Il Ciclo della Fondazione e l’ascesa del Mulo secondo Bergson e Heidegger

La fantascienza è sicuramente il genere letterario più filosofico che esista. Un autore come Asimov, ma se ne potrebbero citare tanti altri, ha saputo cogliere questa specificità e sfruttarla al meglio per mettere in scena un racconto riguardo uno degli aspetti che più sono interessati all’uomo: la previsione del futuro.

La psicostoria, scienza della previsione

Il ciclo della fondazione è una serie di romanzi che ipotizza una società futura (con un impero galattico, elemento che viene certamente riecheggiato da Star Wars anni dopo) in cui non si è perso lo slancio positivistico di fiducia nella scienza, anzi. Un giovane matematico, tale Hari Seldon, si rende conto di come un complesso sistema di equazioni matematiche e di metodi statistici possa riuscire a prevedere l’andamento futuro della storia e, su questa base, fonda una nuova disciplina, la psicostoria (che ha, a dire il vero, molte somiglianze con la teoria dei giochi). “Le leggi della storia sono assolute come quelle della fisica, e se in esse le probabilità di errore sono maggiori, è solo perché la storia ha a che fare con gli esseri umani che sono assai meno numerosi degli atomi, ed è per questa ragione che le variazioni individuali hanno un maggior valore”: questa frase di Bayta Darrel, uno dei protagonisti del libro ‘Fondazione e Impero’, è emblematica di una concezione riduzionista della realtà, tipica del positivismo scientista: gli uomini come insieme, come massa, seguono leggi ferree e sono quindi tanto prevedibili quanto una massa di atomi.

Copertina “Ciclo della Fondazione”

Il Mulo che irrompe nella storia

Hari Seldon, prevedendo il crollo dell’Impero galattico, si impegna a creare una Fondazione di scienziati che preservi il sapere scientifico attraverso gli anni di barbarie che ne seguiranno la caduta, e che allo stesso tempo sia da guida per la ricostruzione di un secondo impero, cercando di limitare l’interregno fra i due imperi a ‘soli’ mille anni. Grazie alla psicostoria, Seldon prevede diverse crisi, nel coso dei secoli, che i cittadini della Fondazione dovranno affrontare. Ciò che maggiormente ci interessa è, però,come egli non riesca a prevedere l’avvento di un mutante dotato di poteri psichici paranormali, detto Mulo (per via della sua testardaggine e per il fatto di essere sterile) che, da solo, riesce a sconvolgere completamente il suo piano e rischia di far fallire il progetto della Fondazione. Emblematico in questo senso è il momento in cui i cittadini della fondazione, di fronte alla minaccia del Mulo, credano ciecamente che Seldon lo avesse previsto, salvo poi restare completamente paralizzati quando, a seguito dell’apertura di uno dei videomessaggi a tempo lasciati dal matematico, egli non ne faccia minimamente menzione, come invece aveva fatto con tutte le crisi precedenti. Solamente l’intervento di un altro gruppo di individui, detto Seconda Fondazione, riuscirà ad impedire al Mulo di diventare unico padrone dell’intera galassia.

Il Mulo

L’evento come discontinuità della storia: Bergson e Heidegger

Nel ciclo della fondazione il Mulo rappresenta ciò che nella filosofia (soprattutto contemporanea) è il concetto di ‘evento’: un avvenimento improvviso, non determinato da cause, né prevedibile in alcun modo, che sconvolge il corso del tempo che sembrava lineare e prevedibile. La mutazione genetica che affligge il Mulo ne è un perfetto esempio: è il caso più assoluto, l’indeterminabile, l’imprevedibile che irrompe nella realtà, che ci mette di fronte a due possibili interpretazioni della storiografia. La prima, positivista, ben si sposa con la psicostoria che vede la storia come ‘lunga durata’, come regno della continuità in cui ogni istante è determinato e necessaria evoluzione di quello precedente e intende l’evento nel suo significato più etimologico come esito o risultato (dal latino eventus, evenire). L’altra, discontinuista, vede nell’evento l’irruzione di qualcosa di nuovo, in grado di inserirsi come qualcosa che spezza una serie ordinata senza avere quindi delle premesse rintracciabili, ma manifestandosi come ‘accadimento’.
A livello metafisico questa distinzione è messa in luce, polemicamente verso l’impostazione positivista, da Bergson: per lui la metafisica ha infatti tentato, da Parmenide in avanti, di cercare la realtà delle cose al di là del mutamento, non riuscendo in alcun modo a cogliere quindi ciò che vi è di specifico nella vita, ovvero la novità radicale e l’imprevedibilità. Bergson si scaglia, quindi, contro un’impostazione aristotelica che vede nel cambiamento solo il passaggio dalla potenza all’atto, in cui si dà dunque una sola possibilità di sviluppo (un seme di mela è in potenza un melo, ma non un pesco). Egli sostiene che la realtà non è mai la semplice realizzazione di un possibile determinato, l’atto di una potenza, ma bensì una ‘durata creatrice’. Nella filosofia di Bergson, poi ripresa anche da Deleuze, si apre lo spazio per la novità assoluta: l’evento è, infatti, proprio l’accadere, l’apparire stesso della realtà. Anche Heidegger ha incentrato il suo pensiero sul concetto di evento (Ereignis), a suo modo di vedere molto più adatto a delineare il concetto di essere rispetto al modello ‘entificante’ che lo renderebbe qualcosa di presente, solido, in una parola fondamento. L’essere è piuttosto “il punto cieco della ragione” come dice Redaelli, ciò da cui emerge il fenomeno, il taglio, la cesura che definisce un nuovo inizio. Questi due pensatori, pur nelle loro profonde divergenze, ci mostrano entrambi una concezione non deterministica della realtà, in cui c’è sempre l’irruzione di qualcosa di nuovo che non deriva meccanicamente o anche logicamente da una premessa data: è il Mulo che irrompe nel piano Seldon senza che egli lo avesse potuto prevedere, proprio perché esso rappresenta l’imprevedibile, ciò che non dipende da altro, l’evento.

Henri Bergson

L’evento e l’inizio

Per Asimov la comparsa dell’evento deve essere rappresentata da qualcosa di esterno all’umanità, di altro, per questo rende questo concetto grazie al Mulo. Mi sento invece di condividere il pensiero di un’altra grande filosofa del secolo scorso, Hannah Arendt, che sostiene come sia proprio l’uomo che meglio rappresenti l’evento, grazie alla sua nascita: “il nuovo venuto – dice la Arendt in Vita activapossiede la capacità di dar vita a qualcosa di nuovo, cioè di agire”. Attraverso la nascita viene al mondo un essere in grado di agire, ovvero di dare vita ad una nuova catena causale completamente imprevedibile, di creare un nuovo inizio, che è anche evento.
L’inizio, prima di diventare avvenimento storico, è la suprema capacità dell’uomo” H. Arendt, Ideologia e terrore.

Martino Bidese