Undici anni senza Dalla: il cantautore che ha gridato il kantiano anelito all’infinito

Le canzoni di Lucio Dalla oltrepassano il confine del mondo conosciuto ed esprimono il desiderio umano di afferrare l’infinito.

Oggi ricorre l’undicesimo anniversario dalla morte di Lucio Dalla. Instancabile musicista e cantautore, ha lasciato un’indelebile eredità con oltre quarant’anni di carriera. Tra note e parole, ha espresso dolore, gioia, disperazione e desiderio di evasione oltre i confini del pensiero.

TUTTA LA VITA

Il 1° marzo 2012 Lucio Dalla si spegneva a Montreux, tre giorni prima di festeggiare il suo 69º compleanno: lo aveva colto, all’improvviso, un infarto. Si trovava nella cittadina svizzera in occasione di uno dei più importanti festival musicali al mondo, il Montreux Jazz Festival, e la sera precedente si era addirittura esibito. Aveva veramente passato “tutta la vita a far suonare un pianoforte, lasciandoci dentro anche le dita”, come aveva cantato in un suo celebre brano. Aveva iniziato da giovanissimo, prima come fisarmonicista e poi come come prodigio del clarinetto. Era stato il Jazz il suo primo amore; dopo arrivarono la voce, la collaborazione con Roversi e, alla fine, la scrittura. “Alla fine”, solo per modo di dire, perché non fu che l’inizio del Dalla più autentico, profondo e creativo.

Anche dopo la morte, la musica non si discostò certo dalla sua immagine: le sue ceneri sono poste nella zona monumentale della Certosa di Bologna, città protagonista e culla delle sue canzoni. La sua tomba è ben visibile grazie a una sagoma della sua inconfondibile figura, con bastone, cappello e clarinetto; ai suoi piedi, la dicitura: “musicista, poeta, maestro di vita”; sotto ai nomi di Lucio e dei genitori, un verso di “Cara”, una delle sue canzoni più poetiche: “Buonanotte, anima mia, adesso spengo la luce e così sia”.

Lucio Dalla durante il tour “Banana Republic”.

INFINITE PAROLE

Lucio Dalla non cominciò a scrivere subito: non si riteneva in grado di farlo. Fu necessaria una lunga collaborazione con Roversi per metterlo davanti al “mestiere di scrivere” e per permettergli di rendersi conto che poteva usare le proprie parole. Nel 1977 usciva il primo disco firmato interamente da lui: si tratta di “Com’è profondo il mare”, oggi considerato un capolavoro e l’incipit di un percorso di cantautorato che lo avrebbe portato sempre più lontano. In verità, erano le stesse parole di Dalla a potare lontano, a racchiudere dentro se stesse un messaggio che non si esauriva mai in se stesso, che non si concludeva al termine del brano, o del disco. La lezione di Roversi gli aveva insegnato come far viaggiare sullo stesso binario musica e testo, come unirle e amalgamarle;  l’animo poetico di Lucio aveva fatto il resto. Nel trattare temi politici, culturali, assolutamente quotidiani, non c’è mai un velo di banalità, anzi, ogni elemento viene esaltato e le frasi musicali utilizzate portano a un altrove che le parole non sanno del tutto dire, ma che lasciano intendere, insieme alle chitarre, alle percussioni, ai martellanti tasti del pianoforte. In questo senso, Dalla dà voce a qualche cosa di profondo che è parte dell’animo umano: la potenzialità del pensiero e delle sue traiettorie infinite. Attraverso l’uso di immagini che, come una siepe à la Leopardi, possano lasciare intravedere qualcosa, il cantautore di Bologna regala molte forme a questa intuizione, come avviene nel brano “Come è profondo il mare”:

È chiaro che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa è muto come un pesce
[…]
E come pesce è difficile da bloccare
Perché lo protegge il mare
Com’è profondo il mare
[…]
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare“.

