Ultima Sigaretta di Zeno: il vuoto nell’esistenza dell’uomo

L'Ultima Sigaretta di Zeno
Italo Svevo (1861-1928)

Al pari del concetto di ‘inetto’, il tema del fumo è stato per lungo tempo una specie di architrave della critica sveviana. Joyce non vi attribuiva l’importanza che ha, nel romanzo maggiore, il trattamento del tempo, ma le due cose sono da mettere su piani diversi: l’osservazione sul fumo riguarda più la dimensione della nevrosi di Svevo (“Non avrei mai pensato che il fumare potesse dominare una persona in quel modo”) che gli esiti letterari. Il fumo è una esemplificazione, fra  le tante certo la più macroscopica, del tema più ampio della responsabilità, o, come ritiene Svevo, del ’proposito’: l’Ultima Sigaretta ha un gusto più intenso perché è l’ultima, ha “il sapore della vittoria su se stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute”.       Il “proposito” dell’Ultima Sigaretta, già nel primo capitolo della Coscienza, si nutre di un concetto filosofico, che con la nicotina non ha molto a che vedere: “Si dice con un bellissimo atteggiamento: “Mai più”. Ma dove va l’atteggiamento se si tiene la promessa? L’atteggiamento non è possibile di averlo che quando si deve rinnovare il proposito”.

La coscienza di Zeno (1923) 

Il protagonista, più che cinquantenne, è Zeno Cosini, un uomo che non essendo riuscito a smettere di fumare, arriva a farsi rinchiudere in una casa di cura (ove si verificano situazioni comiche: ad es. tentativo di seduzione di una matura infermiera per avere sigarette, sospetti sulla fedeltà coniugale della moglie, sino all’evasione notturna). Il dottore, vista l’inutilità dei primi metodi, lo aveva consigliato di scrivere la propria autobiografia, psicanalizzando se stesso, nella speranza di vederlo guarire. In realtà Zeno, quando inizia a scrivere il romanzo, lo fa in polemica con la terapia del dottore. Il romanzo, in un certo senso, è come un diario a episodi (i “ricordi”) intercalato dal racconto vero e proprio (il “monologo interiore”). Gli episodi principali sono il matrimonio con la seconda delle tre sorelle Malfenti, che non amava, dopo essere stato rifiutato dalle altre due, che amava. Le tappe che lo portano al matrimonio, così come a una relazione adulterina, sono casuali. Pur non avendo tatto, sa tradire la moglie senza destare il minimo sospetto. Ha fortuna negli affari, nonostante la scarsa stima di cui gode presso i parenti. Anzi, salva la posizione finanziaria del brillante cognato Guido, che sembrava destinato al successo. La morte del padre, la cui rievocazione gli suscita più che il dolore un profondo rancore: Zeno ricerca vanamente dentro di sé la commozione che gli appare doverosa nella circostanza, poi si rifugia in una inconsapevole ma comoda ipocrisia, al fine di sentirsi “buono”.

ultima sigaretta
Mark Renton, interpretato da Ewan McGregor nel film cult “Trainspotting” (1996) diretto da Danny Boyle

Maggiormente analizzata è la malattia di Zeno, con tutti i suoi inutili quanto puntuali proponimenti di smettere di fumare. Zeno si considera “malato”, ma la sua malattia è da un lato “immaginaria”, dall’altro “reale”. Immaginaria perché di comodo, reale perché gli condiziona di fatto tutta la vita. La vera malattia non è il tabagismo (che comunque nel romanzo resta irrisolta), ma l’alienazione, la netta divisione fra la ragione con cui egli analizza criticamente le contraddizioni della realtà e la volontà (i sentimenti) con cui cerca di affrontarle, che resta sempre impotente, conformistica, vuota. Lo scompenso fra la teoria e la prassi si rivela nei gesti con cui egli esprime proprio quello che non vorrebbe. Così, mentre agisce per conseguire un risultato, ne ottiene un altro; quando non s’interessa alle cose o alle persone è la volta che tutto gli riesce. Zeno stesso non sa giudicare se vale di più la furbizia o la fatalità. In questa condizione la psicanalisi non serve come terapia ma solo come metodo d’indagine dei sintomi della malattia: essa può solo offrire la coscienza dell’alienazione, non l’esperienza del suo superamento. Svevo, in pratica, si serve della psicanalisi per condannare l’ipocrisia della società borghese, ma non offre valide alternative. Le uniche due sono le seguenti:

