L’insieme dei circuiti di criminalità organizzata che comunemente definiamo camorra si presenta molto differenziato al suo interno. La diversità delle forme organizzative, delle dimensioni dei gruppi e dei rapporti con la politica, risalta in maniera particolare se utilizziamo un criterio geografico di partizione.
Di fatto, le caratteristiche organizzative dei gruppi variano al variare dei territori e dei mercati mafiosi. Ad esempio, nella gestione delle piazze di spaccio i gruppi sono continuamente esposti alla concorrenza e spesso all’attacco violento dei rivali, in un clima di perpetua instabilità.
La ragione di ciò risiede nel fatto che quello della droga è un mercato segmentato, la cui gestione richiede: intraprendenza, esercizio della violenza e determinazione nel controllo del territorio. Si tratta dunque di un terreno prediletto per l’affermazione dell’aggressività giovanile.
Tutt’altro discorso vale per altri tipi di mercati, in particolare quelli che prevedono un contatto stretto con le istituzioni private e pubbliche. In settori come l’edilizia e gli appalti, infatti, i gruppi sono più forti, consolidano il proprio potere su archi temporali più lunghi dando vita, in alcuni casi, a vere e proprie “dinastie” legate a doppio filo con le classi dirigenti locali.
Questo adattamento delle forme camorriste ai mercati, sia a quelli legali che a quelli illegali, non ha riscontri in nessun’altra organizzazione mafiosa della Penisola. Sembra costituire, appunto, la cifra specifica del proteiforme fenomeno camorristico. Una caratteristica che si manifesta con particolare intensità durante le trasformazioni storiche.
Allorché un nuovo mercato o un nuovo metodo si impone su quello vecchio, si assiste a un consequenziale mutamento all’interno dei clan. Un radicale rivolgimento degli equilibri interni, con i giovani generazioni che emergono e vecchie che tramontano.
Le camorre sono fondamentalmente un fenomeno di territori e mercati, ne seguono quindi le fasi. Dall’economia pubblica del post-terremoto negli anni Ottanta fino al recente business dei rifiuti, dall’edilizia all’agroalimentare, le mutazioni dei mercati influenzano i passaggi di fase del sistema criminale.
Nei rivolgimenti continui del fenomeno, la famiglia gioca un ruolo cruciale. Tuttavia, la gestione non è rigidamente patriarcale: in molteplici casi, ad esempio quando i mariti sono in carcere, sono le donne ad avere il controllo su veste reti di attività.
La rete parentale svolge funzioni di regolazione delle attività economico-criminali ed è aperta, si presta alla manipolazione dei singoli, non vive di ruoli fissi e codici imprescindibili. Non vi è, ad esempio, un principio ferreo di linea ereditaria diretta, in situazioni di disgregazione del clan, parenti più lontani possono rivendicare il controllo e ricostruire l’unità.
La camorra è sostanzialmente un fenomeno d’impresa. Rispetto alle altre mafie italiane, essa presenta strutture meno rigide. Non esiste una struttura unitaria e verticistica, non si registrano nemmeno forme di affiliazione ritualizzata.
Esistono comunque alleanze durature, cartelli familiari, forme di coordinamento nella gestione del territorio e degli affari, ma in modo vasto e cangevole. La camorra non segue le rigide gerarchie delle cosche siciliane e calabresi, le quali, però, sono anch’esse inclini a correggere il monolitismo parentale che le ha sempre caratterizzate.
Ci sono stati, però, due tentativi di adottare il “modello siciliano” degli anni Settanta e Ottanta: con la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo e con la Nuova Famiglia dei Bardellino-Nuvoletta-Alfieri, appoggiata da Cosa Nostra che, a metà degli anni Ottanta, uscita vincente dallo scontro con la N.C.O., si è subito disunita. La camorra è tornata, quindi, al suo modello originale mantenendo comunque i rapporti con Cosa Nostra e con la ‘ndrangheta, soprattutto nel traffico di armi e di stupefacenti.
Il sistema camorra si presenta come un mondo in cui l’individualismo economico e la sensibilità al variare delle condizioni di contesto giocano un ruolo determinante. Su questa base si può operare una distinzione tra clan del centro cittadino di Napoli, della periferia suburbana, e della provincia (zona del napoletano e del casertano).
La camorra del centro di Napoli riflette la densità demografica e la diffusione dei traffici illeciti della città. I clan sono più numerosi e strutturati. Le attuali famiglie più importanti si sono formate negli Settanta, nel periodo d’espansione del contrabbando di sigarette. Gli strati sociali di origine sono quelli popolari e sottoproletari, ma in qualche caso anche la piccola borghesia commerciale. È un mondo con una decisa segregazione socio-spaziale.
Negli ultimi anni, il centro storico di Napoli è diventato il terreno di lotte tra clan che si contendono il controllo delle attività criminali come il traffico di stupefacenti e le estorsioni. Attentati e azioni dimostrative hanno portato a una situazione di instabilità e frammentazione. Le azioni dei nuovi gruppi criminali sono caratterizzate da una crescente ferocia per provare a dimostrare la propria forza sul territorio che cercano di accaparrarsi.
