Ideare e produrre un videogioco è come essere divinità di un mondo in cui tutto è già prestabilito. La lezione dei deterministi può essere applicata ai videogames, analizzando il film Black Mirror: Bandersnatch.

Bandersnatch, parte del franchise di Black Mirror, è un film interattivo diretto da David Slade, basato su una sceneggiatura non lineare. In parole povere, lo spettatore è chiamato a scegliere cosa il protagonista farà di scena in scena e sullo schermo appaiono gli esiti delle sue decisioni.
Fai la scelta giusta…
Bandersnatch viene pubblicato su Netflix il 28 dicembre 2018 e non è un caso che venga proclamato agli Emmy “Miglior film per la televisione” nel 2019. Il film non ammette uno spettatore passivo: la trama la sceglie chi guarda. Bandersnatch non solo parla di un videogioco, ma si avvicina esso stesso al funzionamento tipico dei videogames. Con ciò si intende che le scelte sono, in qualche modo, obbligate dalla logica binaria della trama non lineare, in un aut-aut che rischia sempre di far morire qualcuno (che sia il protagonista o un altro dei personaggi). La morte, però, come nei videogames, non è del tutto vincolante. Nel caso dei videogames, si ricomincia a giocare e, nel caso di Bandersnatch, semplicemente si viene riportati alla scelta immediatamente precedente. Come nei videogiochi si deve rigiocare la parte immediatamente precedente a quella in cui si è morti, in Bandersnatch occorre fare un breve rewatch delle parti che hanno portato alla fine del film. A seconda delle scelte dello spettatore, i finali possono essere svariati e molto diversi tra loro. Solo le prime scene sono condivise da tutti i fruitori del film. Il protagonista è Stefan Butler, programmatore di videogames interpretato da Fionn Whitehead, e la trama è ambientata nel 1984 in Inghilterra (secondo il caratteristico gusto di molte serie Netflix, che propongono un revival di questa epoca). Stefan sta producendo un videogioco interattivo basato sul libro di Jerome F. Davies, intitolato proprio Bandersnatch. La demo viene proposta alla società Tuckersoft, per cui lavora anche Colin Ritman, uno dei più importanti creatori di videogiochi all’epoca. Le prime scelte iniziano sin dalla mattina, quando il papà di Stefan propone due diversi tipi di cereali. Lo spettatore, incollato allo schermo, si chiede se questa si rivelerà una scelta decisiva, che potrebbe cambiare le sorti di tutto il film e la vita stessa di Stefan. Apparentemente non lo è. Il primo divario davvero determinante si ha quando, dopo aver mostrato la demo a Mohan Thakur, direttore della società di videogames menzionata prima, questi chiede a Stefan di sviluppare il videogioco in un ufficio all’interno della loro società. Gli autori del film hanno già deciso che Stefan non può accettare l’offerta, pertanto, qualora si volesse far rispondere Stefan in maniera affermativa, si verrebbe riportati indietro e si riinizierebbe da capo.

Tutto ha una causa e un effetto necessari
Nella mggior parte dei videogames e in Bandersnatch vige quello che in filosofia viene chiamato determinismo. Che i videogiochi siano soggetti a questa logica vuol dire semplicemente che sono già stati programmati da qualcuno che ha previsto tutte le possibili scelte del giocatore. In pratica, ciò che si può fare all’interno dell’universo di gioco è già determinato da chi ha ideato, progettato e prodotto il gioco stesso. Il gamer prende delle decisioni, ma queste scelte sono generalmente illusorie. L’esito è, infatti, sempre necessario. Nulla è lasciato al caso, ma tutto è frutto di un processo in cui le cose non avrebbero potuto essere altrimenti. I filosofi deterministi delle epoche passate applicavano la logica deterministica al mondo in sè stesso. Secondo questi autori, la vita umana non è mai soggetta al libero arbitrio, che è solo un’illusione. Il mondo è, in molte di queste teorie, stato creato e progettato da un’entità superiore e metafisica, che non ha lasciato assolutamente nulla di irrisolto. Questo ci riporta un po’ alla trama di Bandersnatch. Secondo percorsi più o meno brevi, tutti gli spettatori arrivano al giorno in cui Stefan deve consegnare il gioco, che, però, incontra ancora errori di programmazione. Il protagonista ha, allora, la sensazione di essere vittima di forze esterne. Questo è ciò che succede agli esseri umani in molte teorie deterministiche: sono controllati da un’entità metafisica che mette tutto al proprio posto o che ha progettato l’universo affinché tutto rispetti i suoi piani. Ma il più grande punto di forza del determinismo è il vedere ogni azione secondo un nesso causa-effetto. Tutto ha un senso, l’universo deterministico è completamente ordinato e può essere spiegato secondo leggi causali. Ogni azione presente è stata causata da una o più azioni passate e non si prevede alcun corso alternativo. I campioni del determinismo più conosciuti dagli studenti delle superiori sono Baruch Spinoza e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, a cui si sommerebbe il determinismo storico di Karl Marx. Eppure, il determinismo deve la propria fama alla scienza e al positivismo. La scienza, infatti, si muove secondo criteri specifici che privilegiano la legge di causalità a discapito di qualsiasi altra possibilità. Tutto ciò che avviene è necessario e prevedibile. E allora una sola domanda resta irrisolta: e gli errori? Quando si sbaglia all’interno di un videogioco, si ha sempre l’opportunità di ricominciare. Nella vita umana, si ha questa stessa possibilità di ricominciare? Ciò che ammettono i deterministi è che nessun errore è mai veramente tale, poiché, per quanto il soggetto possa farne un dramma, ogni sbaglio era già stato preso in carico dalla logica dei fatti.
Tutti pazzi per i videogiochi!
Il film di cui si è parlato prima ammette delle scelte binarie, che sono, perciò, per loro natura più semplici da risolvere rispetto alla complessità di molti videogioco. Si pensi, ad esempio, a videogames a cui i millenials (e anche alcuni boomer) sono davvero appassionati, come Super Mario Bros o la sua successiva versione New Super Mario Bros, ideati e prodotti da Nintendo. In questo gioco, lo scopo ultimo delle avventure di Mario è liberare la principessa Peach attraversando livelli che si trovano distribuiti su ben otto mondi. Nonostante le variazioni grafiche e di ambientazione, solo una cosa rimane costante: bisogna avanzare e saltare, evitando i pericoli e i nemici in cui si incorre lungo il percorso. In pratica, dove il gioco debba interrompersi a causa di un errore del gamer è già stato deciso da chi ha programmato il tutto. E la sensazione del giocatore che lamenta “come è possibile? muoio sempre nello stesso punto!” è pienamente giustificata dal fatto che le difficoltà sono distribuite in modo tale da dare questa percezione. Per non parlare del ruolo che ha il joystick o la console stessa nella buona riuscita dell’impresa. Ogni impulso cerebrale, muove la mano del giocatore, che a sua volta preme uno dei tasti. I comandi sono già settati e tutto ciò che deve fare chi gioca è mettere in atto le strategie giuste per superare il livello, strategie che sono, però, già, appunto, determinate. L’universo dei videogiochi è, insomma, l’universo dei deterministi. I filosofi menzionati precedentemente appartengono ad epoche in cui i videogames non esistevano. Ma se avessero visto la rivoluzione del gioco apportata dall’avvento dei videogiochi, non avrebbero forse detto che il mondo è come un grande videogames? Non sarebbe stato forse una gran fortuna sapere che, ogni volta che si muore, non si è mai morti davvero?