La sovversione morale della psicopatia: da Humbert a Ted Bundy, profilo di uno psicopatico

Psicopatia, disturbo della personalità e comportamento criminale: la malattia mentale è una colpa o un alibi? Nell’indulgenza di Nabokov verso il professor Humbert e nell’amore di Liz per Ted Bundy la risposta.

psicopatia e criminalità

La psicopatia, per definizione, è un disturbo mentale caratterizzato da comportamento antisociale, deficit di empatia e di rimorso, emozioni nascoste, egocentrismo e inganno. Gli psicopatici hanno una forte propensione ad assumere comportamenti devianti e a compiere atti aggressivi nei confronti degli altri, nonché a essere orientati alla criminalità di tipo più violento. Assodando che nei soggetti psicopatici risulti compromesso lo sviluppo di una normale socializzazione, ne consegue l’attestazione dell’ipotesi per cui gli individui con psicopatia mancherebbero anche (e soprattutto) di adeguate capacità di ragionamento morale, seppur in forma inconscia. La figura dello psicopatico ha assunto col tempo una valenza che varca di gran lunga il quadro clinico, spesso idealizzata, ha ispirato il cinema, l’arte e la letteratura, permettendo di indagare e interpretare le poliedricità della natura umana, che in un individuo vengono più o meno consapevolmente occultate (o quantomeno modellate sul quadro etico-morale-sociale).

Humbert in Lolita, vittima o carnefice?

Vladimir Vladimirovič Nabokov è stato uno scrittore, saggista, critico letterario, entomologo, drammaturgo e poeta russo naturalizzato statunitense. L’opera più conosciuta di Nabokov è sicuramente il romanzo Lolita, del 1955. La voce narrante è l’annoiato professore di letteratura francese Humbert Humbert, un quarantenne che per un caso fortuito incontra Dolores Haze (Lolita), una dodicenne smaliziata, ribelle e attraente che gli ricorda Annabelle, il suo primo amore adolescenziale, che non dimenticherà mai. L’attrazione per la giovane Haze spinge Humbert a sposare la madre, Charlotte, che perde la vita in un incidente stradale poco dopo il matrimonio. Lolita è provocatoria, un po’ volgare ed egoista. Non brilla per intelligenza, non seduce abilmente ed è a tratti irritante, eppure Humbert è follemente innamorato di lei dal preciso istante in cui l’ha vista. E l’amore che il professore quarantenne prova per Lolita non è sgraziato come le piroette che la ragazzina esegue maldestramente. Il suo sentimento morboso fugge la volgarità, la carnalità del loro rapporto è delineata elegantemente e mai esplicitamente dal professore, voce narrante della storia. Le azioni dell’uomo sul corpo della piccola Dolores sono ripugnanti, ma non ci sono immagini dirette a descriverle, né oscenità o frasi indecenti: è dalla definizione minuziosa della psicologia del personaggio, durante tutta la vicenda, che il lettore può percepire, sempre a debita distanza, la perversione. Alla luce del sole vi è invece l’intensità dei sentimenti, la profondità del dolore e l’angoscia della pazzia. Perché dunque un professore colto e tanto incline alla ricerca di eleganza e poeticità dovrebbe invaghirsi a tal punto di una ninfetta, una piccola creatura demoniaca goffa e pericolosa? La risposta va al di là della mera pedofilia e della perversione, che Nabokov invece inserisce attraverso il personaggio di Quilty, il commediografo che sottrae Lolita al professore. Quilty incarna il vizio, desidera Lolita per capriccio. Non ha nulla a che vedere con i sentimenti di Humbert, pronto a soffrire e a farsi soggiogare dalla vanagloria della ragazzina. Per quanto socialmente sgradevole e abietto sia il rapporto tra il professore e la ninfetta, c’è un tocco di indulgenza da parte dell’autore, una sottile compassione, o almeno un’astensione dal giudizio, per l’uomo maturo che si affaccia all’amore di una bambina, ed è questo l’aspetto cruciale della storia. Lolita è un pugno nello stomaco del lettore, uno scardinamento dei capisaldi sociali, etici e morali, una storia impregnata di ambiguità che si riflette nella poliedricità dei personaggi, tutt’altro che di facile inquadratura. Humbert chi è? E’ un pedofilo spietato o è una delle vittime di ninfetta? E’ innocente come Nabokov vuole farci credere? Dalle sue parole viene fuori una storia d’amore che non ha nulla di anticonvenzionale, viene delineata una realtà distorta propria di una mente malata, psicopatica, in un contorno ideologico quasi sveviano o pirandelliano. All’interno del romanzo viene introdotta una parentesi sulla vita passata del professore e sul suo primo amore Annabelle, stroncata in tenera età da una malattia. La morte della ragazza segnerà irrimediabilmente la vita di Humbert, rivolta a ricercare disperatamente il candore di un sentimento puro e nuovo, imprevedibile e non costruito. L’uomo maturo innamorato di una bambina ha cristallizzato nel cuore un bacio primitivo che sbiadisce col tempo, non cerca altro se non addentare i canini nel collo di una giovane preda per nutrirsi di una giovinezza che sente scorrere via. Non è (solo) l’abuso di un corpo, è la ricerca di una mano liscia e paffuta che sfiori una pelle in via di decadimento. Lolita anima mia, quintessenza della vita stessa.

