Dovremmo domandarci molto più spesso se tutto ciò che attuiamo ha conseguenze che siano da noi prevedibili, e quindi, nel caso non lo fossero, queste siano desiderate. Fino a che punto siamo davvero artefici delle conseguenze delle nostre scelte, alle esacerbazioni che queste conseguenze possono provocare? Fino a che punto davvero scriviamo il nostro divenire?
Mondo come Realtà (in)conoscibile
Schopenhauer descrive questo divenire instabile nel concetto del Principio di Causa: la Materia, ossia tutto ciò che appartiene alla Realtà Fenonemica, è collocata nei concetti di Spazio e Tempo, rispettivamente nel primo nel quale la materia stessa è collocata ed il secondo nel quale questa muta. Il nostro stesso corpo è Materia. Tutta questa Materia è mossa dal Soggetto, ente che lo stesso Schopenhauer descrive come colui che “tutto conosce ma da nessuno è conosciuto”.
Inoltre l’essenza delle cose stesse, da Kant denominata noumeno e per lui inconoscibile, secondo Schopenhauer è possibile conoscerlo grazie all’intuizione. Grazie all’intuizione ed alla Volontà di Vivere l’uomo può strappare il Velo di Maya che circonda le cose e l’andamento del divenire e conseguentemente godere dell’essenza delle cose. Può così contemplare ciò che era inconoscibile ed arrivare all’essenza dell’esistenza in quanto tale.
L’uomo nel Divenire
L’uomo in tutto questo dove è collocato? In una metà statica Pascaliana oppure può davvero modificare il divenire tramite l’agire? L’uomo sicuramente gode della proprietà agente, ma non gode della proprietà consequenziale: agisce e sa di agire, ma non conosce appieno le conseguenze delle proprie azioni.
Non dobbiamo assolutamente ritrarci in uno scetticismo Pirroniano, ma dovremmo cercare di squarciare il velo dell’ (in)conoscibile per poter così arrivare a comprendere l’andamento del divenire e la sequela di azioni da cui è composto. Azioni che, tautologicamente, sono compiute da noi stessi, anche forse indirettamente. L’uomo, questo è certo, soffre delle sue azioni, non in quanto tali, ma in quanto produttrici di conseguenze non sempre desiderate: è intorno a questo concetto che la ruota del divenire gira inesorabilmente.
L’essere umano non conosce il divenire in quanto tale poichè non conosce le conseguenze del proprio operato, non in quanto tali e non in toto: questo lo addolora e lo può anche corrucciare poichè sente di essere incompleto e non finito, quale forse è.
L’uomo si colloca nel divenire come un bruco che vuole diventare farfalla ma che, contro ogni logica, non riesce a divenire tale, pur essendo consapevole della sua teleologia: comprende sè stesso, forse, ma non riesce a divenire con la consapevolezza di questa (in)comprensione. E’ certo che l’azione dell’uomo modifica la materia: questo poichè le azioni sono contenute nei concetti di spazio e tempo e qui vengono attuate, ma le conseguenze a queste dove sono contenute? In abstracto è possibile analizzare la conseguenza in quanto tale e non in dipendenza all’azione ad essa annessa?
L’uomo non è evidentemente in grado di attuare questa ipostatizzazione del concetto di conseguenza, ed è per questo che il suo divenire è in mano alla casualità.
Anzi, dovremmo dire forse una casualità (in)consapevole.