Il mondo è pietrificato dal principio di prestazione che ha meccanizzato la vita umana. Marcuse e Tenco propongono Eros come superamento della alienazione post-moderna.
Il principio di piacere e di realtà
In Eros e civiltà il filosofo Herbert Marcuse scrive che la storia dell’uomo è storia della sua repressione. Avendo ben studiato Freud, egli afferma che le società umane sono formabili e possibili unicamente sottomettendo il principio di piacere al principio di realtà: il primo secondo Freud è l’essenza più profonda dell’uomo, ciò che governa inesorabilmente l’inconscio, quella parte della psiche che lo psicoanalista austriaco denomina Es. Il principio di piacere è quella istanza che a qualunque costo cerca e pretende la soddisfazione, è la Libido, quella energia accumulatasi che richiede la scarica per il completo appagamento. Affinché sia possibile una civile convivenza tra gli uomini, una società, questa energia deve essere scaricata non su una diretta meta sessuale ma inibita alla meta. La Libido deve essere rivolta verso un’attività socialmente utile, quella energia che pretende la soddisfazione, il piacere, deve essere utilizzata non per questa primaria soddisfazione ma in attività utile alla collettività. Solo così la convivenza tra gli uomini può essere relativamente tranquilla e pacifica poiché la libido (che per Freud è legame di sesso e aggressività) viene attenuata e controllata dall’istituzione sociale e politica. Dunque, il principio di realtà è quella istanza strettamente dipendente dal contesto storico sociale, dai valori e dalle attività pertinenti ad un determinato contesto, ad una determinata situazione politica e sociale nello spazio e nel tempo. Scrive Marcuse: “Coll’istituirsi del principio della realtà, l’essere umano che sotto il principio del piacere era stato poco più che una accozzaglia di tendenze animali è diventato un Io organizzato. Ora lotta per ‘ciò che è utile’, per ciò che può ottenere senza causare danno a se stesso o al proprio ambiente vitale.” Dunque l’Io è prodotto della realtà storico-sociale in cui l’uomo vive, frutto della repressione che il contesto e la sua realtà valoriale impone, realtà valoriale verso cui l’uomo deve rivolgere e impiegare la sua energia che altrimenti sarebbe distruttiva per sé e per il proprio circostante.
Storia della repressione
Fondamentale, dunque, è il concetto di penuria: “La penuria insegna agli uomini che non è possibile soddisfare liberamente i propri impulsi istintuali, che non è possibile vivere sotto il principio di piacere”. La storia dell’uomo è storia della sua repressione, dunque storia della distribuzione della penuria, dell’impiego della libido in maniera maggiore o minore a seconda dell’utilità politico-sociale. Per spiegare ciò, Marcuse parte da quel momento in cui secondo Freud la distribuzione della penuria era tutta a favore di un padre primitivo e tirannico, l’unico a poter godere sessualmente delle femmine imponendo ai figli maschi assoluta castità e lavoro intensivo. I figli ad un certo punto si ribellano al padre e lo uccidono. Una volta ucciso, il senso di colpa per questo omicidio si traduce in esigenza di riportare in vita questa autorità e ciò avviene attraverso l’istituzione della legge, del valore che regola la distribuzione della penuria ma in maniera più attenuata rispetto a come lo faceva il padre primordiale. Nasce così la società totemica con le sue norme che regolano l’incesto e via via le altre società con le loro rispettive norme di minore o maggiore intensità repressiva. La storia è il continuo riproporsi del represso, il continuo riproporsi del parricidio cioè la continua ribellione nei confronti di vecchi valori repressivi in luogo di nuovi che finiscono per essere repressivi anch’essi: “Freud assume che il crimine