L’area che comprende la periferia e la cintura urbana attorno al capoluogo, ha subìto nel corso degli anni Settanta e Ottanta un’intensa trasformazione urbanistica con la costruzione di numerosi rioni di edilizia residenziale pubblica. In seguito al terremoto del 1980, l’area ha conosciuto un incremento considerevole della popolazione abitante.
Nel corso degli anni Ottanta e Novanta l’aumento delle disuguaglianze e l’assenza di cura dei rioni di edilizia popolare hanno creato le condizioni ideali per il proliferare di gruppi criminali dediti principalmente allo spaccio. Inoltre, la struttura urbanistica di questi luoghi, ne ha favorito la totale presa di controllo dei gruppi criminali facendone de facto dei “fortini di camorra” – le vele di Scampia, esplorate dalle serie Gomorra, sono l’emblema di questo fenomeno.
Uno dei business collaterali al mercato degli stupefacenti è quello edilizio, legato alla forte espansione dei Comuni della cintura suburbana, laddove ci sono aree disponibili per nuove costruzioni. Il rapporto con la politica, in particolare per la concessione degli appalti, è una delle leve principiali del potere camorristico della zona.
Le feroci faide che hanno insanguinato quest’area e la dura repressione che ne è conseguita, hanno indotto i gruppi superstiti ad evitare contrapposizioni armate, ormai non più sostenibili. Al loro interno i sodalizi sono costantemente alle prese con rimodulazioni organiche, anche di tipo violento.
Le aree provinciali di Napoli e Caserta, invece, sono caratterizzate originariamente da una struttura rurale, soggetta a un rapido sviluppo a partire dagli anni Sessanta. In provincia di Napoli i primi gruppi criminali si sono formati nel settore dell’intermediazione commerciale dei prodotti agricoli del secondo dopoguerra.
Nella provincia di Caserta, invece, il settore di genesi può essere considerato quello edilizio e il periodo decisivo gli anni Settanta. Il ciclo edilizio ha costituito la leva economica principale a cui solo successivamente è subentrato il mercato della droga, insieme al controllo dei mercati immobiliari e dei flussi commerciali.
Le strutture organizzative di quest’area sono più simili a quelle di cosa nostra e ‘ndrangheta. Nella provincia di Caserta, ad esempio, negli ultimi trent’anni la gestione del potere è stata esclusivo appannaggio di un’unica struttura mafiosa federata, il clan dei Casalesi.
Le famiglie camorriste di queste zone non vengono da strati sociali marginali, alcune fanno anche parte dell’élite municipale. Il clan degli Orlando-Nuvoletta ne è un esempio. Negli anni, i clan hanno instaurato un notabilato violento, favorito dalla piccola dimensione comunale e dalla capacità di esercitare un controllo capillare sul territorio. Un esercizio del potere che non ha mai prescisso dal legame con la classe politica locale.
La capacità di assoggettamento dei gruppi di camorra non si basa semplicemente sulla tradizionale attività estensiva, che non sempre è presente. Il racket e l’imposizione del silenzio costituiscono la modalità di controllo tipica dei gruppi più “militarizzati”.
Forme di camorra più potenti agiscono, invece, in altro modo facendosi forti del proprio potere economico. Si tratta comunque di un esercizio del potere di tipo mafioso, il quale però si differenzia in quanto non presuppone l’uso esplicito di minacce di violenza. Le posizioni economiche acquisite e il controllo di ingenti flussi di danaro garantiscono risorse sufficienti a non richiedere altri mezzi estorsivi.
L’accesso alla politica e alla pubblica amministrazione costituisce la normale forma di tutela degli interessi mafiosi. Senza dover utilizzare armi, si ricorre al più efficace e sicuro mezzo della corruzione con lo Stato che non riesce ancora a imporre la legalità. Gli scioglimenti dei consigli comunali non riescono a produrre ancora significativi cambi di rotta, come si evince dall’elevatissimo numero di tali provvedimenti – 94 volte dal 1990 ad oggi, nelle sole province di Napoli e Caserta.
Da un punto di vista giudiziario, si sono fatti seri passi avanti negli ultimi dieci anni. I principali capi clan, soprattutto tra le fila dei Casalesi, sono stati assicurati alla giustizia. La capacità di investigazione è di altissimo livello. L’articolo 416 bis (reato di associazione mafiosa) costituisce il fulcro dell’efficacia della normativa. La flessibilità di questa norma ha consentito di intercettare inedite forme di criminalità organizzata.
Tuttavia, dal momento che il tessuto camorrista coincide con una costellazione di attività di impresa, le opzioni di contrasto non possono limitarsi alla sola repressione giudiziaria. Bisogna anche tenere conto della complessità del fenomeno e dei suoi aspetti di interrelazione con l’ordinaria vita economica e sociale.
La razionalizzazione delle norme del nuovo codice antimafia (2017) consente un approccio sistemico al problema. Il codice prevede misure cruciali che con realismo cercano di promuovere l’economia pulita e di sottrarre all’influenza mafiosa aziende che hanno avuto contatti, ma che non sono ancora compromesse.
Il successo di queste misure di contrasto indiretto si misura sul piano simbolico della contrapposizione tra Stato e ordine mafioso. La volontà politica di attuare queste norme può risultare decisiva per iniziare in modo concreto e credibile il percorso di riaffermazione dei principi di convivenza civile.
Daniele Farruggia