La memoria non è di casa nel cervello: Bergson spiega il sistema dei tatuaggi in Memento

Nel 1896 Bergson, nel saggio “Materia e memoria”, cercava di comprendere il funzionamento della memoria in relazione al cervello. Nolan riporta la stessa concezione in un capolavoro cinematografico.

Leonard Shelby (cct-seecity.com)

Ogni giorno usiamo tanti metodi diversi per ricordare. Ogni studente ha un suo metodo per imparare e memorizzare ciò che dovrà esporre. Utilizziamo agende per segnare gli impegni della giornata. Riempiamo le nostre scrivanie di post-it. Per aiutare la nostra memoria. Bergson ci spiega perché dobbiamo ricorrere all’uso dei cosiddetti memento, una pratica che appartiene a tutti e in alcuni casi diventa indispensabile, come per Leonard Shelby.

Raccogliere i memento

Nel 2000 il regista Christopher Nolan dirige Memento. È il secondo lavoro da regista e il primo grande successo. La pellicola è accolta positivamente dalla critica, ma appare da subito un intricato labirinto che ne fa un cult e definisce una tecnica che rende Nolan immediatamente riconoscibile. Giocare con gli intrecci piace al regista (Inception e Interstellar sono altri esempi) e piace al pubblico.

Il regista Christopher Nolan (redcapes.it)

Cosa significa memento? In lingua latina significa ricordati, imperativo del verbo meminisse, appunto ricordare. Nel mondo anglosassone il termine memento indica un souvenir, un pegno, un oggetto che ricorda qualcosa. In senso più ampio il termine può indicare anche un post-it o un foglietto con un’annotazione da ricordare. Nel film di Nolan, il protagonista Leonard Shelby ha un disturbo della memoria per i fatti recenti e non riesce a fissare nuovi ricordi per più di 15 minuti. Per questo utilizza foglietti di carta, post-it, fotografie e addirittura il proprio corpo. La sua pelle è costellata di tatuaggi utili a ricordargli chi è, cosa deve fare, chi sono le persone che conosce. Leonard è sulle tracce di John G., colui che ha stuprato e ucciso sua moglie, come gli rivela un grosso tatuaggio sul petto. I suoi ricordi sono sparsi ovunque e lui deve seguirli, come delle briciole di pane, per ottenere la personale vendetta. Nolan costruisce un thriller ricco di suspense che si interrompe ogni 15 minuti per riprendere da capo con nuove briciole da seguire. Lo spettatore raccoglie i memento insieme al protagonista, ritrovandosi confuso fino alla scena finale, dove ogni cosa torna al suo posto. O almeno così pare.

Il cervello non è un deposito

Il protagonista del film, come abbiamo detto, soffre di un disturbo di memoria. Ma come funziona realmente la memoria? Dove vengono immagazzinati i nostri ricordi? Henri Bergson, filosofo francese vissuto tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, ha esposto una teoria della memoria che si avvicina molto a quella proposta da Nolan.

Henri Bergson (biografieonline.it)

Facciamo un passo indietro rispetto a Bergson. Nel 1861 Paul Broca, un medico francese, osservò che le malattie della memoria, specialmente per quanto riguarda le parole, sono dovute a una lesione della parte frontale del nostro cervello. In seguito a queste osservazioni, si giunse alla conclusione che la memoria è semplicemente una funzione, una capacità del nostro cervello. Proprio per approfondire questa ricerca, Bergson scrisse “Materia e memoria” giungendo subito alla conclusione che nulla ci autorizza ad assumere che il cervello sia un deposito di informazioni e di ricordi. Quest’organo infatti sarebbe utile a recuperare i ricordi, non a conservarli. Nel caso di lesioni, come quello del protagonista di Memento, secondo Bergson sarebbero i meccanismi stessi della memoria ad essere danneggiati, non i ricordi in sé. Se i ricordi fossero contenuti nel cervello, questi sarebbero distrutti definitivamente dalle lesioni. In poche parole sarebbe leso il processo messo in atto per recuperarli. Infatti i ricordi tendono a comparire di nuovo quando i meccanismi di recupero vengono ripristinati. Leonard, in effetti, riesce a ricostruire la propria storia grazie al ripristino del meccanismo del ricordo attraverso i suoi tatuaggi. I suoi ricordi non sono andati distrutti, sono solamente difficili da raggiungere.

Abitudine e memoria pura

Dopo esser giunto a queste conclusioni, si apre per Bergson un altro problema: trovare una casa alla memoria. Sempre in “Materia e memoria“, il filosofo francese vuole determinare, grazie all’esempio della memoria, il rapporto tra corpo e spirito. Il cervello viene paragonato a un “ufficio telegrafico”, un ricettore di informazioni che devono essere comunicate altrove. Lo spirito si esprime attraverso il cervello. Per capire il ruolo della memoria, Bergson fa l’esempio di una lezione da imparare. Per ricordare, appunto a memoria, una lezione, la leggo tante volte finché i collegamenti formano un insieme organizzato e preciso. Questo ricordo ha il carattere dell’abitudine, cioè della ripetizione di un gesto o di uno sforzo. Il ricordo di una singola lettura, invece, è un evento, ha una data, non può ripetersi in alcun modo.

Leonard consulta i suoi tatuaggi per recuperare i ricordi (lascimmiapensa.com)

Questa distinzione diventa fondamentale: la memoria dell’abitudine è quella del corpo, mentre l’altra, chiamata da Bergson memoria pura, è dello spirito. È proprio quest’ultima che compone la storia delle persone, la nostra vita. Il ricordo è conservato in se stesso, non abita in un luogo. Dobbiamo solo capire come recuperarlo, se necessario grazie ai memento.

Matteo Pavesi

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