L’approccio psicoanalitico all’arte: Freud e Leonardo Da Vinci

L’approccio psicoanalitico all’arte costituisce uno dei rami di studio, nonché il primo in ordine cronologico, della psicologia dell’arte, disciplina che si occupa di studiare le diverse prospettive relative alla relazione, tripartita e vicendevole, tra artista, opera e fruitore.

Schema delle relazioni che concorrono nel fenomeno artistico

In particolare, la prospettiva freudiana si concentra sul rapporto tra artista e opera d’arte.

FREUD E IL RAPPORTO CON L’ARTE

Che Freud fosse un amante dell’arte, soprattutto classica, è risaputo: d’altronde, il pensiero freudiano emerge in un contesto storico-culturale particolare, quello della Vienna di fin de siècle, caratterizzato da un grave declino politico da una parte (con la decadenza dell’impero austro-ungarico) ma anche da una straordinaria fioritura artistico-culturale dall’altra (sono gli anni di Schiele, Klimt, Kokoschka, di Schnitzler, Musil, di Wittgenstein, per citarne qualcuno), che viene letta come processo di compensazione rispetto l’insicurezza e la paura per la situazione politica preoccupante, una sorta di meccanismo di difesa di massa, dove, come reazione agli eventi negativi esterni, e alla loro negazione, internamente si realizza invece una grande esplosione artistico-culturale, dovuta al concentrarsi di energie produttive e creative individuali e collettive.

Tuttavia, per quanto amante di essa, Freud non ebbe mai la pretesa di definirsi un esperto o un intenditore; egli affronta il tema dell’arte con intento empirico, ovvero quello di dimostrare la bontà della propria teoria della personalità: pertanto, l’approccio e gli strumenti sono gli stessi del campo clinico (libere associazioni, lapsus, sogni, ecc…); l’intento freudiano non è tanto formale, tecnico, quanto più rivolto alla analisi dei conflitti profondi dell’artista, delle sue motivazioni inconsce, che si riversano ed emergono nell’opera d’arte: l’interesse è il contenuto dell’oggetto d’arte e la personalità del suo autore, il cui studio è fondamentale per la comprensione della creazione del prodotto artistico e del suo significato.

LA RILEVANZA FREUDIANA NELLA TEORIA DELL’ARTE

Freud individuava nell’arte e nella produzione creativa un potente mezzo per la liberazione di tensioni e conflitti inconsci: il processo che porta all’opera d’arte è visto come abreativo, ovvero come una sorta di esplosione emozionale legata ad un trauma che permette la liberazione di energia psichica ed il passaggio dal piano inconscio alla consapevolezza; gli aspetti formali dell’opera d’arte sono elementi puramente di contorno, che facilitano la soddisfazione di istinti e pulsioni che normalmente potrebbero non essere socialmente accettati: nel prodotto artistico, contenuti altrimenti inquietanti o scabrosi vengono rivestiti di forme piacevoli così da risultare comunicabili e accettabili.

Il Surrealismo è la corrente che forse più di tutte risente delle teorie sull’inconscio freudiano

Per fare ciò, lo strumento principe dell’arte è il meccanismo di difesa della sublimazione, processo tramite cui l’energia pulsionale viene convogliata in aspetti socialmente accettabili, così da ottenere un appagamento indiretto: l’artista sublima la pulsione libidica istintuale attraverso il processo creativo, che produrrà l’opera d’arte.

La sublimazione tuttavia non corrisponde per forza all’atto creativo stesso: sarebbe riduttivo spiegare la qualità di un’opera artistica solamente in termini di passaggi di energia e piani pulsionali; esso può essere un fattore di spinta verso l’atto creativo, ma non garantisce “l’artisticità” del prodotto.

Nel pensiero freudiano, l’arte è una forma di nevrosi, in quanto errato adattamento alla realtà: l’uso di meccanismi di difesa come la sublimazione, la simbolizzazione e l’appagamento sostitutivo permetterebbero di ottenere gratificazione quotidiana dal processo artistico.