1) prendere coscienza di questa tragedia umana e limitare le proprie ambizioni o pretese, vivendo più a contatto con le esigenze della natura (ma non nel senso della moglie di Zeno, la quale, nel romanzo, soffre meno di lui, perché vive di più il presente, adeguandosi alla realtà. Secondo Zeno invece la mancata consapevolezza dell’alienazione rende Augusta ancora più malata di lui).

2) L’altra alternativa è offerta dall’ironia, che permette all’uomo di sopravvivere, anche se non in maniera convincente, nelle assurde contraddizioni della società borghese. Svevo si serve anche dello strumento del tempo, nel senso che il fluire del tempo confonde la coscienza, finché ne giustifica le azioni, anche quelle negative. Ecco perché lo psicanalista viene considerato da Zeno come un “uomo ridicolo”, che s’illude di poter guarire il suo paziente.

l'ultima sigaretta

Il terzo capitolo de La coscienza di Zeno, “Il fumo”, cala il lettore in una delle situazioni chiave del romanzo. Ci si trova in presenza di uno dei perenni miti negativi di Svevo: il proposito di riscatto dei protagonisti e la sua mancata realizzazione, che invariabilmente li frustra. Ma ora l’oggetto del proposito e la causa della frustrazione sono assolutamente irrisori e banalizzati: la battaglia si svolge fra Zeno Cosini e la propria volontà, e il casus belli è “l’ultima sigaretta”. Zeno si abbarbica a continui proponimenti di non fumare più, che d’altronde eluderà sistematicamente rimuovendo poi sempre il ‘rimorso’ e il senso di colpa che gliene derivano. Il capitolo terzo riguarda il vizio del fumo del protagonista, una dipendenza sviluppata fin da ragazzino e sempre combattuta senza successo. Zeno ricorda la sua prima sigaretta fumata da adolescente, inizialmente rubando i soldi al padre poi, dopo essere stato scoperto, fumando i suoi sigari avanzati. A vent’anni Zeno si accorge di odiare il fumo e si ammala, ma nonostante la malattia decide di fumare un’ultima sigaretta; ed è qui che si evidenzia per la prima volta la vera malattia psicoanalitica del protagonista. Inizialmente il fumo è per Zeno una reazione al rapporto con il padre – i cui rapporti saranno sviscerati nel capitolo La morte di mio padre – poi si allarga a forma di difesa verso la realtà circostante e il mondo intero. In tal senso, ogni tentativo di smettere di fumare non è che uno stimolo ulteriore al desiderio, tanto più se il complimento per la propria perseveranza viene da una figura come quella del padre:

Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: “Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta”. Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine […] Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la malattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi:                                                      – Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito! Bastava questa frase per farmi desiderare chegli se ne andasse presto, presto, per permettermi di correre alla mia sigaretta.

