Non sempre risulta semplice mostrarci per come realmente siamo. Una totale trasparenza, privata d’ogni filtro, ci rende spesso inquieti, timorosi del pensiero altrui. Di fatto, abbiamo paura di attirare attenzioni, parole e giudizi indesiderati. Vivere in una società costringe ad adattarsi e ad assimilarne la struttura, giungendo talvolta a non riconoscere più la differenza tra ciò che si è – persone – e ciò che si rappresenta – personaggi. È un qualcosa di normale, per alcuni. Per altri, invece, muta sino a divenire una vera e propria patologia, fondata sul bisogno di essere accettati socialmente. Questi individui consistono in meri camaleonti sociali.
I camaleonti sociali: tratti e caratteristiche
I camaleonti sociali si manifestano a prima occhiata come soggetti notevolmente abili nel fare buona impressione. Essi non negano la messa in pratica di un vero e proprio mercantilismo emotivo, mediante il quale dissimulano i propri sentimenti e pensieri al fine di essere accettati. La parola chiave, dunque, concerne l’approvazione. I camaleonti sociali vivono sull’approvazione altrui e sono tanto impegnati a ricercarla da non considerarne le implicazioni collaterali – in particolar modo legate alla loro stessa identità.
Mark Snyder, psicologo dell’Università del Minnesota, si è occupato dello studio del bisogno di accettazione sociale. Egli ha denotato come i camaleonti sociali risultino soggetti profondamente infelici, dal momento che obbligano se stessi, per così dire, ad accumunarsi a coloro che si trovano dinnanzi. In breve, simili individui si abituano ad agire in un certo modo, per poi cangiare repentinamente sulla base delle persone frequentate, vivendo in uno stato di costante contraddizione. In termini di implicazione sociale, tale condotta non permette al soggetto di instaurare legami duraturi né tantomeno soddisfacenti. Il camaleonte, bugiardo compulsivo, oscilla infatti tra lato privato e pubblico del proprio io a guisa d’un pendolo, spesso sfociando in casi estremi di nevrosi ed esaurimento.
Le implicazioni: un logoramento interiore causato dalla perdita di identità
Si consideri la seguente situazione: un individuo frequenta due gruppi distinti di persone, l’uno di caratteristiche A e l’altro di caratteristiche B; come farà ad adeguarsi prettamente ad entrambi? I camaleonti sociali figurano alla stregua della persona giusta al momento giusto, presentando una sintonia costante con le relazioni altrui. Tale capacità risulta il frutto d’un intenso monitoraggio di tre precisi elementi: l’ambiente sociale, ovverosia il contesto, le persone inseritevi e, infine, la personale performance. Attraverso l’attenta analisi di ogni particolare, l’individuo camaleontico riesce ad adattarsi ad ogni situazione, ottenendo, mediante un autocontrollo fuorimisura, ogni effetto desiderato.
Tuttavia, per i camaleonti sociali non esistono freni, a lungo andare. Questi divengono individui pronti a perdere dignità, principi e valori al mero scopo di conseguire successo sociale e riconoscimento. Come detto, il costante indossare maschere ed impersonare nuove identità rende loro difficoltoso instaurare un legame sano e duraturo. Il logoramento interiore è immenso e spesso psicologicamente fatale: la mistione di identità, insomma, li impossibilita a riconoscerne – e possederne – una personale.
Zelig: il camaleontismo sociale messo in scena da Woody Allen
Scritto, diretto ed interpretato da Woody Allen, Zelig, film uscito nel 1983, consiste in uno tra i maggiori esempi di trasformismo – o, per restare in tema, camaleontismo – in termini di spettacolo. La vicenda è ambientata nel 1928 e vede come protagonista un tale Leonard Zelig, vittima di una ignota malattia. Il giovane, infatti, subisce costantemente mutazioni psicosomatiche sulla base del contesto in cui si trova. I suoi tratti, durante l’intera pellicola, non vengono mai autenticati. Un simile camaleontismo diviene così una moda, tanto che la sorellastra a cui era stato affidato lo rende un mero fenomeno da baraccone.
Il Leonard Zelig di Woody Allen non possiede de facto un’identità. Egli funge da ri-proiezione delle personalità altrui, a guisa d’uno specchio che restituisce agli individui la propria immagine. Lo psicanalista Bruno Bettelheim, il quale interpreta, nel film, il ruolo di se stesso, asserisce che il protagonista possiede stati d’animo che a prima occhiata non paiono differenti dalla norma. Egli sembra infatti “una persona normale, ben equilibrata e inserita, solo portata all’eccesso estremo“. A partire da questa accezione di personalità adattiva e di trasformismo identitario – dipendente dal contesto ambientale – è stata per l’appunto coniata la Sindrome di Zelig.
Il problema dell’identità: camaleontismo o conformismo?
Il problema dell’identità non risulta certamente cosa da poco. Ad oggi vi sono due interpretazioni principali a seguito del fenomeno. Da un lato, alcuni ritengono che il camaleonte sociale perda di fatto l’identità, che non ne possieda una a sé stante e che per l’appunto si limiti ad incorporare quelle altrui. Al contrario, altri la rivedono proprio in questa azione di incorporamento: la personalità del camaleonte, in tal senso, fungerebbe da contenitore di diverse identità, a turno esteriorizzate in base al background sociale in cui questi è inserito. Per quanto ciò possa apparire esagerato, ognuno di noi modifica lievemente il comportamento a seconda del contesto. La differenza con una forma di camaleontismo, infatti, riguarda soltanto la permanenza di un’identità, che possediamo a prescindere dalla semplice conformazione ad un gruppo. L’io di un individuo camaleontico non si conforma, bensì si origina dal riflesso, senza il quale non esisterebbe.
– Simone Massenz