Si tratta di un’intuizione che il filosofo Immanuel Kant ha ben descritto nelle sue opere: nonostante ciò che vediamo (il fenomenico), sia limitato e ristretto entro i confini delle intuizioni a priori di spazio e tempo – perché il mondo che esperiamo con i nostri sensi può essere inteso solo tramite queste categorie -, la ragione umana è comunque spinta ad andare oltre (verso il noumenico). Ed allora è lì che va, come una colomba ebbra e libera nell’aria che, anche se sprovvista delle abilità per volare così in alto, si spinge comunque verso il cielo, come inebriata da un nettare estasiante. C’è una realtà, oltre, al di là delle cose visibili, verso cui la ragione umana è irrimediabilmente attratta, verso cui il pensiero si rivolge, anche se consapevole di non poterne afferrare del tutto l’essenza. Lo stesso Kant utilizza l’immagine dell’oceano per indicare ciò che si trova al di là del conosciuto; scrive così nell’opera “Critica della ragion pura”:

Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell’intelletto puro […] ma l’abbiamo anche misurato, e abbiamo assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un’isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili […], circondata da un vasto oceano tempestoso“.

Secondo Kant, non possiamo conoscere il vasto oceano. L’unica cosa conoscibile dall’intelletto umano è la realtà fenomenica, racchiusa nelle categorie spazio-temporali ed esperibile coi cinque sensi. Rimane comunque il fatto che l’uomo, pur consapevole di non potere avere alcuna conoscenza dell’infinito e del mondo noumenico, possiede la forte esigenza di andare oltre i propri limiti, di imbarcarsi nel mare in burrasca, un po’ come Ulisse, che rappresenta bene questa spinta all’avventura, per dirigersi verso un’esperienza ignota. In questo senso, la voce di Dalla prova a catturare quella dimensione, innanzitutto raccontandola e, tramite suoni e parole, racchiudendola nei desideri e nelle storie delle sue canzoni.

Una Word Cloud che rispecchia la diversa frequenza delle parole presenti nei testi di Lucio Dalla.

L’ANELITO ALL’INFINITO E LA FACOLTÀ DEL SENTIMENTO

Secondo Kant, dunque, l’uomo è inevitabilmente spinto a pensare senza dati, a spingersi oltre, proprio perché in lui è presente un anelito all’infinito, costitutivo della sua essenza. Nello specifico, l’anelito all’infinito viene espresso dalle idee di Anima, Mondo e Dio, da cui spesso le filosofie traggono affermazioni fallaci e conclusioni illogiche che la metafisica di Kant non ammette sul piano gnoseologico. L’intenzione primaria di Kant, infatti, è quella di fondare una metafisica come scienza, ammettendo solo i giudizi sintetici a priori, in grado di rendere feconda e certa la conoscenza, poiché basata sull’esperienza fenomenica e su principi universali. La conoscenza certa è possibile grazie all’Io Penso, ossia l’attività intellettuale che permette di filtrare attivamente i dati empirici. Su questo piano, non c’è posto per le idee di Anima, Mondo e Dio, che vanno quindi postulate sul piano etico – a cui Kant si dedica nell’opera “La critica della ragion pratica” – per attestare la morale kantiana e poiché si tratta di entità ideali inalienabili per l’uomo. Non c’è nemmeno posto per i concetti di sublime e di bello, in quanto vanno anch’essi oltre le possibilità conoscitive dell’intelletto. Per questa ragione, Kant identifica nella facoltà del sentimento un campo di attività autonoma, tramite cui l’uomo fa esperienza di quelle finalità del reale che la prima Critica escludeva sul piano fenomenico e la seconda Critica postulava a livello noumenico. Trattasi di quelle finalità riconducibili alla sopracitata esigenza umana a sbirciare al di là dei confini del conosciuto, di quella volontà di far navigare il pensiero, che anela sempre qualcosa di lontano. La facoltà del sentimento, presentata nella terza opera, “La critica del Giudizio”, permette di riconoscere la bellezza, di elaborare un gusto e di muoversi in libertà al di fuori del campo teoretico e gnoseologico. Questo è possibile tramite la creazione artistica, che utilizza un linguaggio differente e che non ha la pretesa di rilevare certezze o verità assolute. La filosofia di Kant ci permette così di interpretare l’opera di Dalla come ricca dell’urgenza di comunicare il desiderio umano di infinito, del bisogno di avvicinarsi a qualcosa che non si riuscirà mai a raggiungere, come accade nella canzone “La Casa in riva al mare”, che racconta di un detenuto che sogna ad occhi aperti la libertà e una storia d’amore:

