“La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c’è, i morti non sono più.”
Ecco come Epicuro, un grande filosofo dell’antichità, liquidava la paura della morte. E’ sorprendente notare come uno dei fenomeni più discussi di tutti i tempi, il cui timore ha dato vita alle religioni che sono durate fino ai giorni nostri, venga spazzato via in nemmeno tre righe. La morte per Epicuro non esiste: se noi siamo vivi non siamo morti e quando arriva la morte non siamo più vivi, un ragionamento semplice che dilegua tutti i timori. Ma è davvero così? Veramente noi non sperimentiamo mai la morte? E se fosse vero, allora da dove nasce la paura che proviamo nei suoi confronti? Ci sono altri pensatori che non sono d’accordo con Epicuro, sostenendo che noi la morte la incontriamo ed esperiamo nel corso della vita. Ovviamente non sperimentiamo la nostra morte, altrimenti non staremo qui a parlare di tutte queste cose, ma comunque la incontriamo e precisamente nella forma della morte dell’altro. L’altro può essere chiunque: un nostro amico, un nostro familiare, un nostro conoscente o persino uno sconosciuto della cui scomparsa apprendiamo la notizia sui giornali.
After Life
La morte dell’altro è il tema affrontato da After Life, una serie TV distribuita da Netflix nel 2019. Qui, in maniera davvero simpatica e divertente, ci vengono mostrate tutte le difficoltà che si possono provare nell’affrontare la morte dell’altro che, come sosteneva Jacques Derrida, è ogni volta la fine del mondo nella sua totalità. Il protagonista, Tony, ha infatti da poco perso la moglie alla quale era legato in maniera indissolubile e ora si trova in un limbo dal quale non riesce ad uscire. Nonostante i suoi amici, colleghi e familiari facciano di tutto per aiutarlo, lui si mostra riluttante a questi tentativi e sostiene, dopo la morte della moglie, che sia morta anche una parte di lui. E’ diventato scontroso, non fa altro che bere, insultare chi gli sta vicino, arriva anche a drogarsi e persino a pensare al suicidio. Dopo questa escalation di reazioni negative la situazione ritorna stabile, la personalità di Tony migliora e pur non avendo accettato appieno la morte della moglie, egli prova a reagire e a rifarsi una vita. Ma perché Tony alla fine reagisce? Perché pur avendo pensato al suicidio, non lo mette in atto? Si potrebbe pensare in maniera banale che la vita va avanti e che il protagonista non era abbastanza coraggioso per suicidarsi. Ma analizzando il problema in maniera più approfondita, Tony reagisce e rifiuta il suicidio perché alla fine la morte dell’altro non è mai la nostra, la nostra soggettività non è trasferibile, gli altri non possono fare esperienze per conto nostro, specialmente nel caso della morte, l’esperienza per eccellenza.
Martin Heidegger e la morte dell’altro
Questo punto di vista è quello sostenuto da Martin Heidegger in Essere e Tempo, il quale, al contrario di Derrida, sostiene che quando esperiamo la morte dell’altro non incontriamo la morte in quanto tale ma semplicemente un suo surrogato. La mia morte non può essere dunque la morte dell’altro. L’essere umano è, secondo Heidegger, fatto di possibilità, ed è costantemente in gioco al punto che risulta impossibile definirlo: “L’Esserci non è soltanto un ente che si presenta fra altri enti. Onticamente esso è caratterizzato piuttosto dal fatto che, per questo ente, nel suo essere, ne va di questo essere stesso. La costituzione d’essere dell’Esserci implica allora che l’Esserci, nel suo essere, abbia una relazione d’essere col proprio essere. Il che, di nuovo, significa: l’Esserci, in qualche modo e più o meno esplicitamente, si comprende nel suo essere.” Da questo passo emerge la costituzione esistenziale dell’essere umano, costantemente in gioco tra infinite possibilità nel tentativo di creare sé stesso. E la morte è proprio una di queste infinite possibilità anzi, è la possibilità eminente, con la “P” maiuscola, perché essa incombe sull’Esserci come possibilità del non esserci più ovvero come possibilità dell’impossibilità.
Essere – per – la – morte
Quando l’uomo comprende il ruolo della morte, capisce allora di essere finito e di essere chiamato al compito di realizzare sé stesso attraverso le numerose possibilità fino alla possibilità per eccellenza. E’ questo che il protagonista di After Life sembra non capire, che la morte è una parte della vita e che noi viviamo in preparazione ad essa. D’altronde non lo comprendono neanche le persone che gli sono vicine, le quali cercano semplicemente di tranquillizzarlo svolgendo, come direbbe Heidegger, il ruolo del Si (“si muore”) e facendo passare la morte come fenomeno che coinvolge sempre gli altri e mai noi stessi. L’unica ad aver capito in maniera apparentemente chiara l’esperienza della morte pare essere la moglie di Tony. Lei, vivendo una vita in maniera soddisfacente si era fatta trovare pronta di fronte al grande passo mentre Tony non comprendendo il carattere di proprietà dell’esistenza cerca di vivere un’esperienza, quella della morte, che in realtà appartiene a sua moglie e dimentica la sua di esistenza, rovinando tutti i suoi rapporti. Ciò non equivale ad ammettere che la morte dell’altro è un fenomeno di fronte al quale dobbiamo restare indifferenti, questo è naturalmente impossibile. Ma l’invito che scaturisce da questa analisi consiste nel non pensare alla morte di una persona a noi vicina come alla fine del mondo, né di concentrarci su un’ ipotetica vita ultraterrena, ma di accogliere il fenomeno della morte nella sua realtà, perché l’Esserci, ci dice Heidegger è essere – per – la – morte e solo avendo la consapevolezza di ciò, potremmo vivere un’esistenza autentica ed elevarci al di sopra dell’indifferenza tipica del vivere quotidiano:
“La morte è la possibilità più propria dell’Esserci. L’essere per essa apre all’Esserci il suo poter – essere più proprio, nel quale ne va pienamente dell’essere dell’Esserci. In essa si fa chiaro all’Esserci che esso, nella sua possibilità eminente, è sottratto al Si;”
Pier Carlo Giovannini