Scienza e storia connesse per comprendere il passato: ecco cosa abbiamo capito delle civiltà precolombiane

Uno studio americano sulla genetica delle popolazioni precolombiane riporta in vita il dibattito culturale ottocentesco sull’esistenza delle razze e sul loro significato, aperto in Italia nel 1875 da Paolo Mantegazza. 

Esempio di arte azteca precolombiana

È uscita due giorni fa sulla pagina online della rivista Focus la notizia della conclusione di uno studio sul DNA delle popolazioni andine, al fine di determinarne gli spostamenti, l’evoluzione e lo stile di vita, prima dell’incontro con gli Europei. Non è la prima volta che un gruppo di studiosi affronta una ricerca di questo tipo, e non è certamente la prima volta che si cerca di dare una risposta culturale a fenomeni antropologici come i mutamenti e i rimescolamenti di popolazioni. Un risultato che fu fondamentale per la storia culturale italiana fu l’esperimento di Paolo Mantegazza, datato 1875. L’esperimento dimostrò che nonostante le particolarità genetiche di ognuno le razze non esistono. Al di là dell’ambito scientifico, la storia delle scienze dell’uomo è una branca di studi che ebbe notevoli ripercussioni sulla storia della nostra cultura, cosa di cui ci si dimentica facilmente.

Veduta sul sito di Machu Pichu

Lo studio sulla genetica delle civiltà precolombiane

Un gruppo di ricercatori dell’Harvard Medical School e dell’Università della California, con sede a Santa Cruz, hanno appena concluso un nuovo studio sulla genetica delle popolazioni precolombiane. La notizia, apparsa sulla rivista Focus (all’indirizzo https://www.focus.it/cultura/storia/ritratto-genetico-completo-civilta-precolombiane) riguarda una ricerca i cui risultati non sono importanti solo dal punto di vista scientifico, ma anche culturale. In primo luogo perché in genere questo tipo di studi riguardava, di solito, le popolazioni euroasiatiche e in secondo luogo perché è di vitale importanza per ricostruire la storia di queste civiltà. L’archeologia da sola, infatti, ormai non è più sufficiente allo storico per svolgere il suo lavoro, anzi, egli spesso deve ricorrere a nuovi mezzi per poter svolgere una ricerca che sia il più accurata possibile. Senza entrare in dettagli troppo tecnici e troppo scientifici (i professionisti del settore possono invece ritrovare la pubblicazione originale grazie a un link messo a disposizione dalla stessa rivista Focus https://www.cell.com/cell/fulltext/S0092-8674(20)30477-3) uno storico può riuscire, grazie a questo studio, a ricostruire con estrema precisione i mutamenti che hanno davvero cambiato lo stile di vita delle popolazioni: quindi mutamenti climatici, spostamenti, migrazioni, carestie, miscugli con altri popoli. Sono tutte cose dimostrabili scientificamente: si prenda il caso di un cambiamento climatico come esempio. Esso porterà a un mutamento nella dieta delle popolazioni, il che avrà come conseguenza nuove malattie e cambiamenti nella struttura fisica delle persone. Cambia la dieta cambia la composizione del cibo: le popolazioni di quel periodo avranno una dentatura diversa, per esempio, dovuta alla masticazione di cibo diverso, oppure avranno una struttura ossea e muscolare differente rispetto alle generazioni precedenti a causa di un diverso lavoro necessario per procurarsi il cibo e così via. Anche senza essere un esperto in materia scientifica, uno storico per svolgere al meglio il proprio lavoro, ad oggi, deve necessariamente prendere in considerazione anche la scienza come sua alleata.

Paolo Mantegazza e la storia delle scienze dell’uomo

Non è che tutti sappiano con precisione chi sia Paolo Mantegazza, così come la stessa branca degli studi riguardanti la storia della scienza non gode di una grandissima fama. Eppure questo personaggio fu estremamente importante per la storia culturale italiana. Innanzitutto egli fu il primo docente di antropologia in Italia. Prima del 1869, chi studiava antropologia era un medico. La nascita di questa cattedra comportò una legittimazione della storia stessa dell’uomo in quanto uomo, trattato come un animale e non come un essere superiore. Fu una conquista importante da raggiungere, a cui noi ora non diamo peso, ma che influenzò moltissimo il nostro modo di porci, in quanto uomini, con il resto del mondo. L’uomo era studiato separatamente rispetto al resto del mondo naturale, era fuori dalla scala delle specie, anzi, ne era in cima. Il fatto che nasca una materia chiamata Antropologia significa che l’uomo può finalmente essere studiato in quanto tale, diventa davvero un elemento della natura, quasi al pari di piante e animali. Ma l’importanza di Mantegazza è legata anche alla fondazione a Firenze nel 1870 del primo Museo Nazionale di Antropologia ed Etnologia, non solo in Italia, ma anche in Europa (all’epoca Firenze era capitale). Fu qui che condusse, nel 1875, l’esperimento volto a verificare per via morfologica la fondatezza scientifica del concetto di razza, scardinandolo per sempre e sminuendo, inoltre, il lavoro di Cesare Lombroso, il quale credeva che a seconda della diversa forma del cranio (più precisamente in base alla presenza o meno della fossetta mediana occipitale) un individuo fosse, o non fosse, un criminale. E’ una teoria che ora viene classificata come riduzionismo antropologico, che costò a Lombroso l’eliminazione dalla società di antropologi legata al Museo fondato da Mantegazza.

L’esperimento e il suo legame con la ricerca sulle civiltà precolombiane

Ma cosa successe durante l’esperimento? In realtà fu abbastanza semplice: siccome (e non solo Lombroso!) si credeva (grazie a uno studio condotto da Gobineau, Sull’ineguaglianza delle razze umane) che ci fossero razze superiori e inferiori e che ci fosse una scala, legata al livello di prognatismo della mandibola, che andava dal pitecoide (il più prognato e animalesco) all’olimpico (cioè il più armonioso), Mantegazza prese 200 crani dalla sua cranioteca e mise insieme 3 esperti di osteologia (all’epoca chiamata Antropologia fisica) e disse loro di ordinare i crani in base a questa scala. La genialità dell’esperimento fu nel fatto che si trattò, usando termini più attuali, di un blind experiment, cioè condotto alla cieca: tra questi crani vi erano quelli di criminali e di geni (tra cui quello di Foscolo!) e gli esperti avrebbero dovuto metterli in ordine senza problemi, dal più criminale al più geniale, seguendo questa scala di proporzioni. Chiaramente, i crani vennero messi in un ordine casuale e il povero Foscolo non si trovò nemmeno tra i primi. Mantegazza riuscì dunque a dimostrare che l’approccio razziale basato sulla superiorità/inferiorità di certi gruppi di individui fosse scientificamente infondato. Si tratta di uno studio poco conosciuto, ma fondamentale per la storia culturale, e non solo italiana. Spesso ci si dimentica che studi come quello sulla genetica delle civiltà precolombiane, sul loro sviluppo, sui loro cambiamenti, e saggi sulla storia di queste stesse popolazioni non sono rette parallele destinate a non incontrarsi mai. La strada aperta da Mantegazza dimostra chiaramente quanto la storia ha bisogno della scienza e quanto non siano materie da pensarsi come separate. Lo studio scientifico del DNA riguarda anche la storia culturale di una popolazione. Può sembrare paradossale, certo, ma Mantegazza non ci ha insegnato proprio questo? Che le cose più inaspettate non sono per forza sbagliate?

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