La crescente sfiducia degli investitori nell’economia della Turchia ha portato la lira ad una costante crisi che ha raggiunto livelli senza precedenti. L’effetto del crollo del valore della moneta ha avuto ripercussioni sui mercati finanziari di tutto il mondo, da Tokyo a Milano; i vertici politici prendono posizione in merito. Il confine tra politica ed economia diventa sempre più labile: tutto ciò fa riferimento al “neoliberismo”.
Il nuovo crollo della Lira Turca

Da gennaio 2018 il valore della moneta turca ha subito una progressiva svalutazione che, solo nell’ultimo mese, ha raggiunto oltre il 40% del suo valore. Al cambio con il dollaro la lira scende a quota 7, evidenziando la mancanza di fiducia degli investitori esteri nella situazione economica della Turchia.
Lo scenario politico della Turchia è stato “revisionato” proprio nel 2017 quando il presidente Recep Tayyip Erdoğan ottenne nuovi poteri istituzionali che hanno trasformato il Paese da una repubblica parlamentare (simile al modello italiano) ad una repubblica presidenziale in cui vengono accentrati i poteri nelle mani del presidente (come il potere di nominare il governatore della banca centrale o il ministro dell’Economia, che infatti è il genero del presidente turco). In ogni caso il percorso politico di Erdoğan è stato incentrato verso la creazione di uno stato più autoritario fin da quando quest’ultimo ha avuto l’incarico di Primo Ministro: l’insofferenza verso ogni tipo di opposizione, la costante campagna contro l’utilizzo di social network e, non per ultimo, il famigerato “golpe” del 2016 fanno del presidente turco un personaggio controverso ma decisivo nelle sorti del paese e, in questo caso, della sua economia.
Se in un primo periodo l’economia turca è stata sostenuta dagli investimenti dei diversi attori economici che hanno esposizione in Turchia, nel lungo periodo le decisioni del presidente Erdoğan hanno pian piano eroso la fiducia degli investitori esteri nei confronti dell’economia di Ankara. In questo modo si è venuta a creare una situazione di emergenza per le istituzioni economiche del paese che hanno subito l’erosione della moneta fino al punto in cui il crollo della lira è arrivato a contagiare anche i mercati europei, le cui banche sono fortemente esposte in Turchia: solo in Italia lo spread tra BTP e Bund è di nuovo in salita e la borsa di Milano ha chiuso lunedì in calo dell’1,29%, con Unicredit (la banca italiana maggiormente esposta in Turchia) che cede il 5%. La banca centrale turca afferma che “farà tutto il possibile” per aiutare le istituzioni bancarie e rilanciare l’economia del paese ma l’autoritarismo del presidente Turco ha ormai messo in dubbio la fiducia delle banche e degli investitori che temono che Ankara non riesca a “saldare” il debito con le gli istituti bancari.
Dal 2017 la Turchia ha registrato una notevole crescita economica (lo dimostra anche il debito pubblico che non arriva al 50% del PIL – in Italia è del 132% ) che è stata causata dall’immissione di denaro per imprese e famiglie, permettendo al paese turco di registrare una crescita del 7%. A tal punto sarebbe stato opportuno aumentare i tassi d’interesse per impedire la svalutazione della moneta: secondo le leggi della macroeconomia ad una costante immissione di denaro (voluta da una politica monetaria espansiva, come quella di Erdoğan) deve corrispondere un aumento del tasso d’interesse volto a contrastare l’inflazione. Non a caso la spirale inflattiva ha raggiunto il 16% in Turchia.
Sono queste le reali cause che hanno spinto i mercati finanziari a perdere fiducia nell’operato del governo turco, incapace di arginare l’inflazione, lo spettro più temuto da ogni attore economico.
Contagiati anche altri mercati europei
Quello che sta succedendo in altre parole è che la sfiducia dei mercati sta indebolendo l’operato del governo di Erdoğan, mettendo a rischio anche le altre banche che hanno investito in Turchia. Infatti il contagio del crollo della lira turca ha colpito altri mercati europei: le banche maggiormente esposte in Turchia sono la BBVA spagnola, il gruppo francese BNP paribas e l’italiana Unicredit; in generale tutte le principali Borse europee hanno chiuso in ribasso dopo il crollo della Lira Turca.
Le cause geopolitiche della crisi monetaria della Turchia secondo Erdoğan

