Verso la fine degli anni Novanta il nostro mondo si è ritrovato in balia di quella che Giovanni Verga, illo tempore, definì “fiumana del progresso”. Ad un certo punto siamo entrati in modalità online. Era tutto connesso. Tutto era destinato a diventare veloce, frenetico, globale. Lo straniamento di una generazione che si ritrova sballottata in una realtà iper-connessa è descritto a pieno da due band quasi complementari tra loro: i Radiohead e i Marlene Kuntz.
Lo spazio digitale: libertà o prigionia?
A partire dal 1997 inizia a diffondersi la cultura di quello che viene definito cyber-space. Entrano nel vocabolario comune termini come “navigare”, “virtuale”, “connesso”. Contemporaneamente sempre più persone possiedono un personal computer, diventato più accessibile nel prezzo. Anche negli uffici, negli studi tecnici e nelle università compaiono i primi pc, più pratici e comodi per il lavoro. Eppure, nella globalità l’individuo si sperde: è travolto, scombussolato, privato della propria individualità. Le possibilità concesse dal cyber-spazio consentono di creare quelle che oggi sono state definite “comunità specializzate” dove il basso livello di impegno aumenta la fragilità della persona e delle sue forme di relazione.
L’urlo di una generazione con Ok Computer
È il 1997 quando i Radiohead, gruppo inglese con alle spalle già due album che avevano ottenuto un discreto consenso generale, fanno uscire “OK Computer”. Il successo è immediato: il disco e il singolo “Paranoid” svettano in testa alle classifiche. In molti sondaggi musicali il disco viene da subito considerato uno dei migliori del decennio, della produzione britannica di sempre e della storia del rock in generale.
“Ok Computer” non è solo un album rock, ma un modo per affrontare le moderne e complesse tematiche coeve. Uno degli elementi di eccezionalità di “Ok Compute” risiede nella sensibilità artistica di Yorke, nella sua capacità di fondere in maniera perfetta testi e suoni creando un primordiale, inafferrabile e a tratti abbacinante esempio di interazione tra musica e letteratura. Con questo disco Thom Yorke si rivela poeta moderno, riuscendo ad adattare lo spleen baudelairiano al clima claustrofobico dell’assurdo e orribile quotidiano conformismo di un’epoca dominata da valori e sogni artificiali.
Ecco perchè “Ok Computer” è uno degli album più emotivi e sofferti di tutti i tempi. La malinconia e la tristezza sono le basi primarie di un lavoro che porta inevitabilmente l’ascoltatore a rinchiudersi masochisticamente in un cantuccio personale da cui analizzare con calde lacrime la propria condizione esistenziale. Tra le splendide tracce spicca sicuramente Karma Police, tanto inquietante quanto suggestiva. La voce tesa di Thom Yorke è al tempo stesso calda e sinistra, facendo eco alle delusioni di un uomo che chiede alla “Karma Police”, che possiamo intendere come la giustizia divina, di arrestare uno sconosciuto che “talks in maths”. Yorke descrive così la differenza tra l’uomo rimasto tale e l’uomo che si è trasformato, che si è lasciato plasmare dal cyber-spazio che lo circonda.
Alla ricerca di sé con i Marlene Kuntz
La canzone dei Radiohead è stata amata da molti sin dall’uscita dell’album, ma tra i suoi innumerevoli fan si conta anche il gruppo alternative rock italiano dei Marlene Kuntz. Proprio il 22 Giugno la band piemontese ha pubblicato la cover del brano dei Radiohead per festeggiare i 30 anni di storia della band e i 20 anni di “Ho ucciso paranoia”, riproposto per intero nel set elettrico. L’operazione si chiama “30:20:10 MK2”. Il 10 sta per il numero di concerti del tour che partirà a breve, in tutta Italia.
“Ho Ucciso Paranoia” è stato il terzo album dei Marlene Kuntz, il solito capolavoro del rock alternativo italiano, caratterizzato dai testi elaborati e poetici di Godano e dal sound inquieto tipico del gruppo, che trova anche il modo di mostrare il suo lato melodico (basti pensare a Infinità). Non è facile definire se sia effettivamente il miglior disco dei Marlene Kuntz, ma rappresenta indubbiamente l’album della loro completa maturità, quello con cui sono riusciti ad affermarsi, diventando per la prima volta un nome “grosso” nel mercato musicale, pur restando una band di nicchia.
È un po’ la magia del rock alternativo italiano anni ’90, in cui le band usano la sofferenza, con questo modo di fare i maledetti, ma nonostante questo riescono a trasmettere emozioni con una strana naturalezza, talvolta superando l’apparente ruvidità e incomprensibilità dei testi. Godano ha scritto testi coscienziosi, agonizzanti, sofferti, ricchi di pathos, appassionati, a tratti anche ironici. Sono figli di quella Weltanschauung del cyber-spazio che ha temprato l’individuo alla sopravvivenza tra due realtà: quella quotidiana e quella reale. Possiamo percorrere entrambe le strade, ascoltando la musica che ha segnato una generazione, aiutandoci a non perdere mai la strada di casa.
Sara Paolella