Trump inveisce contro i democratici che gli hanno contestato la decisione di uccidere il generale iraniano Soleimani: avrebbe dovuto consultare il congresso prima di prendere una decisione così delicata per gli equilibri in Medio Oriente e non solo.
Socrate insegna l’importanza del dialogo, della riflessione e dell’analisi di sé, fondamentale per il buon agire.
Il comizio a Milwaukee
Durante il suo comizio a Milwaukee, in Wisconsin, Trump ha insistito sulla legittimità della sua decisione di uccidere il generale Iraniano Qassem Soleimani (fatto avvenuto il 3 gennaio scorso attraverso l’attacco di un drone). Il provvedimento del presidente degli Stati Uniti è stata enormemente criticata dall’opposizione democratica, la quale ritiene che prima di prendere una decisione così importante, tanto da poter sconvolgere gli equilibri in Medio Oriente e non solo, il presidente avrebbe dovuto prima consultare il Congresso. Trump, inoltre, ha insistito sulla cattiva fede dei democratici che vogliono far passare a tutti i costi la sua decisione come irresponsabile e pericolosa, non rendendosi conto della pericolosità che il generale iraniano rappresentava per gli americani e per gli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente. Così ha parlato Trump: “I Dem stanno facendo di tutto per denigrare ciò che abbiamo fatto, il partito invece essere oltraggiato dai terribili crimini di Soleimani, non dalla decisione di metter fine alla sua misera vita”. Il Presidente ha sottolineato la pericolosità del generale per gli americani in Medio Oriente usando il suo solito linguaggio diretto e piuttosto colorito: “Soleimani era il re delle bombe su strada. Enormi percentuali di persone non hanno gambe e braccia ora a causa di questo figlio di p…”. Ciò che richiedono i Democratici è quel confronto con l’assemblea parlamentare che Trump non ha voluto. Fanno appello al principio basilare su cui dovrebbe reggersi ogni democrazia, cioè quello secondo il quale le decisioni debbano essere prese soltanto dopo un confronto e una discussione tra le varie parti e le varie componenti dell’assemblea. Trump è uno di quei potenti che oggi giorno incarna l’uomo di potere che è rapido nelle decisioni e deciso nelle azioni non lasciando spazio alla riflessione, al confronto e al dibattito parlamentare: si veda il modus operandi di uomini di potere come Putin e Erdogan; la differenza è che Trump è a capo di una democrazia. Ma il sale della cultura occidentale, almeno negli ultimi duecento anni, è proprio l’importanza del confronto e del dibattito parlamentare, che deve sempre precedere ogni tipo di decisione: insomma, la riflessione e il dialogo entrambi come preludio all’azione, elementi essenziali della democrazia. La rivoluzione Americana, Francese e i moti del Quarantotto sono sfociati nella formazione delle grandi unità nazionali e parlamentari, hanno dato vita a un nuovo modo di fare politica e a un nuovo modo di declinare la vita e i rapporti tra gli uomini all’insegna del dibattito, del confronto e della tolleranza. Le radici del confronto, del dibattito, della riflessione come preludio all’azione, (le radici del dialogo democratico) le possiamo senza alcun dubbio trovare nella figura di Socrate e in particolar modo nel Socrate dell’Apologia: egli è stato l’inventore del Dialeghein, del Daimon e dell’interiorità, di quell’introspezione che permette di rendere se stessi oggetti giudicabili da parte di se stessi per il buon agire.

