In che misura il tempo speso online cambia la nostra percezione del tempo della vita offline?
Una recente ricerca mostra come gli smartphone, catturando continuamente la nostra attenzione, riducano il tempo che trascorriamo con amici e familiari, portandoci a vivere meno esperienze e ad accumulare meno ricordi.
Tempo online e tempo offline
Se per caso sentiste la mancanza di qualcuno che vi accusi di non staccarvi un attimo dal cellulare, i dati raccolti dall’associazione “Di.Te.” potrebbero far risuonare nella vostra mente quei rimproveri. Stando alla recente ricerca “Mi ritiro in rete” infatti, su un campione di 10,000 giovani tra i 10 e i 21 anni, il 30% di essi dichiara che i congegni tecnologici assorbono buona parte del tempo della giornata, a discapito di quello speso con familiari e amici o nello svolgimento di altre attività. Strumenti come gli smartphone in effetti, grazie alla loro multifunzionalità, la quale ci permette di ascoltare musica, guardare serie tv, giocare e scambiare messaggi attraverso il medesimo schermo, sono un richiamo costante per la nostra attenzione, quasi un canto di sirena che ci ammalia e ci attira a sé nonostante tutta la resistenza che possiamo opporre. Tuttavia, mentre tali tecnologie possono essere una fonte inesauribile di informazioni, un ininterrotto flusso di input che ci viene trasmesso, dall’altra parte le nostra attenzione e le nostre capacità di assimilazione sono finite e non possono varcare un certo limite: ogni minuto speso sullo schermo di un tablet o di un cellulare è inevitabilmente un minuto in cui ci chiamiamo fuori dal “mondo offline”, in cui ignoriamo gran parte degli stimoli e delle informazioni che riceviamo dall’esterno, ignorando le persone e le interazioni possibili intorno a noi. Avviene così che ci arricchiamo sempre meno delle esperienze e dei ricordi “reali”, dirottando la nostra attenzione verso esperienze che sono piuttosto virtuali.
Senza voler demonizzare dispositivi tecnologici quali smartphone, pc e tablet, non possiamo tuttavia non porci delle domande e non sollevare dei dubbi: la tecnologia peggiora il nostro rapporto con l’ambiente circostante? In che misura ci distrae dal mondo offline? Quali conseguenze può comportare sul nostro modo di accumulare esperienza e di approcciarci agli eventi della vita ?
Bergson: i cerchi della memoria e l’attenzione
Nonostante non sapesse cose sia uno smartphone, d’altro canto Bergson, filosofo francese vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo, conosceva bene l’importanza della memoria per l’essere umano. Egli infatti, riflettendo su come passato, presente e futuro si intreccino nell’esperienza umana (ciò che chiamava tempo della vita), individuava uno stretto legame tra i ricordi del passato e la libertà di agire e reagire nel futuro.
L’immagine che più chiaramente mostra questo rapporto è quella dei cerchi della memoria del saggio Materia e memoria, pubblicato nel 1896. Secondo il filosofo francese l’esperienza che facciamo di un oggetto, non è riducibile alla percezione sensoriale presente che abbiamo di esso: tale percezione è sempre accompagnata in realtà da tutti i ricordi di quell’oggetto che abbiamo accumulato, in modo tale che, per esempio, quando vediamo una bottiglia di vetro, la nostra esperienza di tale oggetto non è limitata ai “dati sensibili”, ma, in base alla forma e all’etichetta, ne riconosciamo la funzione (contenere un liquido) e il contenuto (acqua, birra, vino) rievocando i ricordi di tutte le bottiglie simili che abbiamo precedentemente visto. Così, spiega Bergson, la memoria del passato e la percezione presente rimandano continuamente l’una all’altra, come in una sorta di circuito: la seconda richiama i ricordi “dormienti” affini all’oggetto percepito, i quali a loro volta “ripassano” i contorni della percezione, arricchendo di dettagli lo schizzo preparatorio che essa aveva disegnato. E’ dunque attraverso questo meccanismo che possiamo avere un’esperienza completa del mondo circostante e che soprattutto ci si spalancano, per così dire, le porte del futuro. Senza i ricordi che vanno a rifinire la percezione infatti le nostre capacità di azione sarebbero molto più limitate, precludendoci tutte quelle possibilità che invece solitamente il futuro porta con sé: se non ricordassi il significato legato al colore verde del semaforo e ai segnali stradali in generale, non saprei come comportarmi alla guida, se, nell’incontrare una persona per strada, non riconoscessi che è un mio caro amico, lo ignorerei e non avrei la possibilità di avere una conversazione con lui. Sono i ricordi, per così dire, a sorreggere il peso delle possibilità future e della libertà che queste permettono.
Tuttavia, leggendo le pagine di Materia e memoria, scopriamo l’importanza di un ulteriore elemento, senza il quale verrebbero meno i cerchi della memoria stessi, ovvero l’attenzione. La nostra capacità di essere attenti è infatti ciò che permette di mettere in comunicazioni i ricordi con la percezione: essa, come un telegrafista, riporta parola per parola i messaggi che le due parti si inviano reciprocamente, facendo in modo che vengano selezionati i ricordi più attinenti alla percezione presente. Venendo meno l’attenzione dunque, poiché ciò incepperebbe il funzionamento dei cerchi della memoria, verrebbe meno la nostra stessa possibilità di scegliere in libertà l’azione da compiere e, in breve, di avere una completa esperienza delle cose e degli eventi.
Tecnologia, memoria ed esperienza
La tecnologia in sé non può essere considerata la fonte di tutti i mali che spesso le vengono invece attribuiti ed è necessario evitare di cadere nel facile rischio di demonizzarla. Nonostante ciò, i dati ci confermano ancora una volta come l’impatto che essa ha sulle nostre vite sia tangibile e come dunque il problema del rapporto che vi intratteniamo non vada trascurato.
E’ innegabile infatti che gli schermi di cui ci circondiamo e, con essi, il tempo che trascorriamo online alterino, per usare un linguaggio bergsoniano, il tempo della vita: accumuliamo un numero maggiore di “esperienze digitali” che non “reali”, ci affidiamo alla memoria di calendari e archivi virtuali ,impigrendo così la nostra, dirigiamo la nostra (già limitata per natura) attenzione sui numerosi stimoli che vengono da internet più che su quelli del mondo esterno. Portando il discorso alle estreme conseguenze, potremmo quasi avvertire il rischio di un’umanità priva di ricordi, incapace di esperienze e perennemente distratta e deconcentrata, ora rivolta verso uno stimolo (una pubblicità, uno slogan politico), ora all’altro, eliminando già il primo. Un’umanità che, se quanto argomenta Bergson ha una sua verità, si vedrebbe così privata della solida base sulla quale posano tutte le sue prospettive, incapace di programmare il proprio agire e di abitare il futuro.
Così, tra l’allarmismo che offre il via libera al panico generale e chiude ogni possibilità di riflessione da un lato e l’ottusa tentazione di nascondere la polvere sotto il tappeto, emerge piuttosto la necessità di prendere il toro per le corna e di instaurare, con le numerose complessità che questo comporta, un rapporto sano e virtuoso con la tecnologia. Un rapporto per imparare, nonostante le difficoltà, a mantenere un sufficiente livello di attenzione e concentrazione, per conservare la preziosità e la stabilità della nostra memoria, per non chiuderci alle relazioni, alle esperienze, e, in sostanza, per non guastare il delicato meccanismo dell’orologio che segna il tempo della vita umana.