La tecnologia oggi è diventata incredibilmente pervasiva, a tal punto che non riusciamo quasi più a farne a meno. Tra applicazioni di messaggistica, musica, video e social network, passiamo circa 34 ore alla settimana utilizzando il nostro smartphone. Sì, ogni settimana passiamo un giorno e mezzo a fissare lo schermo pixelato dei nostri dispositivi!
Un giorno disconnessi
Con questa consapevolezza, da 9 anni l’associazione ebraica Reboot promuove il “Day of Unplugging”, la giornata della disconnessione dai dispositivi digitali, che quest’anno si è svolta tra il 1 e il 2 marzo. Questa iniziativa è nata negli Stati Uniti, ma si è diffusa in tutto il mondo contando più di 200’000 partecipanti attivi.
Iscrivendosi al sito ufficiale dell’iniziativa si possono organizzare degli eventi locali per coinvolgere attivamente la cittadinanza, in particolar modo giovani e bambini. Sono infatti queste due categorie di persone le più esposte alla “dipendenza digitale”. Scuole e associazioni quindi possono farsi inviare dei kit con giochi e attività per far dimenticare lo smartphone per una giornata. Un motto dell’iniziativa è, infatti, “I bambini sono nati disconnessi. Lasciali liberi di esplorare e di viaggiare con l’immaginazione.”
Si tratta di un’iniziativa molto sentita, che ha avuto un certo rilievo mediatico. A sponsorizzare il Day of Unplugging troviamo anche Richard Branson, fondatore del Virgin Group. Paradossalmente, anche OnePlus, l’azienda cinese di telefonia, ha invitato i suoi consumatori al No Phone Day del 2 marzo.
Mobile phone addiction
La nostra dipendenza dal cellulare e dall’essere sempre connessi è sicuramente uno dei tratti comportamentali più caratteristici degli ultimi anni. Non a caso, infatti, da qualche anno la “dipendenza da cellulare” è considerato un disturbo psicologico, conosciuto con il nome di Mobile phone addiction. Sì, l’utilizzo compulsivo di app e di social ha degli evidenti tratti in comune con la dipendenza da comportamenti assuefacenti, come l’abuso di nicotina, alcool e altre droghe, ma anche l’abuso di gioco d’azzardo e di pornografia.
I disturbi più frequenti di questa dipendenza sono l’eccessiva quantità di tempo spesa davanti al cellulare, l’utilizzo del telefono in situazioni socialmente non adatte (mentre si guida, per esempio), diminuzione del sonno. Addirittura, si possono avere reazioni irritate e aggressive in caso di privazione dal nostro dispositivo: vere e proprie crisi d’astinenza, che prendono il nome di Nomophobia, abbreviazione dall’inglese di no-mobile-phobia.
Questa assuefazione da tecnologia è diffusa ormai in tutta la società. Riguarda soprattutto i giovani, ma anche molti adulti anche over 50 che trovano nei social network (come è noto) nuovi modi di comunicare, di essere aggiornati e di essere sempre connessi. Secondo uno studio (Are girls (even) more addicted? Some gender patterns of cell phone usage, Geser H.), “men see a more instrumental use for cellphones whereas women utilize the cell-phone as a social tool”. Gli uomini sono più portati ad usare il telefono per informarsi e utilizzare applicazioni, sia per scopi utili sia per divertimento; al contrario, le donne sono più portate all’uso di social network per rimanere in contatto con i propri amici o followers. Le donne, in generale, sembrano più predisposte a questo tipo di dipendenza.
Ma perchè siamo diventati così tanto assuefatti dai nostri dispositivi, e soprattutto dal magico mondo virtuale che ci aprono? Cosa ci dà la Rete che non troviamo nel mondo reale, a tal punto da – talvolta – alienarci? Ad avere studiato con attenzione e sensibilità questo fenomeno del Terzo Millennio ci ha pensato il sociologo e filosofo Zygmund Bauman, che più volte ha avuto modo di pronunciarsi sull’argomento.
Bauman: Internet contro la solitudine del cittadino globale
Bauman ha ben chiare le idee sull’origine di questo impellente bisogno di comunicare. L’individualismo sfrenato, esasperazione di quella libertà individuale che doveva essere alla base della società moderna libera e democratica, ha prodotto una serie di individui liberi da vincoli e impegni sociali. Ma invece di sentirsi più forti e indipendenti, i cittadini di questa società si sono ritrovati circondati dalla solitudine. Precario e insicuro, il cittadino globale cerca di esistere, di affermarsi. “La prospettiva di essere lasciati soli può generare un vero e proprio senso di terrore”: il terrore di essere abbandonati, esclusi.
Il vuoto dovuto alla mancanza di autentiche relazioni significative viene riempito prima dal suono dei walkman, poi con l’high-tech. “Grazie ad Internet, anche quel vuoto può essere ignorato o dissimulato”. La Rete ci restituisce la possibilità di far sentire la nostra presenza attraverso questi rapporti virtuali. Non importa se non si tratta di autentici rapporti umani fisici, sicuramente si tratta di una passo avanti rispetto al vuoto. Si tratta di rapporti per lo più superficiali, che non richiedono troppo impegno: “I contatti possono essere interrotti non appena la comunicazione prende un verso indesiderato: quindi non si corrono rischi”, diversamente da quanto accade nel mondo reale.
Il mondo online è un mondo sicuro, in cui non esistono contraddizioni e malintesi. Se necessario, si può dissimulare la propria identità: “la preoccupazione di doversi re-identificare” di continuo porta ad una identità biodegradabile. Altra caratteristica del mondo dei social network, è che “è la quantità dei contatti, e non la loro qualità, a definire le possibilità di successo o fallimento”.
“Facebook è un confortevole specchio in cui ammirare un’esistenza senza conflitti”.
La vita online, insomma, è un rifugio dalla nostra condizione esistenziale di cittadini di un mondo globalizzato, liberi e perciò soli, alla continua ricerca di qualcosa da fare che ci dia piacere. Infatti “l’opposto del piacere non è il dispiacere, ma la noia”. Ma purtroppo questa vita online non fa altro che sottolineare e accentuare questo nostro bisogno. Lo smartphone è via di fuga senza uscita, palliativo poco efficace contro la solitudine.
Ecco perchè Bauman sarebbe a favore del Day of Unplugging: staccare dal cellulare vuol dire re-immergersi nel mondo complesso che si trova oltre quel “muro di vetro” degli schermi dei nostri dispositivi. Ritornare consapevolmente alla complessità della vita, anche solo per 24 ore, è un modo per sentire la solitudine senza esserne sopraffatti, ma anzi cercando di reagire. Perchè, come dice Luciano Floridi, il contrario di “on-line” non è “off-line”, ma “on-life”.
Federico Mandelli