Esistono prove scientifiche sulla validità della teoria della psicanalisi? E’ possibile considerarla una scienza? Ma soprattutto, cos’è la psicanalisi e da cosa e chi prende le mosse? Banalmente, la psicoanalisi è un procedimento per l’indagine dei processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere, ma anche un metodo terapeutico (basato sempre su tale indagine) per il trattamento di disturbi nevrotici. In accezione più soggettiva, la psicoanalisi è la messa in moto della catena significante inconscia per cercare di circoscrivere, tramite una parola presa in considerazione, il reale, ossia ciò che si presenta sotto forma di sintomo nel paziente. Lo strumento che permette al soggetto di sottoporsi all’analisi è l’associazione libera, ossia l’applicazione della regola fondamentale: dire qualunque cosa che passi per la mente, per quanto sia difficile, incongrua o addirittura senza senso. L’oggetto di studio di tale disciplina è, pertanto, l’inconscio. La psicanalisi ha scoperto un continente nuovo del mondo umano, quello che la filosofia aveva intravisto con una sempre più chiara visione durante il suo lungo periodo di sviluppo (tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento), e anche la sua configurazione generale non era rimasta del tutto nascosta. Tuttavia, la psicanalisi ha trovato il metodo appropriato per sbarcare su questo continente e appropriarsene coraggiosamente, rompendo quelle rimozioni che l’avevano per secoli tenuto nascosto e allo stesso tempo ancorato, appunto, alla coscienza. Essa ha messo in chiaro che per comprendere a fondo i processi percettivi e intellettuali della nostra conoscenza non basta limitarsi a esaminare le catalogazioni e le sintesi intellettuali che avvengono a livello cosciente. Occorre, piuttosto, esaminare la graduale maturazione di processi e di diversi fattori emozionali e dinamici di carattere istintuale che precostituiscono e che sono alla base dei vari atteggiamenti di attrazione e di repulsione verso il quotidiano nel paziente. La personalità di quest’ultimo è quindi colta nella sua svariata ricchezza, nelle sue complicate tendenze, in buona parte ignote anche al soggetto stesso, talvolta complementari alle sue nozioni coscienti, altre volte in conflitto tra loro. La psicanalisi ha quindi contribuito in forma superlativa a questa conoscenza dell’uomo integrale e, indirettamente, anche alla rivelazione dei limiti della filosofia moderna, da cui la psicanalisi stessa prende in parte le mosse. Ma quanto è rimasto della filosofia nella psicanalisi? Per certi versi, possiamo benissimo associarla a discipline di ambito scientifico. Nel campo specifico della psichiatria, la cura psicanalitica delle malattie mentali si è dimostrata altamente efficace: si tratta di ridimensionare, attraverso una graduale consapevolezza e una finale catarsi, una distorta situazione mentale a lungo radicatasi nelle profondità dell’anima. La psicanalisi si basa, cioè, su dati di fatto e, partendo da certi sintomi presenti nella coscienza, risale alle loro cause o alle condizioni da cui dipendono: rimuovendo queste cause, modificando queste condizioni, i sintomi spariscono o si modificano. Tali cause e tali condizioni sono dunque effettivamente raggiunte, anche se le troviamo al di là di quello che è immediatamente presente nella coscienza o palpabile alla percezione. In questo senso, il metodo psicanalitico non si discosta da quello della fisica, che spiega il mondo macroscopico supponendo un mondo microscopico costituito da elettroni, protoni, onde elettromagnetiche e così via, anche senza poterlo rendere presente al senso. Né è diverso, sotto questo aspetto, dalla disciplina della biologia, che postula una determinata struttura dei geni, per spiegare la trasmissione dei caratteri ereditari, che è un dato di fatto. Tuttavia, la psicanalisi non ha potuto raggiungere una descrizione quantitativa e matematica dei processi psichici. Analizzando un sogno, ad esempio, non è possibile trovare la dipendenza causale dei dettagli e tanto meno quella dei loro eventuali valori quantitativi. Parliamo dunque di una dipendenza qualitativa generica: il sogno è spiegato con la storia passata del sognatore e con ciò che questa lascia nel suo inconscio. Sembra pertanto che la psicanalisi presenti, in tal senso, una metodologia simile a quella della storia, che indaga la dipendenza degli accadimenti di un’epoca in base agli avvenimenti di epoche passate. In ogni caso, gli anelli della catena degli avvenimenti psicologici non si possono dire così strettamente connessi a quelli della storia, poiché spesso la fantasia e il preconcetto si insinuano nel tentativo di fornire un’interpretazione che rientri nel quadro predisposto. Nell’individuo, la trama intessuta di conscio e inconscio presenta sempre delle smagliature in cui si perde il rigore della ricerca scientifica, di qui la straordinaria pluralità di postulati disparati da cui sono partiti i vari filoni della psicanalisi sin dalla sua origine, e che sono andati poi sempre più aumentando, anziché diminuire, in un’analisi fitta e sempre più intricata. D’altronde, come può sottoporsi ad un metodo e ad una logica razionale un contenuto che non lo è assolutamente? Se la realtà ultima e sostanziale dell’uomo fosse il fondo oscuro e irrazionale del suo inconscio, sul quale, come superficie inconsistente, si stende la coscienza, non si può non giungere alla conclusione che siamo vittime di forze cieche, contro le quali solo sporadicamente possiamo elevare la barriera della nostra coscienza per ottenere un equilibrio (per ossimoro) instabile e, paradossalmente, contro il nostro stesso conscio.