Il vero punto di forza delle teorie di Freud sull’arte è l’attenzione posta sui processi inconsci che sottendono l’attività artistica, in particolare i legami e le relazioni che si instaurano tra l’autore e la propria opera e che portano alla realizzazione dell’oggetto artistico con quegli specifici contenuti e in quei specifici formalismi strutturali.

IL “CASO DA VINCI”

Il primo saggio relativo, “Un ricordo d’infanzia di Leonardo Da Vinci”, incentrato sulla figura di Leonardo, è datato 1910. Nell’affrontare questo tema, è bene specificare che Freud non analizzò mai direttamente Da Vinci, ma utilizza come fonte di riferimento frammenti autobiografici (di fatto così contraddicendosi, avendo precedentemente affermato la necessità dell’analisi dal vivo): di conseguenza, lo psicoanalista parlerà sempre di questo saggio come di un “romanzo psicoanalitico“.

E’ possibile che Freud si identifichi con Leonardo, o che comunque ritrovi nella sua storia elementi che lo riportino alla sua vita, in un processo di controtransfert.
Nell’analisi dell’artista e del suo prodotto, Freud esce dalla dimensione medico-clinica per entrare in una completamente nuova, dove però il mezzo psicoanalitico si dimostra altrettanto efficace e pertinente nell’identificare quali aspetti della personalità dell’artista influenzino la creazione e l’attività artistica.

Lo studio si concentra sul dipinto “Sant’Anna, la Vergine e il Bambino“: Freud si domanda se l’opera in questione fosse unicamente concepibile da Leonardo, in virtù del suo vissuto e della sua particolare storia familiare.
Oggetto d’indagine sono la curiosa struttura compositiva nella disposizione dei personaggi (lontana dal canone tradizionale) e i personaggi di Maria e di Sant’Anna che, seppur madre e figlia, non mostrano evidenti differenze di età e sembrano inoltre quasi fondersi in un unico personaggio.

Leonardo da Vinci, “Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino”, 1510-13, olio su tavola, Museo del Louvre

Secondo Freud, dietro le caratteristiche tematiche e compositive del dipinto si nascondono tracce del vissuto infantile dell’artista, che inconsciamente sono emerse nell’opera.
Infatti, Leonardo nasce dal padre, Ser Piero da Vinci, e da una contadina, Caterina, che lo cura e lo accudisce nei primi anni dell’infanzia. Successivamente al matrimonio del padre con Donna Albiera, infeconda, Leonardo cresce con il padre e la matrigna.
Esplicitata la chiave di lettura, per Freud è facile identificare nelle figure delle due donne proprio le “due madri” di Leonardo: Sant’Anna, sullo sfondo, rappresenterebbe la madre biologica, Caterina, che si fa da parte e osserva il figlio (nella figura del Bambino) venir preso da Maria, rappresentazione iconica della madre adottiva.
Questa ambiguità vissuta nella figura materna sarebbe il motivo per cui le due donne non mostrano differenze di età e appaiono anzi coetanee: per Freud è un effetto del processo di condensazione, per cui elementi diversi, appartenenti a contesti e situazioni differenti, vengono uniti, così come le due figure paiono confondersi.

La relazione spaziale dei personaggi, gli aspetti simbolici, le gestualità e le pose per Freud possono e potevano allora unicamente essere concepiti e rappresentati in questo modo da individui con un vissuto esperenziale infantile come quello dell’artista: l’opera d’arte è allora in questo caso un prodotto del meccanismo di difesa della sublimazione, in quanto appagamento sostitutivo di una dimensione reale altrimenti traumatica e dolorosa.

Freud si concentra anche su un frammento di biografia di Leonardo, dove l’artista ricorda un nibbio; tuttavia, in modo piuttosto imbarazzante, la traduzione che adopera Freud riporta al suo posto il termine “avvoltoio“, permettendo a Freud di impostare un discorso simbolico creando un parallelismo tra l’avvoltoio di Leonardo e la dea madre egizia Nut, rappresentata con le sembianze di un avvoltoio; simbolismo però del tutto inventato ed erroneo, che mostra goffamente la totale arbitrarietà e mancanza di scientificità dell’allora nascente psicoanalisi.

Schema compositivo che mostra la presenza (erronea) dell’avvoltoio freudiano

 

Marco Funaro

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