primordiale, e il senso di colpa che esso porta con sé, si riproducano, in forme modificate, in tutto il corso della storia. Il crimine viene ri-agito nel conflitto tra vecchia e nuova generazione, nella rivolta e nella ribellione contro l’autorità costituita- e nel pentimento successivo: nella restaurazione e glorificazione dell’autorità.” Le società umane sono dunque riproposizione continua della repressione, riproposizione continua di valori e attività in cui l’uomo deve impiegare la propria energia per essere utile alla collettività: è il principio di prestazione, il lavoro. Scrive Marcuse: “La civiltà è innanzi tutto progresso del lavoro- cioè del lavoro per procurare e aumentare la necessità della vita. Questo lavoro, normalmente, non offre soddisfazione in se stesso; per Freud esso è spiacevole, penoso. Nella metapsicologia di Freud non c’è posto per un istinto di operosità originale, per un originale istinto di padroneggiare la materia. Il lavoro fondamentale, nella civiltà, è non libidico, è fatica; la fatica è “spiacevole” e questo stato spiacevole deve venire imposto. Poiché la civiltà è principalmente opera dell’Eros, essa è innanzitutto sottrazione di libido; la cultura ricava una grande parte dell’energia psichica di cui ha bisogno sottraendola alla sessualità.” La storia dell’uomo è storia della sua repressione in quanto è un susseguirsi di autorità che impongono la distribuzione della penuria e gestiscono l’impiego della libido in determinate attività utili per la collettività che sanciscono la sopravvivenza della collettività e della unità politica. L’età moderna, o almeno quello che gli storici chiamano post-moderno, è caratterizzata dalla automatizzazione del principio di prestazione, la repressione è un qualcosa di automatico e automatizzato in virtù della meccanizzazione della vita conseguente alla meccanizzazione della società per via dell’intensivo progresso produttivo ed industriale. La vita degli uomini e ormai gestita e completamente assorbita dalla prestazione, ogni azione, ogni attività, anche non lavorativa, è macchinale: tutto è principio di prestazione nel senso di prestazione lavorativa. Il post-moderno è l’epoca dell’uomo-macchina completamente alienato dal suo intimo più profondo, egli è bloccato, cristallizzato, pietrificato dalla macchina, è un ingranaggio della macchina: “La meccanicità della linea di montaggio, la routine dell’ufficio, il rituale degli acquisti e delle vendite, sono staccati da ogni connessione con le potenzialità umane. I rapporti di lavoro sono diventati in ampia misura rapporti tra persone che non sono altro oggetti intercambiabili di manipolazione scientifica e tecnici del rendimento. L’intero mondo del lavoro e degli svaghi è diventato un sistema di oggetti animati e inanimati-tutti egualmente sottomessi all’amministrazione. L’esistenza umana in questo mondo è diventata puro materiale, materia prima, e non ha più in sé il principio del movimento. Questo stato di ossificazione incide anche sugli istinti, sulle loro inibizioni e modifiche. La loro dinamica originale diventa statica, le correlazioni di Io, Super-Io ed Es si congelano in reazioni automatiche. La somatizzazione del Super-Io si accompagna a una somatizzazione dell’Io, che si manifesta in caratteristiche e gesti congelati che vengono prodotti nelle occasioni e nelle ore appropriate. La coscienza, che porta sempre meno il peso della autonomia, tende a ridursi al compito di regolare il coordinamento dell’individuo con l’insieme.” L’individuo moderno è dunque ossificato, le sue istanze psichiche sono completamente adattate alla realtà meccanizzata in cui sono completamente immerse. L’umanità sembra condannata ad una eterna stasi, a muoversi eternamente sempre allo stesso modo seguendo perennemente i ritmi della macchina.
