Tutto inizia da una conferenza
Vi sarà capitato di trovarvi ad una conferenza in cui la palpebra inizia a calare e il cervello rallenta. Avete perfino dimenticato l’orologio. Vi sembrano passate tre ore e mezza. Prontamente, ma ancora con la palpebra mezza calata, rivolgete al vostro compagno la fatidica domanda: “quanto manca alla fine?” E lui che sta pigiando all’impazzata i tasti del suo pc per non perdersi l’interessantissimo approfondimento sul tipo di carta che Galileo usava per inviare le sue lettere… vi risponde “Ma se è appena cominciata!”. Al che rivolgete la stessa domanda al compagno a destra che si sta mangiando una schiacciatina sotto il banco. Quello posa la schiacciatina e guarda l’orologio: “Sono passate due ore, ne mancano altre due”.
Come è possibile che ci sia stato un così grande divario tra il vostro pronostico e quello del compagno? Ciò ha strettamente a che fare con il modo in cui viviamo gli istanti. Come stiamo, cosa sentiamo, emozioni, sensazioni, idee che ci accompagnano nell’attraversarli, discorsi che ci facciamo mentre trascorre quel frangente temporale che può – insieme – essere breve o infinito, mentre passano quei “soli” o “interminabili” dieci minuti.
Mancano ancora due ore al termine della conferenza, vi sistemate comodi; braccia incrociate e testa sul banco, pronti per abbandonarvi ad un viaggio onirico… vediamo dove vi condurrà!
Prima tappa: la distensio animi di Agostino
Le lancette dell’orologio non scorrono di certo in modo diverso a seconda di chi lo indossa… ma forse il tempo, sì, forse il tempo scorre in modo diverso a seconda di chi lo “indossa” ? Per rispondere a questa domanda possiamo fare un salto nel passato, fino al Medioevo, il filosofo Sant’Agostino d’Ippona si era posto il quesito. Nel suo scritto Le Confessioni, Agostino si interroga sulla natura del tempo e sottolinea la sua labilità ontologica, la difficoltà nel definirlo.
Infatti esordisce affermando: “Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so. Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente…”
Da qui Agostino parte a fare una analisi approfondita del tempo che culmina nella sua famosa sentenza “il tempo è distensio animi”. Ecco! Questo è il punto che ci serve analizzare, il tempo è una distensione dell’anima, è proprio l’anima lo strumento con cui, secondo Agostino, l’uomo misura lo scorrere del tempo, non per altro viene definito filosofo dell’interiorità. Ritorniamo alla conferenza; tu e il tuo compagno (che nel frattempo sta ancora digitando caratteri all’impazzata sul pc) avete misurato il tempo trascorso con l’orologio della vostra anima, ed essendo individui diversi, ne avete avuto una percezione differente.
Seconda tappa: gli orologi molli di Dalì
Un altro aspetto che Agostino tratta è quello di come il passato, il futuro e il presente siano inafferrabili, ma che essi possano risedere in forme diverse all’interno della nostra anima. Il passato è ciò che era e adesso non è più, è quindi presente del passato, ovvero memoria. Il presente è ciò che è, ma non sarà più e lo attestiamo tramite la visione. Il futuro è ciò che sarà poichè non è ancora stato e viene misurato nell’anima come attesa.
Parlando di tempo e orologi non può non saltarvi subito in mente il quadro di un pittore particolarmente baffuto… un certo Salvador Dalì. Il pittore surrealista nella sua opera “La persistenza della memoria”, per intenderci, il quadro che raffigura degli orologi sciolti, sembra aver riassunto a pieno il pensiero di San’Agostino.
Su uno dei tanti paesaggi di Port Lligat, caratterizzato dagli scogli aguzzi della Costa Brava sullo sfondo e da un ulivo secco e malinconico in primo piano, Dalí nella persistenza della memoria immaginò quattro orologi come oggetti inattesi, sottratti alla realtà quotidiana. Dalì associa e deforma liberamente gli orologi della persistenza della memoria: i due dilatati ricordano che la durata di un evento può essere dilatata nella memoria, il terzo orologio poggiato su quella sorta di volto umano dalle lunghe ciglia, è il simbolo del modo in cui la vita distorce la forma geometrica e l’esattezza matematica del tempo meccanico. Questi tre orologi deformati dalla persistenza della memoria, sul punto di sciogliersi al sole, rappresentano, perciò, l’aspetto psicologico del tempo, il cui trascorrere è misurato dall’anima. L’unico orologio non deformato è ricoperto di formiche, queste tentano, invano, di entrare nell’orologio. È qui che possiamo ricongiungerci all’impossibilità di definire il tempo affermata da Agostino “se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so”. Agostino tenta di penetrare nella definizione del tempo, come le formiche nell’orologio, ma in definitiva non lo riesce ad afferrare.
Il viaggio termina con… Albert Einstein
Siamo partiti da un filosofo, siamo poi passati ad un pittore e non possiamo che concludere il viaggio nella soggettività del tempo con il “padre della relatività”, Albert Einstein. Un giorno, parlando di relatività del Tempo, Albert Einstein disse: “Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora”.
Un modo molto efficace e semplice per spiegare che di fatto anche il Tempo è relativo, non soltanto perché quello misurato dagli orologi è ben diverso dal tempo che percepiamo e viviamo, ma anche perché il nostro, quello terrestre, è un Tempo ‘locale’, che vale solo sul nostro pianeta. Basta uscire dalla nostra atmosfera e le cose cambiano radicalmente: così come il concetto di alto e di basso non esiste più nello spazio, allo stesso modo, il concetto di Tempo come entità assoluta e indipendente da ciò che succede, viene meno, come lo stesso Einstein dimostrò con le sue teorie.
Suona la campanella, la conferenza è terminata. La palpebra finalmente si apre, è qui che il vostro viaggio onirico si conclude.