Taxi Driver, uno dei capolavori di Martin Scorsese uscito nelle sale nel 1976, è un cult da dover vedere necessariamente una volta nella vita. Si presenta come una pellicola, ma in realtà è una vera e propria discesa nei meandri più oscuri della personalità umana, mettendo in luce tutte le fragilità del protagonista senza mai scadere nel banale.
Di cosa parla Taxi Driver?
Taxi Driver parla della storia di Travis Bickle, interpretato da un giovanissimo Robert De Niro, ex marine reduce dalla guerra del Vietnam, con un’insonnia cronica che lo porta a guardare la tv di giorno e a fare il tassista di notte per le strade di New York. Con ancora in mente gli orrori bellici, Travis vive una vita da isolato e disadattato, impegnando il tempo libero in solitudine o a scambiare quattro chiacchiere superficiali con i colleghi di lavoro. L’unico elemento di svago che si concede è la visione di film pornografici in cinema a luci rosse. Ed è proprio qui che decide di portare la donna oggetto del suo interesse che corteggia spudoratamente, Betsy, la quale si allontana subito da lui dopo questo episodio sfortunato. Ciò che colpisce è che Travis non avesse minimamente preso in considerazione il fatto che un film del genere avrebbe potuto arrecare disagio a Betsy, dimostrando un’innocenza quasi innaturale. Tuttavia, è da qui che il declino del protagonista si fa sempre più evidente, culminato poi con la conoscenza di Iris, una prostituta appena tredicenne che una notte entra nel suo taxi per scappare al suo protettore. Travis decide, quindi, di salvarla, ma il problema è che la ragazza non vuole abbandonare la sua vita da schiava sessuale, facendo intendere che in realtà fosse stata una scelta quasi volontaria per allontanarsi dai genitori. A quel punto, la caduta nel baratro si fa sempre più vicina. Travis si rende conto che ogni sua buona azione viene ignorata, così come la sua esistenza. Avviluppato nella sua spirale di solitudine e traumi pregressi, la sua personalità schizotipica inizia prepotentemente ad uscire. Si rende conto che la società nella quale vive deve essere ripulita dall’ipocrisia, quasi a voler riprendere il discorso fatto con il senatore Palantine nel suo taxi. Ed è proprio lui il primo che vorrebbe eliminare, considerandolo un simbolo della facciata patinata degli Stati Uniti che se strappata via nascondeva tutto il marcio a cui lui era costretto ad assistere ogni notte. Decide quindi di compiere una strage, ammazzando il protettore di Iris e altri loschi figuri che incontra nell’hotel dove la ragazza stava lavorando. Nel frattempo, una grande folla si accalca fuori dall’edificio e viene ripresa nella sua interezza, quasi a voler sottolineare quanto finalmente il protagonista fosse riuscito ad attirare su di sé l’attenzione. In quel momento, non era più un ‘nessuno’. Alla fine, Iris viene restituita alla famiglia e Travis viene dipinto come un eroe da tutti i quotidiani, mostrando che finalmente qualcuno si era accorto della sua esistenza. La pellicola si conclude con Betsy che sale sul taxi e Travis che si mostra distaccato nei suoi confronti, considerando oramai quella vicenda chiusa.
La personalità schizotipica
Inutile dire che il personaggio di Travis è un personaggio complesso, creato in maniera magistrale in modo da mostrare in maniera realistica quanto l’incompatibilità dell’individuo con la società sia in grado di logorarlo dall’interno. “La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita. Dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi… dappertutto. Non c’è scampo, sono nato per essere solo” ed è in questa frase che si riassume l’intero disagio che Travis vive. Egli non si sente parte del mondo che lo circonda, lo considera come ‘altro’ da lui perché troppo infimo per poterci vivere in serenità. Se volessimo analizzare il protagonista da un punto di vista prettamente psicologico e nosografico, potremmo dire che sono due i disturbi da poter prendere in considerazione: il disturbo post-traumatico da stress e il disturbo schizotipico di personalità. Se la dicitura non fosse ormai superata, il primo disturbo potrebbe essere reso di immediata comprensione chiamandolo ‘nevrosi da guerra‘, termine coniato da Freud. Dando uno sguardo ai principali sintomi, possiamo concludere che Travis li ha tutti: insonnia, depressione e numbing, ovvero uno stato di coscienza molto simile all’intorpidimento. Sin dall’inizio appare come se la la sua coscienza della realtà fosse parzialmente alterata, quasi come se vivesse in una bolla. A questo elemento iniziale, si accompagna un possibile disturbo schizotipico di personalità, che mostra tutta la sua forza nella sequenza di sparatorie perpetrata nell’hotel dove si trovava Iris. Questo disturbo è caratterizzato da una forma di disagio acuto, comportamento bizzarro e incapacità di stringere relazioni significative con gli altri. E’ presente anche una ruminazione costante sulle stesse idee che dall’esterno potrebbero essere considerate bizzarre o assurde. E quest’ultimo elemento è quello che si trova nel pensiero del protagonista: farsi portatore della giustizia eliminando tutti coloro che considera colonne portanti dell’ipocrisia della società. Si rende conto che gli altri sono ostili, che non lo comprenderanno mai e quindi decide di allontanarsi, coltivando in segreto la sua vendetta. Travis potrebbe essere l’anti-eroe moderno per eccellenza che alla fine riesce nella sua missione, anche se con grande spargimento di sangue. Egli cede ai suoi pensieri, non oppone resistenza al suo ruminare ossessivo e la cosa fondamentale è che il suo esame di realtà non è compromesso nella sua totalità. Ed è questo l’elemento fondamentale: Travis non ha allucinazioni, non è vittima di pensieri deliranti dal punto di vista clinico: è lucido in tutto quello che fa.
La rappresentazione oscura della società
Si potrebbe dire che la grandiosità di questo film risieda, oltre che nell’abilità di rappresentare quanto detto prima in maniera realistica e non forzata, anche nella regia strabiliante e nella colonna sonora. Come dimenticare il modo in cui la cinepresa riprende la missione conclusa da Travis, accompagnando il tutto con una melodia che prima aveva fatto da sfondo a scene più leggere. Poi, ancora, il senso di immobilità che traspare quando il protagonista, dopo aver lasciato dietro di sé la lunga scia di sangue, abbandona sul divano portandosi le dita alle tempie mimando una pistola. E’ tutto fermo: Iris, i poliziotti che entrano, il mondo all’esterno. C’è solo Travis soddisfatto di aver finalmente fatto tacere quell’idea ossessiva che dominava i suoi pensieri. Il film termina con il protagonista che ritrova Betsy nel suo taxi e afferma di essere guarito, che ciò che era accaduto era stata una cosa da poco. Ad ogni modo, la vera anima del film non si trova nei suoi minuti finali, ma in un monologo improvvisato da De Niro che è entrato nella memoria cinematografica di tutto il mondo: “Ma dici a me? Ma dici a me? Non ci sono che io qui…”. Mentre la prima parte resta ancora oggi un’icona, la seconda racchiude in sé tutta la frustrazione e la solitudine che sperimenta il protagonista, accresciuta inevitabilmente dall’indifferenza del mondo esterno. Per la prima volta, New York non viene più dipinta come la città d’oro dove tutti i sogni si possono realizzare e dove non esistono brutture. Per la prima volta, si ha il coraggio di dire che ‘in ogni strada, in ogni città, c’è sempre un nessuno che sogna di essere qualcuno’, non importa in che modo ci riesce.