Dalla sua cella lui vedeva solo il mareEd una casa bianca in mezzo al bluUna donna si affacciava, MariaE’ il nome che le dava luiAlla mattina lei apriva la finestraE lui pensava quella è casa miaTu sarai la mia compagna, MariaUna speranza e una follia
E sognò la libertàE sognò di andare via, viaE un anello vide giàSulla mano di Maria
[…]
E gli anni son passati tutti gli anni insiemeEd i suoi occhi ormai non vedon piùDisse ancora la mia donna sei tuE poi fu solo in mezzo al blu“.
Ancora una volta, è l’immagine del mare a simboleggiare ciò che è misterioso, ciò che sta al di fuori, oltre i confini e, in questo caso, oltre le sbarre di una cella. In altri brani è l’America a rappresentare l’ignoto e l’inconoscibile, come in “Anna e Marco”, dove appare anche l’immagine della luna a indicare lo sconosciuto:
Ma l’America è lontana
Dall’altra parte della luna
Che li guarda e anche se ride
A vederla mette quasi paura“.
L’ignoto è sempre apertura di nuove possibilità, per evadere da una condizione in cui si è in catene, in qualche modo riscattandosi, come fa con l’immaginazione il detenuto de “La casa in riva al mare”: è sì dietro alle sbarre, ma non è possibile imprigionare anche il suo pensiero. O come fanno Anna e Marco: l’una “avrebbe voluto morire”, l’altro “voleva andarsene lontano” e “qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano”. È proprio il sentimento amoroso ad essere, per Lucio, sinonimo di un dialogo interminabile tra un “Io” e un “Tu”: sono questi due pronomi a essere le parole più ricorrenti in tutti i testi di Dalla ed è nello spazio che si crea in un “Noi” che Lucio sa svelare la magia dell’incontro e la vasta apertura di visione che esso provoca, sempre proiettata al futuro e affacciata al limite dell’ignoto, sempre ricoperta da promesse, contro la fenomenica consapevolezza della caducità di tutto. Così canta Lucio in “Tu non mi basti mai”:
Debbo parlarti come non faccio maiVoglio sognarti come non ti sogno maiEssere l’anello che porteraiLa spiaggia dove cammineraiLo specchio che ti guarda se lo guarderai[…]
Vorrei esser la tomba quando moriraiE dove abiteraiIl cielo sotto il quale dormiraiCosì non ci lasceremo maiNeanche se muoio e lo sai“.
Ma è “Canzone” a esprimere al meglio, anche musicalmente, la promessa amorosa, sfidandone tutti i limiti, anche quello posto dalla morte:

Non so aspettarti più di tanto
ogni minuto mi dà
l’istinto di cucire il tempo
e di portarti di qua.
Ho un materasso di parole
scritte apposta per te
e ti direi spegni la luce
che il cielo c’è
[…]
Lo stare nudi in mezzo a un campo
a sentirsi addosso il vento
io non chiedo più di tanto
anche se muoio son contento“.

La facoltà del sentimento, intesa in senso kantiano, è dunque la chiave per far sì che il pensiero possa, tramite l’arte, trovare lo spazio per muoversi in libertà, per volare come la colomba ebbra di Kant, per potere esprimere quell’anelito all’infinito tipico dell’uomo, che Lucio Dalla ha saputo suonare e cantare per “tutta la vita”.

 

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