La psicopatologia germoglia nei contesti ambientali difficili: il caso di Rivaille Ackermann

La correlazione tra disturbi psichici e la qualità dell’ ambiente in cui si cresce è ormai assodata; uno studio recente ha tuttavia approfondito l’impatto sulle componenti cognitive e cerebrali dell’individuo.

In psichiatria, il modello che si è affermato ed attualmente dominante è quello cosidetto “multifattoriale“, secondo il quale qualsiasi disturbo o esperienza di disagio psicopatologico è determinato da tre fattori concorrenti e interagenti, il cui peso specifico varia a seconda del caso preso in esame: una componente biologica, che determina geneticamente una predisposizione e un certo grado di vulnerabilità allo stress e quindi alla patologia psichica, una componente psicologica, intesa come le interazioni interpersonali intessute dall’individuo e le modalità cognitive utilizzate per orientarsi e leggere la realtà, ed una componente sociale, con cui si intende l’insieme di tutte le circostanze e gli eventi di vita che una persona deve affrontare.

All’interno di quest’ultima componente, largo spazio ha trovato la ricerca sui contesti ambientali in cui un individuo si ritrova a nascere e crescere, sulle sue caratteristiche e sull’influenza cruciale che questi fattori possono avere sul favorire o meno l’insorgere di disturbi o patologie mentali: si ricordano, tra i diversi contributi in materia, la Psicoigiene di Bleger, la Teoria dell’Interstizio di Cianconi e il Modello Strutturale di Minuchin, già citato precedentemente.

José Bleger (1923 – 1972) insisteva sulla necessità, ai fini della cura mentale, di intervenire sui contesti di vita delle persone

L’AMBIENTE INVALIDANTE

Si definisce “ambiente invalidante” qualsiasi contesto di vita che non permette un sano e normale sviluppo dei suoi abitanti, per via delle sue caratteristiche strutturali o per via delle esperienze negative, in quanto stressanti o traumatiche, facilmente esperibili in un tale ambiente: condizioni socioeconomiche di povertà, eventi traumatici quali lutti, violenze o incidenti, etc… sono tutti aspetti che caratterizzano un ambiente invalidante e che, se vissuti in età infantile, possono impattare fortemente e in modo duraturo sullo sviluppo del comportamento e delle funzioni cerebrali.

Partendo da queste premesse, un recentissimo studio della Perelman School of Medicine (University of Pennsylvania), in collaborazione con il Children’s Hospital of Philadelphia (CHOP) through the Lifespan Brain Institute (LiBI), pubblicato su JAMA Psychiatry, ha approfondito la possibile correlazione tra ambienti invalidanti e psicopatologia, in particolare per disturbi neurocognitivi e disfunzioni cerebrali su soggetti in età puberale.

Raquel E. Gur, professoressa di Psichiatria, Neurologia e Radiologia alla Perelman School of Medicine e direttrice del Lifespan Brain Institute, nonché autrice principale della ricerca.

LA RICERCA

Il campione era composto da 9498 individui di età compresa tra gli 8 ed i 21 anni, in modo tale da catturare così tutto lo spettro di età dello sviluppo puberale e quello del passaggio dall’ adolescenza alla prima età adulta, di etnia e condizione socioeconomica varia, in buona salute e con un buon funzionamento cognitivo, reclutati tramite i registri del CHOP; un sottocampione di 1601 soggetti, selezionato casualmente, è stato inoltre sottoposto a neuroimaging multimodale attraverso una MRI.

In questo modo si è cercato di ottenere una popolazione quanto più completa possibile rispetto ai parametri oggetto di studio interessati: Status Socioeconomico (SES), Eventi Traumatici Stressanti (TSE) e Performance neurocognitive.

I risultati, in seguito ai 9 mesi di analisi, hanno evidenziato una forte correlazione tra condizioni precarie o di povertà, esperienze traumatiche e stressanti e disagi o disturbi psichici, soprattutto dell’umore, fobici e antisociali: ansia, depressione, paura, paranoia, comportamenti esternalizzanti e devianti, ma anche sintomi psicotici.

Questi stessi soggetti hanno anche mostrato caratteristiche tipiche dell’età adulta, suggerendo quindi una maturazione accelerata, tanto fisicamente quanto mentalmente.

Dal punto di vista cognitivo, sono stati registrati deficit nelle capacità di astrazione e flessibilità mentale, nel funzionamento mnemonico e nell’attenzione, mentre nei soggetti appartenenti al sottocampione, l’MRI ha evidenziato importanti differenze nello sviluppo delle aree limbiche e frontoparietali della corteccia, adibite alla regolazione emotiva e ai processi di memoria, alle funzioni esecutive e al ragionamento complesso, confermando così l’influenza sulla struttura e sulle funzioni cerebrali di un’infanzia problematica.

In particolare, si è visto come lo status socioeconomico influisse maggiormente sui deficit cognitivi e sulle anomalie di sviluppo cerebrale, mentre le esperienze stressanti o traumatiche avessero maggior effetto sull’emergere dei disturbi psichici.

IL SOLDATO PIÙ FORTE DELL’UMANITÀ

È interessante osservare le evidenze dei risultati presentati nel Capitano Rivaille (o Levi, secondo l’adattamento italiano) Ackermann, capitano dell’omonima armata adibita alle Operazioni Speciali e vicecapitano del Corpo di Ricerca (o Armata Ricognitiva) dell’Esercito, nonché “soldato più forte dell’umanità“, nel manga (poi anche anime) “Attack on Titan” (“L’Attacco dei Giganti“).

Rivaille Ackermann

Rivaille nasce e cresce in quello che si può facilmente definire un ambiente invalidante: nato in condizioni di estreme povertà da una madre che si prostituiva, senza aver mai conosciuto il padre, sperimenta nel corso di tutta l’infanzia una serie di esperienze fortemente stressanti e altamente traumatiche, tra le quali figurano in primis la lenta morte della madre, consumata giorno dopo giorno dalla malattia e dalla fame, e la crescita nell’ambiente difficile, violento e malfamato della Città Sotteranea, sotto la “tutela” dello zio Kenny, che gli insegna come sopravvivere in un tale ambiente.

Il piccolo Rivaille assiste alla morte della madre

Rivaille cresce quindi all’insegna della devianza e della criminalità, secondo un “modello educativo” (se così si può chiamare) basato sull’individualismo e sul concetto di “mors tua vita mea“.

In età adulta, le conseguenze di un’infanzia di questo tipo non tardano ad emergere: pur non presentando deficit cognitivi gravi o invalidanti, Rivaille mostra tuttavia una forma mentis fortemente improntata al concreto, pratica e orientata sulla realtà, così come un’espressione emotiva fortemente soppressa e una vita emozionale ridotta all’osso, mostrando quindi alcune di quelle mancanze correlate alle condizioni di povertà.

Dal punto di vista psicopatologico, Rivaille mostra indubbiamente un funzionamento tendente all’esternalizzazione e all’antisocialità, che in seguito impara a controllare nel corso dell’addestramento e della vita militare; anche la sua caratteristica maniacalità verso la pulizia, quasi ascrivibile ad un disturbo ossessivo-compulsivo, può essere letta in relazione alla difficile infanzia vissuta.

La maniacale ossessione di Rivaille per la pulizia

 

Marco Funaro

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