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Il professor Humbert e Lolita, dall’omonimo film di Adrian Lyne (1997)

Per capire davvero la terribile bellezza che si cela dietro un rapporto di questa natura bisognerebbe assumere un punto di vista scevro da qualsiasi pregiudizio etico e sociale, per quanto aberrante risulti l’idea di un’ unione così lontana dai nostri canoni sociali, solo così potremmo cogliere la tragicità di un uomo alla ricerca di linfa vitale. La vicenda è un esempio di come gravi personalità psicopatiche possano mescolarsi, a volte anche con grande successo, dietro maschere di rispettabilità. Humbert è un esempio estremo di ambiguità e sadomasochismo, nel momento in cui sposa la patetica ma affettuosa madre di Lolita per poter fare da padre alla figlia, emerge chiaramente la sua natura moralmente e psicologicamente instabile. Nabokov gioca su toni comici e grotteschi, in un mix quasi inquietante. Dietro al raffinato professore vi è infatti un patetico pedofilo, ma dietro la ragazzina-vittima, vi è una ragazzetta furba e di fatto anaffettiva, che però riesce sempre a stare a galla e a controllare gli adulti grazie alla sua disturbante seduttività. Ma anche il persecutore Quilty nasconde dietro al fascino rispettabile del famoso commediografo ed esteta una personalità istrionico-narcisista e problemi di alcol. Humbert ama, Quilty sfrutta. Humbert si strugge per l’amore di una giovane ninfetta, che presa da vanagloria ed egoismo fa della sua vita uno squallido postribolo. Lolita è eternamente in fuga: dalla madre, da Humbert, da Quilty, da se stessa. Lolita non si accetta e lo dimostra palesando il suo odio verso il mondo. L’amore fra i protagonisti è quindi un serpente che si morde la coda: se da un lato la giovane Dolores non possiede ancora la maturità necessaria per prendere decisioni corrette, dall’altra Humbert, adulto rimasto adolescente, non si rende conto di possedere il corpo e la maturità di un quarantenne, e rimane egli stesso vittima del suo desiderio. Nabokov crea un vortice disturbante di colpe e alibi, che si rincorrono durante la storia e fino alla fine, lasciando l’amaro in bocca al lettore che non riesce né a giustificare né a condannare i protagonisti, e un senso di rabbia, di malinconia e di incompiuto.

Il caso di Ted Bundy

Regia di Joe Berlinger, con Zac Efron e Lily Collins, Ted Bundy – Fascino criminale racconta la storia del più famigerato serial killer americano. Berlinger si è calato nella mente di un uomo ambiguo e spaventoso, per cercare di comprenderne le azioni e analizzarne il fascino sinistro che esercitò sulle persone a lui vicine e sulla società dell’epoca. Quello che vediamo e ascoltiamo nel film, raccontato dal punto di vista di Liz Koepfler, la donna che per sette anni fu legata al giovane e seducente carnefice di 36 ragazze e forse più, è tratto da testimonianze e fatti reali e in più di un punto la finzione si incrocia col documentario. Theodore Robert Bundy nasce a Burlington, nel Vermont, il 24 novembre 1946, figlio illegittimo, forse di un marinaio, in un’epoca in cui questo costituiva ancora uno stigma. Ambizioso, intelligente e di bell’aspetto, lotta contro un’insicurezza derivante dalla sua condizione sociale e da un difetto di pronuncia che riesce a superare, sfoggiando da adulto un accento che molti definirono come britannico. Si laurea in psicologia e intraprende, senza completarli, studi giuridici, si impegna nel volontariato (fu alla linea telefonica di una clinica anti suicidi nel 1971) ed è un fervente repubblicano, impegnato nella campagna elettorale di vari uomini politici. Sportivo, sorridente, affettuoso, pieno di attenzioni e affidabile: questo era Ted Bundy per le sue compagne, tra cui Liz che, nonostante i sospetti, continuò a ignorare a lungo la vera natura dell’uomo che le viveva accanto. Quando si sparse la voce di un certo Ted ritenuto responsabile di una serie di rapimenti e violenti omicidi di giovani donne e dopo la diffusione di un identikit da parte della polizia, Liz decide di denunciarlo, ma molti anni dopo lui continuava a mandarle poesie d’amore, che lei conservava gelosamente. Ted Bundy era abilissimo a nascondere il suo lato oscuro e a crearsi rapporti e amicizie che legittimassero la normalità di un bravo cittadino. In più, aveva un volto gradevole ma un po’ anonimo che gli consentiva, con una notevole capacità camaleontica e poche modifiche, di cambiare totalmente aspetto. Attirava le sue vittime indossando una falsa ingessatura al braccio o alla gamba e mostrandosi bisognoso di aiuto per trasportare qualcosa, umile, sorridente e in apparenza innocuo. Le sue vittime erano sempre ragazze di bell’aspetto e di buona famiglia, spesso studentesse universitarie, con lunghi capelli castani con la riga nel mezzo: somigliavano a Stephanie Brooks, una upper class girl al cui mondo Ted avrebbe voluto disperatamente appartenere. È alla fine della loro relazione platonica, nel 1974, che molti fanno risalire la causa scatenante dei suoi delitti. Lei non lo riteneva abbastanza ambizioso e promettente e lo lasciò. Anni dopo, trasformato nel fisico e nella personalità, Ted si vendicò: seppe riconquistarla, lei accettò di sposarlo e lui la abbandonò senza spiegazioni. Nel frattempo era già diventato un killer provetto, che si lasciava dietro una scia di morte ovunque andasse a vivere, cambiando spesso nome e identità. Chi era quindi Ted Bundy, il più noto e spietato serial killer della storia americana? Un uomo psicologicamente devastato, con una doppia personalità di amorevole marito e padre di famiglia e simultaneamente di assassino e stupratore, o semplicemente un criminale che si serviva della maschera della rispettabilità per compiere indisturbato i suoi omicidi?

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Zac Efron nei panni di Ted Bundy

Valeria Parisi

 

 

 

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