Le accuse a Socrate, il Dialeghein e il Demone
Le accuse fatte a Socrate, durante il suo celebre processo tenutosi ad Atene nel 399 a.C, erano essenzialmente quelle di essere un corruttore della gioventù e di non credere agli Dei. Per quanto riguarda la prima accusa, i detrattori di Socrate insinuavano che egli corrompesse la gioventù insegnandogli come fare vincente il discorso perdente, avendo la meglio nei dibattiti e rendendoli sprezzanti e insolenti nei confronti degli interlocutori. In realtà, Socrate insegnava loro una dottrina che non veniva da lui ma dal dio di Delfi: una sapienza umana (Anthropine sophia) che non deriva dagli uomini ma dal detto dell’oracolo di Delfi. Cherefonte, allievo di Socrate, si recò a Delfi ad interrogare la Pizia chiedendo se al mondo ci fosse qualcuno più sapiente di Socrate, la quale gli rispose che al mondo non vi era nessuno più sapiente di lui. Socrate, sorpreso da questo responso, decise di mettersi alla ricerca di uomini sapienti per dialogare con loro e provare che l’oracolo di Delfi si sbagliava, vuole smentire l’oracolo trovando un uomo che sia più sapiente di lui. Allora andò da un uomo rinomato per la sua sapienza e iniziò a dialogarci: Socrate vide che quest’uomo appariva a sapiente a se stesso e agli altri, ma non lo era nella realtà: “E mi convinsi che questa persona dava l’idea di essere dotto a un mucchio di altra gente, e soprattutto a sé, ma non lo era.” Socrate capisce che è più dotto di quest’uomo poiché egli non sa ritenendo di sapere mentre lui non sa senza presumere di sapere: “Magari nessuno di noi due ha una visione perfettamente chiara di qualcosa, ma quello è convinto di avere una certa visione e non ce l’ha, invece io, siccome una visione non ce l’ho, neppure presumo. Così mi sono immaginato di essere più su- un piccolo gradino, intendiamoci- di quell’altro in fatto di dottrina, per il fatto che in ciò di cui non ho chiara visione, neppure presumo di vedere chiaro”. Socrate ripeté la stessa esperienza con molti altri cittadini di tutte le categorie e verificò, come nel caso precedente, che i suoi interlocutori apparivano sapienti e possessori della verità a se stessi, senza esserlo nella realtà. Dunque, il Dio ha ragione ritenendo Socrate il più sapiente, poiché è l’unico a non sapere senza ritenere di sapere, è l’unico capace di non poggiare e far stagnare il proprio Io su una verità autocratica e autoreferenziale che non ammette confronto e smentita alla luce del dialogo. Il sapere di non sapere libera da quella referenzialità autocratica dell’Io che, come afferma Hegel nella Fenomenologia, vede in ogni realtà e in ogni tipo di alterità se stesso. Socrate attraverso il suo interrogare, analizzare e contraddire, libera l’Io dell’interlocutore dalla sua pesantezza, dal pantano stagnante di quella che è la ‘sua verità’, aprendolo alla vera verità che è ricerca del vero alla luce del Dialeghein: “E io non mi staccherò, ma gli farò l’esame, lo scandaglierò, lo metterò in difficoltà e se a me dà l’impressione di non avere patrimonio di moralità, solo di vantarsene, io lo farò arrossire perché dà il più basso prezzo a cose superiori, e in più esalta le scadenti.” Il dialogo Socratico libera l’Io dell’interlocutore da se stesso, dal proprio delirio identificativo-narcisistico, come avrebbe detto Freud. Apre all’alterità, al confronto con l’alterità come unica condizione per trovare l’autentica verità che è ricerca continua alla luce della circolarità dialogica. Ciò che Socrate insegna ai giovani è questo modo di dialogare, la dialogica ricerca del vero basata sulla confutazione del presunto possedere la verità. Altro elemento fondamentale che troviamo nell’Apologia è il Demone, che è quella istanza che distoglie Socrate dal compiere certe azioni che è in procinto di compiere: “Per me questa cosa, cominciatami da ragazzo, è come una voce nata dentro: ogni volta che nasce, invariabilmente mi svia dalla cosa che sto per attuare. Mai che mi sproni.” Il Demone socratico è la coscienza, quella istanza riflessiva la cui prerogativa è il far precedere il pensiero all’azione. Solo facendo precedere la riflessione all’azione si può agire bene, poiché attraverso la riflessione, l’entrare dentro di sé, si appare completamente a se stessi, ci si rende oggetti giudicabili da parte di se stessi. Un’azione buona e soprattutto umana può essere compiuta soltanto a questa condizione. Il dio in cui crede Socrate è dunque la più alta istanza dell’umanità cioè quella che permette di giudicare se stessi guardando dentro di sé per potere agire rettamente.

