’ombra di quello che è effettivamente?

Interlocutore: Non potrebbe essere così? O sono solo supposizioni fantascientifiche le mie?

Platone: Fantasc… che?

Interlocutore: Mi scusi maestro, neologismi… Metafisiche, volevo dire metafisiche.

Platone: Metafisica o no, la sua domanda ha bisogno di risposta, e per dargliela in maniera esaustiva le parlerò di un mito che ho citato nella Repubblica, una delle mie opere. Pensi ora ad alcuni uomini imprigionati sul fondo di una caverna, con gambe e testa incatenate, costretti a fissare la parete di fronte a loro, impossibilitati a muoversi. Fuori dalla caverna una strada discendente, costeggiata da un muretto ( simile al banchino dei burattinai) al di sotto del quale passano altri uomini con in spalla oggetti e pupazzi di vario genere. Alle spalle del muro brilla un fuoco, che fa sì che le ombre di questi pupazzi siano proiettate sullo sfondo della parete della caverna. I prigionieri sono portati inevitabilmente a credere che l’unica realtà sia quella generata dalle proiezioni delle immagini, effettivamente reali, sulla parete, ulteriormente convinti dall’eco delle voci degli uomini all’esterno, che fa da voce alle ombre sul fondo della caverna. Il racconto prosegue con uno dei prigionieri che viene liberato e condotto con la forza fuori dalla caverna, alla luce del sole, che lo disturba e lo destabilizza. Ad esso viene mostrata la vera realtà delle cose, della quale riesce, seppure all’inizio con scetticismo e incomprensione, ad acquisire consapevolezza. A questo punto il prescelto riconosce la superiorità della propria condizione e prova compassione per i prigionieri, costretti all’illusione e alla menzogna dell’apparenza, e diviene consapevole dell’impossibilità di aiutarli. Se facesse ritorno nella caverna dovrebbe abituarsi ad un’oscurità che oramai non gli appartiene più, apparirebbe goffo e cieco e verrebbe deriso o,addirittura ucciso. La via di chi conosce la verità è scoscesa e difficile, la via dell’ incompreso e del canzonato mio caro, intraprenderla è un purificante e inebriante rischio.

Interlocutore: Illuminante Magister, illuminante. E’ quindi possibile che ciò che sembra così evidente e limpido, non sia altro che il frutto di un’abitudine ingannevole, che ci sia qualcuno che ci tiene incatenati ad una superficie talmente chiara da indurci a non dubitarne ed accettarla spontaneamente per com’è?

Platone: Quando ho scritto la Repubblica la mia concezione si fermava alla distinzione tra il sensibile e l’intellegibile, gli uomini erano i prigionieri, la luce del fuoco è analoga a quella prodotta dal sole nel mondo, l’ascesa al di fuori della caverna non è che l’accesso alla dimensione intellegibile, il cui estremo confine è costituito dall’ idea del bene, che costituisce la causa del sole stesso e della luce del mondo visibile. Trasportando l’allegoria nel tuo tempo si ottiene quello che lei sostiene, che la realtà nella quale la vostra generazione è immersa potrebbe essere un ripiego di pochi eletti per poter agire su di voi con controllo e comando passivo, giocando sull’appetito e sul desiderio, fornendovi un modello di vita comodo o accomodante, privo di lacune pratiche, distribuendo beni che soddisfino bisogni ben’oltre i primari, innescando un meccanismo di… ehm… come dite voi quando i beni superano le necessità, quando si ha da dare molto più di quel che in realtà basterebbe?

Interlocutore: Penso che lei abbia descritto in due parole quello che oggi viene chiamato consumismo, un atteggiamento volto al soddisfacimento indiscriminato di bisogni non essenziali.

Platone: Io credo che, più che l’atteggiamento, questo consumismo non sia altro che lo strumento utilizzato per rendere questa realtà talmente piacevole e lussureggiante da non trovar motivo per dubitarne.

Interlocutore: Lei ha capito perfettamente la situazione, non risulterebbe anacronistico nemmeno in un mondo di robot!

Platone: Un mondo di cosa?!

Interlocutore: Lasci perdere…realtà

Da Platone a Orwell

La condizione dei prigionieri, che rappresentano i cittadini della polis, nel mito platonico della caverna è una condizione artificiale e innaturale, dovuta ad un gioco perverso degli uomini al di fuori, i governanti, i  mass-mover, che si identificano in politici, retori, sofisti, oratori, legislatori e tutti coloro che esercitano una qualche forma di potere e influenza sul
demos. Una condizione simile a quella degli abitanti di Oceania in 1984′, capolavoro distopico di G.Orwell, costretti a vivere sotto il controllo totale di un misterioso dittatore, the Big Brother, che, attraverso i mass-media, diffonde messaggi persuasivi e propagandistici per diffondere gli ideali del Socing, un socialismo estremo i cui principi cardine sono:  la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza. Tralasciando i dettagli la storia gira intorno ad un tale di nome Winston Smith che lavora per il Partito ma che inizia a nutrire sentimenti anti-governativi e, innamorandosi di Julia, una ribelle sovversiva, decide di unirsi ad un gruppo clandestino di rivoltosi. Winston viene però catturato e torturato e, attraverso un lavaggio del cervello, accetta e difende gli ideali socialisti del Grande Fratello. Trama a parte, quello che fa riflettere è che il Partito descritto da Orwell riesce ad omologare e a sussumere sotto di sé la popolazione con i soliti mezzi che hanno portato noi alla condizione dei prigionieri della caverna, costretti dall’abitudine a non chiederci se la realtà sia effettivamente come sembra, convinti all’accettazione spontanea di un’esistenza comoda e persuasi dall’eccesso all’acquiescenza. Siamo in mano ad un pugno di uomini, di burattinai esperti, che tessono le fila delle nostre vite per migliorare le loro, siamo intrappolati in una ragnatela confortevole e accondiscendente, che ci rende prede quiete e innocue, viziate per viziarsi, cieche e inconsapevoli.

Ponetevi domande, non accontentatevi mai delle risposte, l’ignoranza è la forza dei manipolatori, la conoscenza la loro kriptonite. 

Samuele Beconcini

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.