Da qui nascono i continui e vani tentativi di smettere di fumare, perché, come ammette Zeno, “quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo”. Le giornate di Zeno finiscono “coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più”. La vicenda del fumo viene affrontata sempre con una prospettiva ironica e demistificante, raggiungendo i migliori esiti nel momento in cui viene presentata la sigla “u.s. (ultima sigaretta)”. Questa sigla e la data vengono apposte su libri, diari, agende, muri e qualsiasi cosa passi sotto mano al protagonista:

Una volta, allorché da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza perché le avevo coperte di date. Probabilmente lasciai quella stanza proprio perché essa era divenuta il cimitero dei miei buoni propositi e non credevo più possibile di formarne in quel luogo degli altri.

ultima sigaretta

Ma la malattia del fumo si rivela essere in realtà un’altra “malattia della volontà”, cioè l’incapacità di Zeno di perseguire un fine, e riflette il senso di vuoto nella sua vita, scaturito dalla impossibilità di affrontare l’esistenza e il mondo. Ed è proprio questa l’inettitudine, descritta da Svevo, caratteristica dei suoi romanzi a partire da Una vita. La voce narrante (e giudicante) della Coscienza vede nella sigaretta un sintomo della propria inettitudine, di cui però non vuole disfarsi né superare, perché essa costituisce una sorta di autogiustificazione e alibi alla propria incapacità esistenziale. 

Il dramma propende al comico, al futilmente umoristico. La materia è degradata rispetto ai romanzi precedenti, ma è subito più decisamente interna, liquida o gassosa a seconda dei casi, dotata ormai in sommo grado di quell’ambiguità e contraddittorietà che Ettore Schmitz (il vero nome di Svevo) attribuisce all’esistenza, e con la quale intende concorrere e misurarsi, operando su un sistema organico di decentramento e di dislocazione ininterrotta. Ecco le parole di Zeno:

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L’urlo di Edvard Munch (1893-1910)

“Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano oggi quei propositi? Come quell’igienista vecchio, descritto da Goldoni, vorrei morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita?”.

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Nelle dipendenze “tutto il vuoto esistenziale”

La dialettica tra malattia e salute è un altro dei motivi centrali del romanzo, anch’esso ambivalente e in continuazione slittante dal piano fisiologico a quello psicologico. Il segno di un forte legame edipico non potrà sfuggire a chi voglia mettersi subito lungo la strada di una lettura freudiana. I seri propositi che tuttavia rinviano ad oltranza ogni scelta definitiva mostrano il dilemma desiderio-proposito, proposito-desiderio che è il luogo doloroso della nevrosi sveviana. Zeno pensa che causa della sua malattia sia il vizio del fumo. Decide di liberarsene. Prima con propositi fatti a se stesso, vincolati a date scritte dappertutto, anche sulle pareti della stanza, poi facendosi rinchiudere in una casa di cura, dove però non trascorre nemmeno la prima notte perché corrompe l’infermiera e ritorna a casa, dove la moglie lo accoglie con un benevolo sorriso.

L’inettitudine di Zeno riflette una dimensione più profonda della riflessione di Svevo sull’uomo, che verrà rivelata solo nella conclusione del romanzo: la malattia del protagonista è comune in realtà a tutti gli uomini che vivono nella società contemporanea,  alienante e contraddittoria. Il solo modo possibile per affrontarla è mantenere un distacco ironico, che faccia emergere la comicità dell’esistenza stessa. Ed è proprio l’ironia la risorsa conoscitiva centrale nel capitolo sul fumo: la distanza, sottilmente percepibile, tra ciò che Zeno dice e ciò che il lettore capisce è cruciale per decifrare la usa “malattia”. Lo si vede bene nell’episodio del ricovero di Zeno in clinica per smettere di fumare. Zeno si fa rinchiudere volontariamente ma, una volta in clinica, decide di scappare, corrompendo l’infermiera Giovanna con una bottiglia di cognac e una promessa di rapporto sessuale. L’intera vicenda viene narrata con intenti comici, ma rileva le dipendenze e le ossessioni dell’uomo moderno, caratterizzato da un profondo senso di solitudine di fronte a un mondo malato, egoista e contraddittorio. Una dipendenza come quella del fumo è indice di un profondo vuoto esistenziale che, purtroppo, affligge l’uomo nel suo essere.

“Smettere di fumare è la cosa più facile del mondo. Lo so perché l’ho fatto migliaia di volte.”

– Mark Twain

      Sara Coriassi