Il padre della psicanalisi, Sigmund Freud
Sappiamo che una scienza deve essere costruita su fondamenti chiari e rigorosi, ma non vi è nessuna scienza, neppure la più esatta, che prende l’avvio da tale definizione. In realtà, il vero avvio dell’operazione scientifica consiste nella descrizione dei fenomeni empirici, che vengono poi raggruppati, ordinati e correlati. E sono questi solo alcuni dei meriti che vanno attribuiti a colui che viene convenzionalmente definito come il padre della psicanalisi, Sigmund Freud. Egli nasce a Freiberg (Moravia) nel 1856 da una modesta famiglia di commercianti israelitici che si trasferisce a Vienna quando Freud ha quattro anni. In questa città egli inizia i suoi studi universitari alla facoltà di scienze e successivamente, per motivi economici, conclude i suoi studi alla facoltà di medicina. In questo periodo aderisce al fervore scientifico di una positivistica fede nella scienza, che dominava la maggior parte degli studiosi. Nel 1881 si laurea e dopo quattro anni ottiene la libera docenza in neuropatologia e una borsa di studio che gli consente di andare a Parigi e studiare i fenomeni isterici da un punto di vista neurologico. In quegli anni, l’interesse di Freud per l’ipnosi divenne vivissimo e da questo momento si dedica alla psicanalisi. Nel 1896 perde suo padre, avvenimento che egli definisce come il più importante e il più straziante nella vita di un uomo. In questa occasione Freud, che da tempo sperimentava su di sé l’interpretazione dei sogni, scopre quei conflitti interiori che sono propri di ogni uomo, sull’inevitabile, violenta ostilità del figlio contro il padre, seppur amato.

Del sogno parlò nel libro a lui più caro, L’interpretazione dei sogni, scritto nel 1899. Da questo momento in poi, la diffusione della psicanalisi iniziò a realizzarsi lentamente, ma con sempre crescente successo. Per quanto assurdo e illogico appaia il mondo dei sogni, Freud pensa che esistano regole che permettono di studiarlo. Il sogno ha un contenuto manifesto che è l’insieme delle immagini, parole, emozioni che chi sogna ricorda al risveglio e di cui è cosciente mentre sogna. Il significato nascosto del sogno è ciò che si cela dietro ciò che si manifesta ed è ciò che è incomprensibile al pensiero razionale e che diviene comprensibile attraverso l’analisi. L’analisi ha proprio lo scopo di svelare ciò che si cela e che viene espresso in un linguaggio incomprensibile alla coscienza. Per Freud esistono pulsioni di cui il soggetto non è cosciente, anzi, esse sono tali che se si esprimessero liberamente il soggetto non le potrebbe accettare, poiché contrarie alla propria personalità e al proprio sistema di valori. Egli studia i meccanismi che permettono al significato profondo del sogno di manifestarsi in maniera tale da essere irriconoscibile. Tali meccanismi sono lo spostamento, che si verifica quando si ha un impulso profondo diretto verso una persona ed esso, nel contenuto manifesto del sogno, appare rivolto verso un’altra persona, la condensazione, che si verifica quando impulsi diversi si fondono tra loro, e il simbolo, che si verifica quando uno o più impulsi profondi si esprimono simbolicamente in un segno. L’insieme di questi tre meccanismi viene definito da Freud lavoro onirico, cioè come l’attività che permette al significato nascosto del sogno di esprimersi in maniera camuffata nel contenuto manifesto. Il lavoro onirico si svolge in una sfera della vita interiore inconscia, nella quale nasce la malattia psichica e a cui si rivolge l’attenzione del terapeuta.
A Dangerous Method
Ma per quanto il grande nome della psicanalisi abbia tentato di canonizzare tale disciplina, attraverso la postulazione di regole e principi positivi (in senso latino, da positum), non è stato esente dal cadere vittima dei propri istinti primordiali. E’ di questa falla, se così possiamo definirla, che tratta il film di David Cronenberg, A Dangerous Method (2011).

Siamo a Zurigo, nel 1904, e assistiamo al turbolento rapporto tra il giovane psichiatra Carl Gustav Jung, il suo mentore Sigmund Freud e Sabina Spielrein, la paziente, donna bella e tormentata, che si frappone tra loro. In un certo senso, Cronenberg ha voluto scavare nella materia, nella carne, nei nostri modi di comunicare, nelle relazioni, nell’anima delle stesse relazioni, quasi volendosi equiparare ai protagonisti di questa storia. Scava nell’uomo, e quindi nel suo inconscio, tirandone fuori la parte più vera, la violenza, le paure, le ossessioni, le morbosità, i demoni. A Dangerous Method racconta una mutazione, un percorso di liberazione e presa di coscienza da parte di un uomo che ha appena salvato una donna e si trova nella sua stessa situazione. E’ un cammino verso la libertà dagli impulsi, dalle regole, da ciò che è socialmente sbagliato, una sorta di catarsi, equiparabile, potremmo dire, al metodo freudiano dell’associazione libera.