Pasta, pane, cioccolato, tè, uova non sono solo cibi comuni e quotidiani, sono elementi che affollano la storia dell’uomo da molto prima che quest’ultimo vi presti l’attenzione che si merita.
Siamo quello che mangiamo
Tra tutto ciò che rientra nel campo d’interesse dell’uomo, il cibo dovrebbe occupare, senza ombra di dubbio, il primo posto.
Eppure, quando si pensa all’essere umano, si dà sempre poco peso o valore all’importanza che, anche a livello culturale, ha sempre ricoperto. Se si segue il filo intrecciato della storia dell’uomo, si riconosce fin da subito un elemento che fa da collante all’avanzare dei secoli e delle stagioni: il cibo.
Dalla preistoria a Manzoni, dal Medioevo a Winston Churchill, le pietanze accompagnano l’uomo tra guerre, successioni, letteratura e arti. Se si segue da vicino la storia gastronomica, il tempo e lo spazio vengono annullati e l’uomo di allora non è poi tanto diverso dall’uomo di oggi.
1. La besciamella protestante
Il 31 ottobre 1517, un frate affisse alle porte della chiesa di Wittenberg le famose 95 tesi che diedero inizio alla Riforma Protestante. A livello politico, religioso, amministrativo questo gesto ebbe delle conseguenze incontrovertibili.
Anche a livello gastronomico. Martin Lutero, ribaltando il credo religioso, aveva messo fine a secoli di quaresime, astinenze e guerre alla carne. Da questo momento in poi lo scenario culinario prevedeva un’Europa cattolica quasi vegetariana e un’Europa del nord onnivora. I ricettari nordici contemplavano ricette a base di carne e latticini per qualsiasi periodo dell’anno. Senza restrizioni, il burro e la farina iniziano ad essere utilizzati e prodotti in grande quantità, soprattutto per salse e condimenti: ecco spiegato il perché dell’amore quasi smodato dei paesi nordici per tutto ciò che è condimento.
Ma cosa crea il connubio tra burro e farina? Ecco spiegata l’origine della besciamella.
2. La pastasciutta in bianco
Come non parlare della regina della cucina italiana?
La pastasciutta era inizialmente servita solo in brodo, a meno che non fosse una pietanza per i malati – strano a dirsi, visto che oggigiorno avviene esattamente il contrario – aveva una preparazione lenta e quasi esclusivamente per i giorni di festa.
A partire dal 1600 la pasta perde la sua funzione elitaria e diventa pian piano un cibo di strada: i napoletani erano definiti mangiamaccheroni. I migliori impastatori erano i funzionari del clero, tanto che divenne pratica quotidiana e usuale andare al monastero a fare spesa di pasta o paste dolci. Ma guai a condirla col pomodoro: la pasta al sugo prenderà piede solo a partire dal XIX secolo e fino a quel momento burro e formaggio grattugiato la facevano da padrona.
3. Uova e castagne
Ancor più che a livello letterario o storiografico, il mondo culinario popola le arti figurative, per le quali significa altro rispetto a se stesso. Se vi imbatteste in un dipinto raffigurante castagne, siate consapevoli di esser di fronte a uno dei simboli della castità: la castagna, così protetta e sofferente per le spine con cui nasce, non può che essere la degna sostituta della sofferenza di Gesù.
L’uovo è, invece, legato alla vita e alla resurrezione: il guscio rappresenta il sepolcro da cui è possibile resuscitare.
4. Salto temporale
Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 l’immagine si fa serva del cibo: sempre più spinti verso una società de consumo, la descrizione visiva ed accattivante del prodotto culinario diventa un’arte funzionale.
È in questo contesto che nasce il concetto di Menù, dei vini, dei cibi, delle acque, degli oli. Con l’avvento dei ristoranti e della borghesia dotta e abbiente, il menù, che prima prevedeva solo la lista delle pietanze che sarebbero state servite, viene concepito proprio come lo intendiamo noi: una serie di piatti tra cui è possibile scegliere. E così ogni ristorante degno di questo nome dispone di un menù artistico, attraverso il quale potersi raccontare.