Nel 2007 esce il film Into the Wild, diretto da Sean Penn, basato sull’omonimo libro di Jon Krakauer, in cui viene raccontata la storia vera di Christopher McCandless.
Il film è diventato un cult, tanto che nel corso degli anni un numero sempre maggiore di escursionisti, spesso non professionisti, ha cercato di intraprendere lo stesso viaggio compiuto da Christopher, rimanendo feriti o anche perdendo la vita nel tentativo. Per questo motivo solo pochi giorni fa il “Magic Bus” è stato rimosso dal parco nazionale di Denali, nella speranza di scoraggiare i turisti.
Nelle Terre Selvagge
Subito dopo la laurea Christopher decide di lasciare la famiglia e viaggiare per gli Stati Uniti con l’obbiettivo di raggiungere l’Alaska. Dopo due anni di viaggio in estrema libertà, lontano dalla famiglia e da una società consumista nella quale non riusciva a vivere, raggiunge finalmente la sua meta, con un nuovo nome: Alexander Supertramp.
In Alaska vive nel “Magic Bus”, cacciando e cibandosi di bacche. Sfortunatamente nelle ultime scene del film si vede che la carne dell’alce che era riuscito a cacciare viene mangiata dagli insetti, così Alexander rimane senza riserve per l’inverno ed è costretto a mangiare bacche che solo troppo tardi scopre essere velenose. Non potendo chiedere aiuto perché totalmente isolato, scriverà su uno dei suoi libri:
“Happiness only real when shared”
(La felicità è autentica solo se condivisa)
Ne “Il Dottor Zivago” di Boris Pasternak compare una frase che ricorda molto l’ultima annotazione di Alexander:
“and so it turned out only a life similar to the life of those around us, merging with it without a ripple, is genuine life, and that an unshared happiness is not happiness”
(Si accorsero allora che solo la vita simile alla vita di chi ci circonda, la vita che si immerge nella vita senza increspature, è vera vita, che la felicità isolata non è felicità.)
Rapporti
La scena finale sembra quasi non essere in linea con il resto del film: Alexander, piangendo, sfinito dalla fatica, prende in mano una penna e sulla sua copia de Il Dottor Zivago scrive quello che sembra essere il suo testamento, rimpiangendo di aver scelto la solitudine.
Sin dall’inizio della storia, Christopher dimostra di non aver bisogno di nessuno, di essere totalmente autonomo e indipendente. Per questo non si ferma mai, non con la coppia hippie che incrocia più volte, non con Tracy, la ragazza che conosce all’Imperial Valley, né con Ron l’anziano rimasto vedovo con cui Christopher vive per un paio di mesi prima di partire per l’Alaska. Ron è l’ultimo a tentare di fermare il ragazzo, si offre anche di adottarlo, ma Alexander rifiuta e parte, ricordandogli:
“Ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto e ovunque, in tutto ciò in cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose.”
Alle fine, però, dovrà ricredersi, per questo sottolinea da “Felicità Familiare” di Tolstoj la frase:
“Aveva ragione quando diceva che l’unica vera felicità nella vita è vivere per gli altri.”
Happiness
Nella “Critica della Facoltà di Giudizio”, Kant si interroga sull’origine del giudizio estetico, si chiede se un giudizio di gusto sia qualcosa di oggettivo, che tutti unanime devono condividere, o se esso sia semplicemente soggettivo, a discrezione del singolo. Giunge alla conclusione che “bello è ciò che piace universalmente senza concetto”, capisce dunque che il giudizio estetico è sì, soggettivo, ma anche universale. É soggettivo perché non possiamo trovare concetti o regole per delineare la bellezza, in quanto essa è il prodotto del libero gioco (Freispiel) delle facoltà conoscitive dell’uomo (intelletto e immaginazione); ma contemporaneamente è universale perché affermando un giudizio estetico esigiamo che il piacere che deriva dal nostro giudizio soggettivo sia condiviso da tutti, come fosse una proprietà intrinseca dell’oggetto.
Kant riflette dunque sull’arte, la cui origine, dice, coincide con la nascita della società. Il filosofo tedesco è in accordo con Aristotele quando dice che “l’uomo è un animale sociale”:
“se si ammette come naturale nell’uomo la tendenza alla società, alla socievolezza, cioè l’attitudine e inclinazione alla vita sociale, (…) allora si dovrà considerare il gusto come il mezzo per comunicare il proprio sentimento e quindi il mezzo per soddisfare ciò che è richiesto dall’inclinazione naturale di ognuno”
Solo in una società ha senso la bellezza: “un uomo relegato in un’isola deserta non ornerebbe la sua capanna” perché l’uomo “non è soddisfatto da un oggetto, se non ne può condividere con gli altri il piacere”, perché, con le parole di Christopher McCandless, “la felicità è autentica solo se condivisa”.