Se per gli economisti le cause del crollo della lira sono da ricercare nella politica economica espansiva di Erdoğan e nell’autoritarismo (anche economico) promosso da quest’ultimo, il presidente turco si scaglia prima contro Trump e poi contro le fake news, affermando che queste avrebbero aumentato sfiducia ed incertezza.
«Ho appena autorizzato che vengano raddoppiati i dazi su acciaio e alluminio in relazione alla Turchia, mentre la loro moneta, la lira turca, scivola rapidamente contro il nostro dollaro forte!» twitta Donald Trump venerdì 10 agosto, amplificando i contrasti tra Truchia e USA. Secondo Erdoğan la decisione di aumentare i dazi (più 50% sull’acciaio e più 20% sull’alluminio) rappresenta una pugnalata alle spalle da un paese alleato nel Patto Atlantico: “Ci troviamo di fronte ad un incidente unico. Contro questi attacchi stiamo analizzando tutte le misure necessarie” avverte Erdoğan, sostenendo i principi del libero mercato turco.
Oltre all’inasprimento dei rapporti con gli USA, il presidente turco fa aprire un’indagine dalla procura di Instanbul in merito alle fake news che avrebbero alimentato la sfiducia verso il paese. 346 account di social network che sembrerebbero alludere all’aumento del dollaro o ad altre notizie false sono finiti sotto indagine e saranno perseguiti penalmente in quanto avrebbero provocato disinformazione e sfiducia nell’operato del governo e avrebbero contribuito ad alimentare il crollo della moneta.
Infine è trapelata dal portavoce di Putin la notizia che Erdoğan avrebbe contattato il Cremlino anche se, dalle ultime indiscrezioni, sembrerebbe che il presidente turco non avesse chiesto al leader russo alcun aiuto sulla situazione economica della Turchia
Neoliberismo: l’economia nella politica

Da quando le istituzioni economiche (banche, privati, multinazionali) hanno pervaso l’ambito decisionale e politico degli stati più economicamente sviluppati, si è andato a formare un nuovo paradigma di regolazione del mercato definito “neoliberismo”.
In parole povere, con questo termine si intende la creazione di un mercato de-regolamentato in cui le scelte di mercato sono autonome e svincolate dall’intervento statale. Con l’applicazione di questo paradigma economico si è venuto a creare un mercato economico “auto-gestito” che non risponde alle regole del gioco politico, bensì ne crea di nuove: con la neoliberalizzazione è come se ai mercati finanziari (o gli attori economici in generale) fossero delegate le scelte (economiche e finanziarie) che gli attori politici faticano e prendere per ragioni geopolitiche, permettendo agli attori privati di politicizzarsi e, di reazione, agli attori pubblici di de-politicizzarsi.
È quanto sta accadendo in Turchia in questi giorni.
Il potere “pubblico” (quello esercitato dagli attori pubblici, dal parlamento, dal primo ministro, dal cittadino stesso) è vincolato dall’attore economico (in questo caso i mercati finanziari di tutto il mondo) e deve “adattarsi” alle leggi del mercato. La politica economica adottata dal presidente Erdoğan ha permesso una crescita nel breve periodo ma non ha tenuto conto degli effetti che questa avrebbe causato nel lungo termine; gli attori economici, che hanno interesse nell’incrementare e salvaguardare il capitale investito, intervengono in queste “falle” (il più delle volte con intenzioni speculative) per fare i propri interessi. Le ragioni di mercato vengono prima di quelle politiche e alimentano un circuito in cui le ultime sono subordinate alle prime: il crollo della lira turca è perciò una conseguenza dell’agire degli attori economici che hanno perso fiducia (e hanno paura di perdere capitali) nell’economia del paese, in quanto la politica economica di Erdoğan si è dimostrata inefficace, e la reazione dei mercati di tutto il mondo è una conseguenza della resilienza del neoliberismo: nessun presidente di una squadra continuerebbe a pagare un calciatore che non si dimostra essere bravo come ci si aspettava.
Gian Marco Renzetti