Dopo dieci anni di carcere e una condanna a morte, Asia Bibi, pakistana cristiana accusata di blasfemia, viene assolta. Il Presidente della Corte Suprema, Saqib Nisar, ha agito in nome della tolleranza, annullando la pena di morte e proclamando la scarcerazione immediata. Asia ora è libera ed è considerata il simbolo delle persecuzioni contro le minoranze religiose, in un paese dove l’Islamismo è religione di stato, simbolo che viene osannato dai difensori dei diritti umani ma da abbattere per gli estremisti islamici. La donna riabbraccia i cinque figli ed il marito dopo 3.422 giorni di prigionia ma la sua vita non può continuare in Pakistan, ora è in un posto sicuro e protetto ma non credo si possa parlare, ancora, di libertà.
E’ il 14 giugno del 2010, Asia lavora nei campi del suo villaggio di Ittanwali, nel Punjab, con altre donne. Le viene chiesto di andare a prendere un secchio d’acqua al pozzo, lei non resiste alla sete e beve un sorso condannandosi a morte. Le donne le urlano di aver contaminato il pozzo, scoppia un litigio e Asia, per difendersi, dice che Gesù avrebbe considerato il suo gesto in maniera diversa da Maometto, viene picchiata e denunciata con accusa di blasfemia. L’8 novembre viene condannata a morte per impiccagione. Associazioni cristiane e a difesa dei diritti umani si mobilitano in difesa della donna, anche l’allora governatore del Punjab, Salman Taseer, si schiera dalla sua parte e viene assassinato dai membri del Tlp (Tehreek-e-Labaik Pakistan), neo-partito di estremisti islamici nato con l’intento di stroncare ogni voce a supporto di Asia e, più in generale, delle minoranze religiose. Il processo per l’assoluzione si è svolto in una sala blindata del tribunale di Islamabad, con la polizia in tenuta anti sommossa e ha scatenato proteste dentro e fuori dal Pakistan, il giorno dopo, per precauzione la capitale si è svegliata sotto rigide misure di sicurezza, con alcune scuole chiuse e posti di blocco vicino ai quartieri dove vivono magistrati e diplomatici. Gli estremisti sono scesi nelle piazze, infuriati, guidati dagli Imam e da Khadim Rizvi, leader del partito Tlp, che la notte precedente aveva esortato i seguaci a reagire in caso di assoluzione. Afzal Qadri, un altro degli intransigenti, ha affermato: ‘i giudici che hanno scagionato Asia Bibi meritano di morire secondo la legge islamica!’ Parole a cui il premier pachistano, Imran Khan, ha risposto a tono: ‘Non sfidate lo Stato e non costringete lo Stato a compiere azioni estreme’. Un clima da Guerra Civile!
Teoria e prassi
La condanna e gli anni di carcere che Asia ha dovuto subire solo ‘per aver bevuto dal bicchiere sbagliato’ rappresentano un esempio concreto dell’intransigenza e intolleranza che si respira nei Paesi Islamici, volte in particolare alla sfera religiosa che incidono poi sul piano socio-politico e, purtroppo, anche privato. A differenza di religioni come il cattolicesimo, in Islam non c’è una figura che legga le sacre scritture, che dia una linea guida all’interpretazione, che funga da riferimento per i credenti. L’estremismo nasce dal parafrasare in maniera scorretta le pagine del Libro Sacro, atteggiamento che non trova rimedio in quanto gli islamici credono in una specie di sacerdozio universale, che rende i fedeli capaci di interpretare liberamente le scritture. Quando la teoria si accosta alla prassi, essendoci varie categorie di fedeli, con orientamento di pensiero, livello culturale e mentale diverso, un’interpretazione sbagliata può generare conseguenze catastrofiche, basti pensare alla Jihad e a tutto quello che ne segue. Asia è stata vittima di una questione del genere, la legge sulla blasfemia è adattabile alle circostanze, è vaga, interpretativa, come lo sono i dettami che vengono tirati fuori dagli estremisti dalle Sacre Scritture.
Chiacchiere di tolleranza
“Il diritto all’intolleranza è assurdo e barbaro: è il diritto delle tigri; è anzi ben più orrido, perché le tigri non si fanno a pezzi che per mangiare, e noi ci siamo sterminati per dei paragrafi” afferma Voltaire nel suo trattato ‘Sulla Tolleranza’, continuando poi col sostenere che l’intransigenza è la causa principale del regresso della società, è sintomo di chiusura mentale, azzarderei di immaturità culturale. La tolleranza è la capacità di pensare, anche per un attimo, che l’interlocutore possa aver ragione e permette il confronto pacifico ed empatico con l’altro ponendo le basi per una convivenza e coesistenza onnicomprensive, utopica per i giorni nostri, a causa del perseverare di culture indisposte alla comprensione. Secondo Voltaire la tolleranza è conseguenza diretta della fallibilità umana, della finitezza e dell’imperfezione che ci appartengono “non resta, dunque, che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani”. Nascendo, il concetto di tolleranza, in concomitanza e a causa della Riforma cattolica, esso è un termine originariamente da riferire alla sfera religiosa che solo dopo, forse per implicazione, viene esteso alla politica. Hobbes sosteneva che, per quanto riguarda la religione, la tolleranza non fosse funzionale all’instaurazione di un governo perfetto e che l’uniformità religiosa fosse la chiave per una giusta organizzazione sociale. Posizione da cui prende le mosse Locke, nella “Lettera sulla Tolleranza”, in chiave critica, sostenendo l’impossibilità da parte dello stato di interferire con la chiesa ponendo le basi per una religione comune. Questo perché la fede è una scelta interiore, non imponibile, non acquisibile dall’esterno e che quindi non può essere conseguenza di un diritto. Lo Stato deve interessarsi solo dei beni civili (libertà, proprietà, autoconservazione), per il rispetto dei quali è concesso se non necessario imporre e comandare, ma la religione è altra cosa, è libera scelta, se risultasse da una costrizione sarebbe ipocrisia.
Carl Schmitt definiva la tolleranza un meccanismo di spoliticizzazione nella misura in cui disintegra il rapporto oppositivo amico/nemico, che egli considera matrice della politica stessa, l’unico residuo che rimane è il nemico intollerante. Ho citato banalmente e brevissimamente Schmitt per far cogliere come, anche in un pensiero che va contro il concetto di tolleranza, quello di intolleranza si presenzia sempre nella figura del nemico, che va combattuto, schiacciato e superato. L’intollerante non è capace dell’empatia, è la tigre che sbrana per fame di cui parla Voltaire, dove la fame sorge dall’assoggettare per convincere, dall’imporre per farsi ascoltare. Asia ha avuto la meglio, la tolleranza ha vinto a Punjab, ma l’ intransigentismo è oramai troppo radicato, la strada è ancora lunga.
Samuele Beconcini