Vita erotizzata
La soluzione che Marcuse propone contro questa società alienata e meccanizzata, in cui la repressione è giunta ai massimi livelli proprio perché divenuta automatica e autoimposta, è quella dell’istituzione di una società non-repressiva fondata sull’Eros. Servono, dunque, istituzioni che riabilitino l’uomo nella propria dimensione erotica scevra da qualsiasi tipo di inibizione e repressione. Per Freud questo sarebbe impossibile poiché Libido e aggressività sono strettamente unite e collegate: Eros e Thanatos si coimplicano, sono due facce della stessa medaglia, entrambe mirano al ristabilimento di un equilibrio, il primo con la scarica energetica sull’oggetto sessuale, il secondo con la distruzione e l’annientamento improntato al ritorno alla dimensione inorganica e prenatale. Una società non repressiva comporterebbe il rischio di non inibire l’aggressività che secondo Freud è tutt’uno con eros, rendendo impossibile qualsiasi tipo di legame sociale. Per Marcuse non è così: Thanatos, l’istinto distruttivo e autodistruttivo, è legittimato e reso sempre più acuto dalla repressione. L’aggressività a livello individuale e la guerra a livello generale sono tanto più distruttive quanto è più acuta la repressione: una società in cui la repressione è un qualcosa di automatico è dunque automatica la guerra, l’aggressività e la guerra sono lo sfogo collegato alla iper-repressione della società meccanizzata composta da individui alienati. L’uomo deve tornare ad essere uomo erotizzato, deve ristabilire a livello politico e sociale quel totale stato di appagamento tra sé e il circostante in cui si trovava nella dimensione materna e pre-edipica. L’obiettivo è quello di portare il principio di piacere nel principio di realtà, essendo il principio di piacere non un qualcosa di collegato all’aggressività e alla distruzione, ma il completo appagamento consistente nella riconciliazione dell’uomo con se stesso e il circostante, con la sua vera essenza. In questa dimensione l’Io non è più un prodotto della repressione ma espressione autentica del sé umano: non c’è più un principio di realtà che si oppone a un principio di piacere, la dimensione esteriore diviene tutt’uno con quella interiore,quella distanza tra uomo e natura che ha sempre costretto l’uomo ad imporre e ad imporsi norme repressive viene completamente superata. Ciò viene espresso da Marcuse attraverso le figure di Orfeo e Narciso: Orfeo rappresenta quella dimensione materna e pre-edipica in cui non vi è distinzione tra Io e natura, tra interiore ed esteriore. Con la sua musica armonizza la natura con se stesso, fa diventare la natura da matrigna, madre. Invece Narciso rappresenta il contatto e il ristabilimento con la bellezza di sé che è quell’essere tutt’uno col materno, col grembo: “L’esperienza orfica e narcisistica del mondo nega ciò che il mondo del principio di prestazione sostiene. L’opposizione tra uomo e natura, soggetto e oggetto, è superata. L’esistere è inteso come soddisfazione che unisce uomo e natura, in modo che la realizzazione dell’uomo sia allo stesso tempo la soddisfazione senza violenza, della natura. Nel fatto che si parli ad essi, che siano amati e curati, gli alberi, i ruscelli e gli animali appaiono come quello che sono-belli non soltanto per coloro che parlano con essi e li guardano, ma in se stessi, “oggettivamente”. Nell’eros orfico e narcisistico, questa tendenza si libera: gli oggetti della natura diventano liberi di essere ciò che sono.” A tal proposito è fondamentale il concetto di Narcisismo primario: “La scoperta del narcisismo significò qualcosa di più che una semplice aggiunta di un’altra fase allo sviluppo della libido; con esso si rivelò l’archetipo di un’altra relazione esistenziale con la realtà. Il narcisismo primario è più che autoerotismo; esso assorbe l’ambiente integrando l’Io narcisistico col mondo oggettivo. Originariamente l’Io include ogni cosa, più tardi esso stacca da sé il mondo esterno. Il senso dell’Io del quale attualmente abbiamo coscienza è soltanto un residuo avvizzito di un sentimento molto più esteso-un sentimento che abbracciava l’universo e esprimeva una connessione inseparabile dell’io col mondo esterno.” La società umana dovrebbe, pertanto, vivere eroticamente, l’individuo deve essere conciliato con se stesso e con il suo circostante all’insegna di eros. Il lavoro, la prestazione, deve divenire un qualcosa di appagante, un qualcosa che metta a contatto con la propria dimensione più intima che fa essere l’uomo se stesso. Esso deve divenire gioco, un qualcosa che appaghi completamente e che faccia sentire assolutamente pieni, felici e soddisfatti. Il lavoro dovrebbe, quindi, essere de-alienato con la conseguente diminuzione dei ritmi lavorativi, ciò comporterebbe sì la diminuzione della produttività ma probabilmente la felicità.