L’importanza del dialogo e della riflessione
L’astenersi dagli insegnamenti di Socrate può essere altamente dannoso e nocivo non solo per se stessi, ma anche per il proprio circostante. Si veda nella storia (soprattutto in quella del secolo precedente) come la mancanza di dialogo, di confronto e di riflessione abbia determinato una enorme portata di morte e distruzione. Si veda come la politica della maggior parte del secolo scorso si sia basata sulla eliminazione del dibattito e del dialogo tra i membri delle assemblee parlamentari e sulle decisioni immediate ed affrettate (come quelle di fare feroci e spropositate campagne espansionistiche) che hanno portato allo scoppio delle due guerre più cruente della storia. La politica di una parte del secolo scorso si è basata sulla eliminazione di ciò che è autenticamente politico, ovvero il dibattito e il confronto tra le parti come prerogativa decisionale. Gli ‘uomini nuovi’ del Novecento si può dire fossero allergici alle istanze socratiche della riflessione e del Dialeghein: non avevano bisogno di essere contraddetti e smentiti dal dialogo socratico, apparivano a se stessi e agli altri massimamente sapienti e detentori della verità, tanto da poter guidare da soli i propri popoli alla vittoria e alla supremazia su tutti gli altri. Hannah Arendt afferma che l’autentica vita pubblica e politica è basata sull’agire e parlare insieme: il confronto dialogico e l’azione implica il coinvolgimento della collettività, bisogna comprendere che ogni azione implica inevitabilmente delle reazioni, dunque altre azioni, da parte di altri poiché si agisce in un contesto di alterità, e lo stesso vale per il parlare, che è continuo incontro e confronto che deve essere sempre preludio fondamentale ad ogni decisione. Quando, dunque, si parla e si agisce, non lo si fa mai da soli: monopolizzare il discorso e l’azione vuol dire uccidere la politica e la vita pubblica, vuol dire che non si parla e non si agisce più ma che c’è qualcuno che comanda e qualcuno che esegue. Gli uomini vengono così isolati, diventano monadi funzionali al funzionamento della macchina-stato (o qualsiasi unità politica essa sia) guidata da un capo che ordina e dirige. La Arendt era una grande ammiratrice della figura di Socrate e ha ben capito l’importanza degli insegnamenti che questa figura trasmette attraverso l’importanza del Dialeghein e della Riflessione, prerogative essenziali di ogni azione, ha capito che l’unica maniera di risorgere dalle ceneri delle macerie di cui i totalitarismi sono stati responsabili era quella di recuperare gli insegnamenti socratici e di renderli nuovamente capisaldi della civiltà.

Dopo molti anni sembra che l’esigenza della forza e della decisione all’azione senza confronto e riflessione sia tornata. Si respira nell’aria quella mancanza di voglia ad occuparsi e ad interessarsi di cose che riguardano tutti che richiederebbero quel parlare e l’agire insieme di cui parlava la Arendt, è tornata quella mancanza di voglia di fare politica che porta all’esigenza di delegare il fare politica ad altri, senza occuparsene in prima persona. Stanno tornando, in occidente, quegli ‘uomini nuovi’, i quali stanno nuovamente monopolizzando discorso e azione capaci e disposti a prendere decisioni immediate, disprezzando il dialogo e il dibattito, e quello dell’attacco a Soleimani deciso da Trump è uno dei tanti esempi. Gli insegnamenti socratici sono fondamentali e fondativi per la cultura euro-occidentale degli ultimi duecento anni: abbandonare le istanze socratiche del dialogo e della riflessione come condizioni necessarie e fondamentali per l’agire è rinnegare la nostra storia e le nostre radici (le vere radici europee e occidentali infatti sono queste del dialogo e della riflessione, nulla a che fare con qualsiasi accezione etnica e di appartenenza territoriale).