Nella serata del 6 Luglio, in seguito a una riunione del gabinetto londinese per decidere delle sorti del paese nello scenario post-Brexit, Theresa May dichiara che il governo ha deciso di adottare una linea più morbida: un accordo di libero scambio tra Regno Unito e Unione Europea.
Il verdetto finale
Un clima di tensione aleggiava da tempo nelle aule del Parlamento inglese. Discussioni continue, pareri discordanti e perplessità sul futuro del paese. Dall’anno scorso, l’argomento Brexit è stato il principale oggetto di discussione politica del Regno Unito. Il parere comune sull’uscita dall’euro è fortemente eterogeneo. Perfino il mondo (e la stampa) progressista ha rivelato di non professare un parere unanime sull’argomento. Lo stesso leader laburista inglese, Jeremy Corbyn, non ha espresso un parere del tutto contrario all’uscita dall’Unione Europea, che definisce foriera di politiche liberiste. Opinioni differenti si riscontrano anche tra i conservatori, dove l’ex primo ministro Cameron, insieme ai deputati Osborne e Loach, premevano per il ‘remain’. Che si fosse d’accordo o meno, il popolo inglese ha scelto la sua strada, e in tale direzione la politica dovrà far convergere gli interessi del paese. Per questa ragione, il primo ministro inglese, Theresa May, ha accelerato i tempi per l’elaborazione di una soluzione concreta e indolore: “Oggi nel corso di dettagliate discussioni, il governo ha concordato una posizione comune per il futuro delle nostre negoziazioni con l’UE”. In breve, l’obiettivo del governo consisterebbe nelle garanzie di una certa indipendenza economica e politica del paese, mantenendo però intatta l’area di libero scambio tra UK e UE. Si tratta di una soluzione che ha lasciato a bocca asciutta i falchi europeisti che desideravano un’uscita drastica del paese dall’Unione Europea.
Modello Norvegia o modello Turchia?
Sebbene un’uscita dall’UE (Brexit) possa suonare come un evento catastrofico o apocalittico, tuttavia esistono soluzioni concrete affinché un paese possa continuare a vivere economicamente. Uno dei principali interrogativi di Londra è stato rappresentato dall’ipotesi di adozione di uno dei modelli di “scambio e relazione” tra paesi limitrofi. Nello specifico, si parla di due soluzioni: modello Turchia e modello Norvegia, ovvero quelli adottati dai paesi da cui essi prendono il nome. Nel primo caso (Turchia), si tratta della stipula di un partenariato commerciale, dove esiste un’unione doganale tra paesi non appartenenti alla medesima comunità: ciò implica l’abolizione dei dazi doganali nelle operazioni di import/export, dove tuttavia non è previsto né un mercato comune, né un’area di libera circolazione delle persone (Trattato di Schengen). La seconda opzione (Norvegia), prevede un’indipendenza del paese rispetto all’Ue (non è membro di quest’ultima), tuttavia il paese risulta membro attivo del mercato comune e, inoltre, è ivi consentita la libera circolazione dei cittadini europei. Dinanzi a queste due opzioni, è molto probabile che il Regno Unito adotterà una soluzione mediana, dove però non è ancora stata stabilita la politica inerente a Schengen. Nei prossimi mesi, probabilmente, si definirà un volto più definito della politica britannica.
Le reazioni di Bruxelles
Toni morbidi arrivano anche dalla roccaforte UE di Bruxelles, con le dichiarazioni del capo negoziatore di Bruxelles, Michelle Barnier: “Siamo pronti ad adattare la nostra offerta, nel caso il Regno Unito dovesse cambiare le sue linee rosse. (…) Siamo sempre disponibili a trovare un accordo con l’Inghilterra, non contro di essa”. Il diplomatico europeista ha inoltre affermato che restano da chiarire le modalità di ritiro della Gran Bretagna dall’Ue.