L’eros di Luigi Tenco
Tanti elementi marcusiani sono presenti nelle canzoni di Luigi Tenco. Nella sua musica è facile cogliere il disagio legato al vivere in un mondo meccanizzato ed alienato, un mondo dominato dalla prestazione e dal rendimento, un mondo in cui ogni giorno è sempre uguale al precedente, in cui la vita è automatizzata dal lavoro per via del “benessere” determinato dallo sviluppo industriale di fine anni Cinquanta inizio Sessanta:“La solita strada, bianca come il sale. Il grano da crescere, i campi da arare. Guardare ogni giorno se piove o c’è il sole. Per saper se domani si vive o si muore e un bel giorno dire basta e andare via.” Evidente è l’anelito di Tenco verso la fuga da una realtà che sembra essersi staticizzata, cristalizzata dal benessere che rende gli uomini automi del rendimento: ” Andare via lontano. Cercare un altro mondo. Dire addio al cortile. Andarsene sognando. E poi mille strade grigie come il fumo. In un mondo di luci sentirsi nessuno. Saltare cent’anni in un giorno solo, dai carri nei campi agli aerei nel cielo e non capirci niente e aver voglia di tornare da te.” Questi elementi fanno subito venire in mente la denuncia marcusiana contro una società dominata dal principio di prestazione, contro una società che si è autoimposta la repressione e che per il profitto ed il rendimento ha rinunciato alla propria umanità per funzionare macchinalmente. L’umanità è ridotta a meccanismo che gira e funziona sempre alla stessa maniera, in cui ognuno sta nel posto in cui deve stare e lì deve rimanere: “Un giorno dopo l’altro il tempo se ne va, le strade sempre uguali, le stesse case. Un giorno dopo l’altro e tutto è come prima, un passo dopo l’altro, la stessa vita.” Chiara è nella musica di Tenco l’intenzione di fuggire verso una dimensione altra, verso una dimensione di assoluta autenticità umana, verso una dimensione non dominata dal principio di prestazione, priva di qualsiasi repressione imposta o autoimposta che sia: “E gli occhi intorno cercano quell’avvenire che avevano sognato ma i sogni sono ancora sogni e l’avvenire è ormai quasi passato.” Straordinario è come nell’opera di Tenco sia presente il perenne tendere a quella dimensione che Freud chiama narcisismo primario e che Marcuse ci ricorda essere stata denominata da Charles Odier come Super-Es, quella dimensione di completo appagamento, di pienezza che consiste nel superamento del principio di realtà repressivo, quella dimensione pre-edipica della completa adesione e del completo contatto con il grembo materno. Ciò è palese più che mai nella canzone “Il mio regno” in cui l’autore rievoca una dimensione infantile e fiabesca priva di contesto storico e dunque priva di repressione e principio di prestazione in cui regna felice bastando a se stesso, beato nella pienezza di sè: “Un regno con un solo soldato che cercava le streghe, voleva cacciarle a sassate. Un regno che ogni giorno viveva di mille e mille “c’era una volta”. E alla fine il rimpianto di aver ceduto alla storia e al principio di prestazione questa autentica dimensione di pienezza:” Se non mi avessero detto mai che le fiabe sono storie non vere, ora là io sarei.”
Chissà se un mondo dominato da Eros possa garantire la felicità: un mondo erotizzato è un mondo privo di confini, privo di limiti repressivi, bisogna stare attenti alla forma in cui declinare questa vita erotizzata, stare attenti che l’assenza di repressione, di qualsiasi forma essa sia, non ci faccia divenire mostri ubriachi di deliri di onnipotenza per via di questa assenza di limiti, cosa che sta accadendo con la contemporanea traduzione di questa vita erotica teorizzata da questi autori attraverso la forma dell’iper-consumismo odierno.